Garlasco, la caccia a «Ignoto 3» è iniziata: si parte dai compagni di scuola di Andrea Sempio

  • Postato il 16 luglio 2025
  • Di Panorama
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È ufficialmente iniziata la caccia al profilo genetico di «Ignoto 3», l’uomo misterioso il cui Dna è stato individuato sul tampone orale di Chiara Poggi a distanza di 18 anni dall’omicidio. Venerdì scorso, alla prima evidenza del nuovo elemento emerso dagli accertamenti genetici, la Procura di Pavia e i carabinieri del Comando Provinciale di Milano si sono immediatamente messi al lavoro per identificare un possibile «complice» di Andrea Sempio, nuovo indagato nel caso.

Il punto di partenza per le indagini è l’Ipsia Calvi di Sannazzaro de’ Burgondi, dove Sempio aveva terminato gli studi nel 2007, anno della morte di Chiara. Gli investigatori, sotto la direzione del procuratore aggiunto Fabio Napoleone, stanno ricostruendo la rete di amicizie del giovane all’epoca diciannovenne, cercando nomi, legami e frequentazioni al di fuori del gruppo noto — Marco Poggi e il trio Biasibetti-Capra-Freddi. Quest’ultimo, già ascoltato a marzo, verrà nuovamente convocato per approfondire contatti, abitudini, interessi (anche sportivi) e locali frequentati da Sempio.

Parallelamente, prosegue l’esame del materiale sequestrato in casa del 37enne. Nessun computer, ma migliaia di fogli manoscritti e documenti che potrebbero contenere indizi utili a definire legami e ambienti. Tra le piste al vaglio, anche quella che porta al suicidio dell’amico Michele Bertani e ad altri episodi di gesti autolesionistici avvenuti in quegli anni, una pista ancora tutta da esplorare. Al momento, tuttavia, non emergono riscontri concreti né rispetto a questa ipotesi, né rispetto a suggestioni mediatiche su presunti abusi nel Santuario della Bozzola.

L’ipotesi contaminazione

L’altro filone investigativo segue invece una strada alternativa: il profilo di «Ignoto 3» potrebbe appartenere a un tecnico, a un investigatore, o a personale sanitario che abbia avuto contatti col corpo o con i campioni prelevati nel 2007. Gli inquirenti stanno lavorando a un censimento completo di tutte le persone che, tra il giorno dell’autopsia (il 16 agosto) e i vari sopralluoghi, abbiano potuto manipolare i reperti. Alcuni nomi risultano firmatari di atti, altri potrebbero non essere mai stati verbalizzati ma comunque presenti.

Anche la perita genetista Denise Albani ha chiesto chiarimenti al medico legale Marco Ballardini sulle modalità di prelievo del tampone orale. La Procura, da parte sua, sta convocando soccorritori, personale delle pompe funebri e carabinieri del RIS, tutti chiamati a fornire un campione di Dna per il confronto. Alcuni saranno ascoltati come testimoni.

Tra le figure chiave di questa fase c’è anche l’ex generale Luciano Garofano, oggi consulente della difesa di Sempio, ma all’epoca comandante del RIS di Parma. Dopo l’emersione del profilo genetico misterioso, Garofano ha ipotizzato una contaminazione «dovuta all’uso di una garza non sterile» e ha sottolineato il fatto che «il tampone non venne mai analizzato» . Parole che, nel contesto attuale, assumono un peso rilevante per orientare gli investigatori.

Il Dna svela un uomo preciso

Gli esiti delle analisi condotte dalla perita Albani hanno escluso ogni dubbio: tra i quattro campioni analizzati sul tampone orale, uno ha fornito il profilo genetico completo di un individuo sconosciuto. Si tratta non solo della sequenza dell’Y (che identifica la linea maschile), ma anche del Dna nucleare, che contiene l’informazione genetica materna. «Un profilo univoco che indica con certezza una sola persona. Quindi rintracciabile oltre ogni ragionevole dubbio» , sottolineano gli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Alberto Stasi, l’ex fidanzato di Chiara Poggi condannato a 16 anni.

Gli altri tre campioni hanno dato risultati parziali: uno è compatibile con l’assistente del medico legale, un altro non ha restituito risultati, mentre il terzo presenta tracce miste, con pochi marcatori riconducibili sia al tecnico che a «Ignoto 3».

I verbali dei soccorritori: «Nessuna contaminazione»

Nel frattempo, tornano alla luce i verbali raccolti all’epoca dell’omicidio, nei quali i primi soccorritori e operatori funerari dichiarano di aver adottato tutte le precauzioni del caso per evitare qualsiasi contaminazione della scena.

Elisabetta Rubbi, medico del 118 di Vigevano, arriva sul luogo del delitto alle 14:11 del 13 agosto 2007, accompagnata da un’infermiera e da un autista. La chiamata, partita in codice rosso, era giunta alle 13:35. Durante il tragitto, la centrale la informa che si tratta di una persona già deceduta. In via Pascoli, trova «un civile (Alberto Stasi) che mi veniva indicato come colui che aveva segnalato il ritrovamento del cadavere al Comando stazione carabinieri».

Ascoltata poche ore dopo, Rubbi riferisce: «Io ed il resto del personale con me intervenuto, ovvero l’infermiera Sonia Bassi e l’autista soccorritore Enrico Colombo, indossavamo i calzari di protezione alle scarpe e i guanti di lattice». Aggiunge: “Tutta la mia attività di accertamento si è svolta senza muovere il cadavere dalla sua posizione, procedendo tuttavia a toccarlo in alcune sue parti, sempre con le mani protette da guanti in lattice, al fine di constatarne il decesso”.

In un verbale successivo del 10 settembre, precisa: «Durante l’intervento ci siamo mossi con estrema cautela per non contaminare la scena del crimine. Quanto riferito vale anche per i miei collaboratori […]. Al corpo della ragazza mi sono avvicinata solo io per controllare la presenza di un polso carotideo e valutare le lesioni superficiali […], senza però modificare la posizione stessa».

Anche i fratelli Roberto e Massimo Pertusi, titolari della Nuova Pertusi S.r.l., e il collaboratore a chiamata Aldo Bianchi, vengono ascoltati tra l’11 e il 12 ottobre 2007. Sono loro a effettuare il trasporto del corpo. Indossano guanti di lattice e tute di carta usa e getta, ma non calzari. Tuttavia, fanno in modo che i pantaloni delle tute avvolgano le scarpe per evitare il contatto con il sangue. «Prima di entrare, come nostro solito – ricostruisce Roberto Pertusi – essendo anche stati avvisati della grande quantità di sangue sul pavimento, indossavamo i pantaloni della tuta in modo che il piede non uscisse dall’apertura finale del gambale, ossia rimanesse parzialmente avvolto all’interno della parte finale del gambale e tenuto fermo dall’elastico finale».

Autore
Panorama

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