Garlasco, la nuova ricostruzione dell’aggressione: l’arma del delitto, il sangue sul telefono e il dubbio su più assassini
- Postato il 4 agosto 2025
- Di Panorama
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Diciotto anni dopo, il caso Chiara Poggi potrebbe avere una svolta inaspettata. Un oggetto dimenticato nella scena del crimine, una ferita mai compresa del tutto, una macchia di sangue che racconta un’altra storia. A rilanciare una nuova e clamorosa ipotesi è l’esperto di balistica e criminalistica Enrico Manieri: secondo lui, Chiara non sarebbe stata uccisa con un’arma scomparsa, ma con qualcosa rimasto sempre lì, in bella vista. Nel dettaglio si tratterebbe di un portavasi in ferro battuto, collocato nella villetta di via Pascoli.
L’ipotesi è stata formulata dallo stesso Manieri in un’intervista rilasciata a Libero, nella quale spiega: «Le ferite sul cranio e nella zona occipitale, cioè la nuca, hanno come predominanza un aspetto contusivo, mentre quelle sul viso e sulla tempia sono da taglio/punta». Secondo l’esperto, infatti, «se qualcuno viene colpito al viso direttamente, le parti più sporgenti, come il naso, subiscono delle lesioni e i denti saltano, essendo fragili. La vittima, invece, non aveva nessuna ferita di questo genere, quindi quelle sul viso e sulla tempia sono escoriazioni da contatto. Tradotto: aveva la faccia appoggiata su un oggetto tagliente mentre veniva colpita sulla nuca».
Manieri ricostruisce così l’aggressione: Chiara sarebbe stata inizialmente colpita con un calcio – lo proverebbe un colpo sulla coscia sinistra, compatibile con la punta o il tacco di una scarpa – e una successiva escoriazione compatibile con una suola. «Che però non è compatibile con le famose scarpe a pallini, quindi collocherebbe sulla scena del crimine almeno una seconda persona», osserva l’esperto. La ragazza, caduta in ginocchio (come confermato da ulteriori escoriazioni), sarebbe stata poi colpita alla nuca con un vaso in ottone prelevato dal portavasi. «Lei, crollando, avrebbe fatto cadere il portavasi e ci sarebbe finita sopra con la faccia: gli altri colpi dati sulla nuca, sempre con il vaso, avrebbero così provocato anche le ferite del viso. Non solo, il killer a quel punto l’avrebbe tenuta ferma appoggiando un ginocchio sulla sua schiena e questo avrebbe provocato l’enfisema polmonare rilevato in sede autoptica».
La dinamica, secondo Manieri, non esclude la presenza di più aggressori. Dubbi che si estendono anche all’analisi delle impronte: «Perché non ci sono altre impronte di scarpe? Uno dei killer potrebbe aver avuto dei modelli simili a quelle indossate dai soccorritori intervenuti, che quindi sarebbero state scartate».
Un ulteriore dettaglio solleva nuovi interrogativi: «Il luminol ha rilevato alcuni segni a semi circonferenza riconducibili agli anelli del portavasi, magari puliti e gocciolanti. Sì, perché l’arma del delitto potrebbe essere stata facilmente lavata sotto una doccia».
Già consulente tecnico nel processo d’appello del caso Pacciani, Manieri ha iniziato a interessarsi del delitto di Garlasco solo due mesi fa, su invito di un amico youtuber. «Mi sono accorto che in questo caso molte cose non quadravano, tipo il sangue: troppo poco sulla scena del crimine e addirittura assente sulla schiena di Chiara. Poi mi ha colpito la traccia ematica sulla cornetta del telefono, così ho acquistato due modelli dell’apparecchio su eBay per fare degli esperimenti».
L’esperto racconta: «Ho studiato una piccola macchia di sangue sotto la cornetta del telefono (a poca distanza dalle scale dove è stato ritrovato il corpo di Chiara) prodotta da una inclinazione della goccia rispetto alla base del telefono compresa tra i 15 e i 20 gradi». E aggiunge: «Quell’inclinazione dimostrerebbe che la cornetta in quei momenti era sollevata. E questo è un elemento che in passato non era mai stato preso in considerazione nella ricostruzione che portò alla condanna di Stasi». Una tesi che troverebbe conferma: «Da alcune indiscrezioni si sa che dalle analisi dei Ris di Cagliari l’inclinazione di quella goccia è di 19 gradi. Confermerebbe quanto avevo detto pubblicamente tempo fa».
I due video pubblicati da Manieri su YouTube, in cui espone queste riflessioni, hanno già superato le 140mila visualizzazioni. «Il primo video l’ho segnalato alla difesa di Stasi, mentre il secondo anche alla Procura. Chissà, magari potrebbero dare un aiuto alle indagini».