Garlasco, l’avvocato De Rensis e il mistero dei vestiti macchiati di rosso: prove dimenticate e distrutte
- Postato il 10 novembre 2025
- Di Panorama
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Un sacco bianco abbandonato in un canale con dentro una manciata di vestiti. Non sono indumenti qualsiasi, ma abiti macchiati di rosso trovati a pochi metri dalla villetta di Garlasco di Chiara Poggi, assassinata il 13 agosto 2007. Solo undici giorni da quella mattina, una donna si imbatté in quel misterioso fagotto: «mi sembrava sangue», dirà poi agli inquirenti. Ma quella traccia, potenzialmente decisiva, finì nel dimenticatoio dell’inchiesta e addirittura distrutta. A diciotto anni dal delitto, quando sembrava che non potessero esserci più anomalie, la distruzione dei vestiti si aggiunge alla scomparsa della provetta con l’unghia di Chiara e alla presunta rete di corruzione sull’archiviazione delle indagini su Andrea Sempio.

Le analisi superficiali
Antonio De Rensis, difensore di Alberto Stasi condannato all’ergastolo per l’omicidio, ha riportato alla luce questo dettaglio nella trasmissione Far West: nel sacco ritrovato in un canale, c’erano due canottiere, tre paia di pantaloni di cui due da uomo e uno da donna, e un paio di scarpe. Tutti indumenti di marca, appartenenti evidentemente a persone diverse. La donna che li trovò fu colpita dalla qualità dei capi e dalle macchie rosse, tanto da avvisare le forze dell’ordine a cui furono consegnati. Sottoposti alle analisi dei RIS, l’esito stabilì che le macchie non erano sangue, ma vernice e, poco dopo, quegli indumenti vennero distrutti. Fine della storia. Secondo l’avvocato di Stasi, quella distruzione è stata frettolosa, mentre le macchie rossastre giustificavano un approfondimento. Invece, l’analisi si fermò al primo esame: vernice, non sangue. Non si procedette oltre e non si indagò su chi potevano essere i proprietari di quelle canottiere e di quelle scarpe a pochi passi dalla scena del crimine e perché furono abbandonati. L’avvocato difensore De Rensis trova «singolare l’episodio del ritrovamento del sacco di vestiti che avvenne pochi giorni dopo la morte di Chiara». Quegli abiti di marca «presumibilmente appartenevano a due uomini e forse a una figura non maschile».
Errori e omissioni
La distruzione di quei vestiti sporchi di rosso va ad aggiungersi agli altri elementi dell’accusa contestati. In particolare, quei famosi 23 minuti, cioè l’arco temporale ristrettissimo entro cui sarebbe avvenuto l’omicidio e che non fornirebbe l’alibi a Stasi: dal momento dell’omicidio avrebbe avuto 7 o 8 minuti per tornare a casa sua in bicicletta, per poi lavorare sulla sua tesi di laurea dalle 9.35. Il calcolo, per De Rensis, è frutto di una analisi che in realtà non permette di escludere alcuna fascia oraria dalla mattina del 13 agosto 2007.
Prove svanite o distrutte, analisi interrotte, archiviazioni frettolose. Tra omissioni, errori e dimenticanze, rimane il dubbio che la ricostruzione della morte di Chiara non abbia mai restituito la realtà dei fatti, e che in diciotto anni da quel 13 agosto, la verità sia stata abbandonata come quel sacco di vestiti.