Garlasco, nuovo colpo di scena: delitto in più fasi, Chiara Poggi non sarebbe morta alle 9:35

  • Postato il 27 ottobre 2025
  • Di Panorama
  • 1 Visualizzazioni

Diciotto anni dopo il delitto di Garlasco, il caso di Chiara Poggi torna a ribollire come fosse accaduto ieri. Non è soltanto una ferita aperta nella memoria collettiva del Paese: è un enigma che continua a mutare forma, ogni volta che la scienza o la giustizia decidono di rimetterci mano. La nuova inchiesta della Procura di Pavia, affidata all’anatomopatologa Cristina Cattaneo – il nome più autorevole in Italia quando si parla di medicina legale – ha riaperto la scena del crimine da una prospettiva radicalmente diversa.

Non più un delitto fulmineo, consumato in pochi minuti tra la sorpresa e il silenzio, ma un omicidio in più fasi, una sequenza di azioni, difese e reazioni. Secondo questa ricostruzione, Chiara avrebbe avuto il tempo di reagire, di tentare una difesa, di spostarsi forse da un punto all’altro della casa. Un dettaglio che sembra banale, ma che in realtà smonta l’intero impianto accusatorio costruito nel tempo contro Alberto Stasi. Perché se cambia il tempo, cambia tutto: la scena, la dinamica, l’alibi.

L’ora che può cambiare tutto

Secondo quanto anticipato dai media, le nuove analisi sposterebbero il momento del decesso più avanti rispetto a quanto stabilito in sentenza: non prima delle 9:35, ma forse addirittura fino alle 11. Un dettaglio tecnico, sì, ma che in un fascicolo come quello di Garlasco equivale a una scossa tellurica. L’orario della morte è infatti uno dei pilastri su cui si è costruita la condanna definitiva di Stasi a 16 anni di reclusione.

Stasi, l’ex bocconiano diventato simbolo di uno dei processi più controversi della storia recente, è oggi prossimo a terminare la sua pena. Ma la riapertura dei tempi, delle distanze e delle compatibilità – soprattutto in relazione all’uso del computer, acceso alle 9:35 – rimetterebbe tutto in discussione. E, cosa più importante, darebbe nuova forza a un alibi che sembrava ormai dimenticato.

Chiara Poggi, secondo la nuova linea d’indagine, non sarebbe stata uccisa tutta d’un colpo. La progressione delle ferite, la distribuzione del sangue, la posizione del corpo: tutto farebbe pensare a un’aggressione prolungata, e non a un gesto isolato. Se davvero l’omicidio è durato più del previsto, e se il primo colpo non è stato mortale, l’orario della morte si sposterebbe di minuti decisivi. In un’indagine dove ogni minuto vale un destino, è il genere di scoperta che può cambiare la storia.

Le nuove prove e il nodo Sempio

In questo quadro rientra il nome che da mesi agita le nuove indagini: Andrea Sempio. Amico del fratello di Chiara, frequentatore abituale della casa dei Poggi, è oggi al centro di una nuova serie di accertamenti. Nei giorni scorsi si è sottoposto a Milano a un esame antropometrico ordinato dal pm Giuliana Rizza, con l’obiettivo di confrontare la sua struttura fisica con le tracce lasciate sul luogo del delitto.

Il test, insieme ai risultati della Blood Pattern Analysis condotta dai Ris di Cagliari, potrebbe finalmente dare un volto a quel profilo genetico maschile “ignoto” trovato sotto le unghie di Chiara Poggi e mai identificato con certezza. Diciotto anni fa, le tecniche di sequenziamento erano rudimentali, e molte delle tracce non furono nemmeno considerate rilevanti. Oggi, con le nuove tecnologie forensi, ogni minuscola particella biologica diventa una prova possibile.

Non solo. Gli inquirenti stanno ricontrollando anche vecchi reperti e archivi informatici. È in corso un’analisi retrospettiva di tutto il materiale elettronico, comprese le comunicazioni digitali di allora. Il sospetto, o meglio la possibilità, è che alcune versioni fornite all’epoca siano state modellate per reggere a una narrazione processuale che oggi non resiste più.

L’impatto sulla sentenza Stasi

La riscrittura della dinamica operata dall’équipe della Cattaneo cambia radicalmente la prospettiva. Se l’aggressione non è stata unica ma frammentata, se la vittima ha avuto il tempo di difendersi, di muoversi, di spostarsi, allora anche la ricostruzione dei tempi crolla. L’analisi delle tracce ematiche, distribuite lungo il corridoio e sulle scale, suggerisce che l’aggressore non sia rimasto fermo, ma si sia mosso in modo disordinato, concitato, come accade in una colluttazione più lunga del previsto.

La finestra temporale utilizzata per la condanna — tra le 9:12 e le 9:35 — non trova più fondamento scientifico. Secondo le prime valutazioni, Chiara potrebbe essere morta ben oltre quell’orario, quando Stasi era già documentatamente altrove. Ecco perché si parla di un alibi “rinato”.

Le prime perizie del 2007 e 2008 avevano infatti collocato l’ora della morte intorno alle 11, ma quell’ipotesi fu accantonata perché incompatibile con la narrazione accusatoria. Ora, la scienza la riporta in superficie. E la differenza non è solo cronologica: è giudiziaria, umana, storica.

Il contorno giudiziario: la presunta tangente e il caso Venditti

A complicare ulteriormente lo scenario, si aggiunge il filone che coinvolge l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, indagato per corruzione nell’ambito di una presunta tangente che avrebbe favorito l’archiviazione di Sempio nel 2017. Il legale di Venditti, Domenico Aiello, ha denunciato “una narrazione costruita ad arte e un processo mediatico che travalica il diritto”. Dall’altra parte, l’Associazione nazionale magistrati ha risposto con fermezza, parlando di “attacchi scomposti” e invitando i media a “rifuggire dal sensazionalismo”.

Una vicenda nella vicenda, che racconta quanto il caso Garlasco sia diventato un simbolo del rapporto sempre più teso tra magistratura, informazione e opinione pubblica. Ogni passo investigativo, ogni indiscrezione, ogni comparsa televisiva diventa un detonatore. Il confine tra la verità giudiziaria e quella mediatica si assottiglia, fino a scomparire.

Per la prima volta dopo anni, il fascicolo non si riapre per polemica o memoria, ma per scienza. Ed è forse questo il punto più dirompente: la possibilità che, in un Paese dove i processi si consumano anche a colpi di opinione, sia la medicina legale a restituire equilibrio e logica. L’unica voce che non si lascia trascinare da clamore o giudizio.

Il caso Garlasco non è solo un cold case: è una lente sulla giustizia italiana, sui suoi limiti e sulle sue ombre. E se davvero la verità fosse rimasta imprigionata per diciotto anni tra un orario errato e un nome dimenticato, allora quella che si sta aprendo non è una semplice revisione, ma un risveglio collettivo.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti