Garlasco, il Dna sotto le unghie di Chiara Poggi può cambiare la storia: ecco perché

  • Postato il 7 luglio 2025
  • Di Panorama
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L’incidente probatorio sul caso Garlasco, riaperto dalla Procura di Pavia, finora non ha riservato colpi di scena. Nessuna traccia accusatoria concreta contro Andrea Sempio, di nuovo sotto indagine per concorso in omicidio (come già avvenne nel 2017). Ma l’assenza di “sorprese” non significa che il caso sia fermo: ora si va a scavare dove finora nessuno aveva davvero guardato. E da lì, tutto potrebbe cambiare.

L’avvocato Antonio De Rensis – legale di Alberto Stasi, unico condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi – è intervenuto durante lo Speciale GarlascoFatti di Nera per sottolineare il vero nodo dell’attuale incidente probatorio: non i rifiuti, ma ciò che si nasconde sotto le unghie della vittima: “Per quanto riguarda l’incidente probatorio – ha esordito – io ho sempre sostenuto che si tratta di una fase che, pur rientrando nella prassi tradizionale, presenta alcuni elementi di particolare interesse. Ritengo che il vero fulcro di questo incidente probatorio non sia rappresentato dalla cosiddetta ‘spazzatura’, ma dalla presenza, dalla comparabilità e dalla tracciabilità dell’eventuale Dna rinvenuto sulle dita di Chiara”.

E ha aggiunto: “È vero che quel Dna potrebbe essere arrivato sulle dita attraverso vari passaggi. Le mosche, le tastiere dei computer, il contatto col pavimento… Tuttavia, resta un dato inquietante. Del fidanzato con cui Chiara ha trascorso l’ultima sera, del fidanzato di cui ha toccato ripetutamente la tastiera del computer proprio quella sera, sul corpo della povera Chiara non c’è alcuna traccia. Questo ci impone di guardare con estrema attenzione agli esiti della ricerca sul DNA”.

Il nuovo obiettivo: analizzare i dati grezzi del DNA

L’obiettivo dei genetisti incaricati dal Gip di Pavia, Daniela Garlaschelli, è andare a fondo con nuove tecnologie e metodologie rispetto al passato. Non si tratta di rivalutare i vecchi tracciati della perizia del 2014, ma di analizzare direttamente i dati grezzi, ovvero i file originali provenienti dal sequenziatore del Dna, risalenti al materiale raccolto nel 2007.

A guidare il lavoro è la genetista Denise Albani, affiancata dal dattiloscopista Domenico Marchigiani. Le operazioni peritali si stanno svolgendo presso il Gabinetto di polizia scientifica della Questura di Milano, alla presenza dei consulenti e degli avvocati delle parti coinvolte: la Procura, le difese di Sempio e Stasi, e i legali della famiglia Poggi.

Il primo quesito posto ai periti è chiaro e cruciale: «l’analisi tecnica dei profili genetici estrapolati dai margini ungueali» di Chiara Poggi. Un possibile punto di svolta per cercare risposte definitive su un caso che, a distanza di 18 anni, continua a sollevare dubbi.

Perché i dati grezzi possono fare la differenza

Fino a oggi, tutte le analisi si sono basate sui tracciati elettroforetici inclusi nella perizia del 2014, realizzata dal professor Francesco De Stefano, il quale aveva concluso che quei dati non fossero utili per identificare alcun profilo genetico con certezza. Una posizione che ha sempre lasciato perplessi altri esperti.

Nel tempo, diversi consulenti – sia della difesa di Stasi, sia della Procura – hanno ritenuto che potessero esserci compatibilità con il profilo genetico di Andrea Sempio. Tra questi, Ugo Ricci, Carlo Previderè e Pierangela Grignani.
«Nell’attività da me rivalutata nel 2023 – spiega Ugo Ricci a Il Giorno – ho usato i dati presenti nella perizia De Stefano, non risultando che ci fosse più materiale. Quando si fa una valutazione del genere, si esaminano i tracciati elettroforetici già inclusi nella perizia».

Ma ora Albani vuole superare questo approccio. Intende infatti lavorare direttamente sui dati grezzi, cioè le informazioni digitali prodotte dalla macchina prima ancora che vengano trasformate in tracciati visivi tramite software.
«Sono i dati – precisa Ricci – che escono dalla macchina, una elettroforesi capillare. Questi vengono poi trasformati in tracciati. Il perito vuole usare proprio quei dati grezzi ed è legittimato a richiederli al professor De Stefano».

Albani, inoltre, intende contattare anche il RIS per verificare se siano ancora disponibili eventuali residui di Dna raccolto nel 2007. «Chiederà – aggiunge Ricci – se siano ancora conservate provette con estratti avanzati all’epoca».

Non è certo che le nuove analisi porteranno a una scoperta determinante. Tuttavia, la direzione dell’indagine è chiara e determinata. «Giustamente il perito cerca di acquisire dei dati originali, è quello che deve fare – osserva Ricci – poi ci dirà cosa ha trovato». E sottolinea anche il clima di collaborazione che si è creato tra i professionisti coinvolti: «C’è un clima molto sereno, siamo tutti professionisti, ognuno fa il proprio lavoro, anche se per parti diverse».

Autore
Panorama

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