Garlasco, errori e omissioni della prima inchiesta. Ma la Cassazione nel 2016 stabilì “Stasi colpevole oltre ogni ragionevole dubbio”

  • Postato il 14 maggio 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Errori, omissioni, dimenticanze e indizi sottovalutati nell’indagine sul delitto di Garlasco? Fu la Cassazione, nelle motivazioni con cui spiegavano la condanna di Alberto Stasi “oltre ogni ragionevole dubbio”, a mettere nero su bianco che l’andamento dell’inchiesta fu “senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità”. Una serie di lacune che erano state anche evidenziate davanti alla Corte d’assise d’appello di Milano dall’allora sostituta procuratrice generale, Laura Barbaini, che comunque aveva chiesto 30 di carcere per l’imputato Stasi contestando l’aggravante della crudeltà che invece era stata esclusa dai giudici. Nel giorno in cui la nuova inchiesta su Andrea Sempio subisce un’accelerazione, con le perquisizioni a tappeto vale la pena ricordare una serie di lacune che, pur condizionando le indagini, non impedirono alla Suprema corte di condannare in via definitiva Alberto Stasi, ora in regime di semilibertà. La famiglia Poggi ha sempre sostenuto e continua a farlo la colpevolezza del 42enne.

L’autopsia e la riesumazione – Il corpo di Chiara non venne pesato perché’ all’obitorio mancava una bascula. Questa mancanza ha comportato l’incertezza sull’ora della morte. Due giorni dopo il funerale il cadavere era stato riesumato per rilevare le impronte digitali di Chiara: nessuno si era ricordato di farlo.

La bicicletta nera – Fu indicata subito dopo il delitto da una testimone, ma quella posseduta dalla famiglia Stasi venne solo visionata da un maresciallo, che non la sequestrò perché non corrispondeva alla descrizione. Il carabiniere è stato poi condannato per falsa testimonianza. Sarà acquisita solo dopo 7 anni nel processo d’appello ‘bis’, quando si scoprirà inoltre che la famiglia Stasi ne aveva un’altra nella casa al mare. Non furono controllate altre bici nere da donna di proprietà di persone legate alla vittima. Sul caso della bicicletta erano entrati nel merito proprio i giudici della Cassazione che ribadirono come “la scelta anomala di non sequestrare nell’immediatezza la bicicletta nera da donna della famiglia Stasi” è “stata correttamente individuata come un evento che avuto indubbie ripercussioni negative” sulle indagini. Bici che era stata vista appoggiata al muretto della casa dei Poggi intorno alle 9 del 13 agosto 2007, orario compatibile con l’omicidio di Chiara, da una testimone.

La bicicletta sarà sequestrata, però, solo nel 2014, a sette anni dall’omicidio, quando qualcuno le aveva già sostituito i pedali, dove furono poi ritrovate tracce del Dna di Chiara Poggi. Una prova che, se acquisita subito, avrebbe potuto cambiare il tortuoso iter processuale. “Un anello mancante” nell’andamento dell’attività investigativa secondo la Cassazione. Ma nonostante il mancato sequestro, la Cassazione spiega adesso che nel vagliare gli indizi che hanno portato a ritenere Stasi colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”, la Corte d’appello di Milano nel processo bis si è correttamente fatta carico della “mancanza di tale tassello”, valorizzando gli altri elementi probatori.

Le scarpe – Le Lacoste color bronzo indossate da Alberto sono acquisite solo dopo 19 ore la scoperta del corpo senza vita di Chiara. Gli vengono sequestrate anche altre cinque paia di scarpe, ma non sono tutte quelle che possedeva: i carabinieri si limitano a prendere quelle che Stasi consegna loro. Sulle scarpe era emerso con un’inchiesta giornalista che Stasi aveva comprato nel maggio 2007, un paio di scarpe taglia 42, di marca Geox o Frau, che però non figurano tra quelle consegnate ai carabinieri dal giovane. Un paio di Frau 42 modello estivo, come era stato accertato nel processo, erano proprio quelle indossate dall’assassino, che avevano lasciato le impronte sul pavimento insanguinato con la loro suola a pallini. Accertamenti non finirono agli atti, perché furono portati a termine pochi giorni prima della sentenza d’appello bis e non ci fu tempo di svilupparli.

L’arma del delitto – Le ricerche dell’arma – un martello l’ipotesi – nella boscaglia e nei fossi dei dintorni scattano solo 15 giorni dopo, senza risultati. Ancor oggi si ignora la natura certa dell’oggetto utilizzato: oggi con le perquisizioni a carica di Andrea Sempio, si sta cercando un attizzatoio in un canale.

L’officina e la casa – L’officina del padre di Stasi non fu perquisita. Solo 40 giorni dopo i carabinieri scoprono che c’è un’allarme, ma la centralina ha ormai cancellato e sovrascritto le registrazioni del 13 agosto. La casa solo una settimana dopo e senza l’utilizzo del luminol.

Il computer – Il portatile di Alberto è esaminato dai carabinieri senza le cautele previste, senza cioè fare prima una copia del disco rigido: 16 accessi abusivi alterano tre quarti dei file contenuti.

La scena del crimine – Entrano nella villetta senza calzari previsti ben 25 persone tra inquirenti, medici legali e necrofori. Delle 17 impronte digitali complete che furono repertate, sei appartengono a tre diversi ufficiali dei carabinieri che non avevano indossato i guanti.

Il capello – Nella mano sinistra di Chiara Poggi c’era un capello più chiaro e corto degli altri, provvisto di bulbo. È l’unico del quale non viene tentata l’estrazione del Dna mitocondriale. Quando lo farà il perito incaricato non potrà ricavare alcun risultato: troppo tempo e il reperto è degradato.

Le unghie – I margini delle unghie prelevati dal cadavere non vengono analizzati con il metodo “a lavaggio”, più sensibile. Quando lo farà il perito sette anni dopo, pe ril processo d’appello bis, riuscirà ad isolare un cromosoma Y, maschile, ma non un profilo completo perché i reperti sono troppo degradati. Questo fino alla nuova inchiesta della procura di Pavia per cui c’è uno scontro tra esperti sull’utilizzabilità dei reperti. I pm sono convinti che il Dna di Sempio trovato sia fosse da contatto – perché frequenta casa Poggi e aveva sicuramente toccata anche il computer di Chiara – ma perché ha avuto un contatto fisico con la vittima.

I graffi – Due brigadieri li notano subito sulla parte interna dell’avambraccio sinistro di Stasi. Decidono di fotografarli ma poi non ci si ricorda di farlo, né di mostrarli ad un medico legale. Su questa circostanza nessuna domanda a Stasi viene verbalizzata.

Le impronte sul pigiama – All’altezza della spalla si notano le impronte di quattro dita insanguinate che si ritiene siano dell’assassino. Delle impronte rimane solo la fotografia: sono state cancellate quando il cadavere viene incautamente rivoltato sul pavimento cosparso di sangue. Quelle impronte, per la procuratrice Barbaini, dimostravano come l’aggressore avesse sollevato il corpo per gettarlo lungo le scale e che furono fatto “cancellate” dalle manovre effettuate da chi, allora, rigirò il cadavere per rimuoverlo finendo con imbrattare completamente di sangue la maglia. Un elemento, quello delle tracce delle dita, che il l’accusa aveva ‘incrociato’ con le impronte di scarpe lasciate sul tappetino del bagno davanti al lavandino dall’aggressore e con le impronte di Stasi mischiate al Dna di Chiara ritrovate sul dispenser del sapone.

Foto sparite – Controllando i documenti che risultavano sequestrati, la procura generale non trovò più 41 fotografie di Alberto Stasi con gli amici, che avrebbero potuto secondo l’accusa essere utili per capire che scarpe indossasse. Le immagini erano conservate negli archivi della caserma dei carabinieri di Vigevano.

L'articolo Garlasco, errori e omissioni della prima inchiesta. Ma la Cassazione nel 2016 stabilì “Stasi colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti