Garlasco, Sempio sui pm dell’indagine del 2017: “Erano dalla nostra” parte. Il gip archiviò: “Non ci sono elementi”
- Postato il 4 giugno 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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La nuova indagine della procura sul delitto di Garlasco che vede indagato Andrea Sempio – in attesa delle prime risposte attese dal maxi incidente probatorio che inizierà il 17 giugno – si nutre degli atti dei processi e delle indagini precedenti: i primi finiti con la condanna “oltre ogni ragionevole dubbio” per Alberto Stasi e le seconde con l’archiviazione del 37enne firmata dal giudice per le indagini preliminari Flavio Lambertucci in assenza di “concreti elementi indiziari a carico”. Tra i documenti ci sono anche gli audio delle intercettazioni a cui l’indagato e la sua famiglia furono sottoposti nel 2017 e che oggi sono stati in parte pubblicati da Repubblica, agli atti anche i brogliacci delle intercettazioni riportati da Adnkronos.
“Una mezza minchiata” – Dagli audio sembra emergere la convinzione dell’indagato che i pm stiano dalla sua parte (“erano dalla nostra”, “abbastanza dalla mia”)), gli stessi che lo avevano iscritto immediatamente per omicidio tre giorni dopo la trasmissione degli atti dalla procura generale di Milano della denuncia di Elisabetta Ligabò, madre di Stasi, in cui si lamentavano incongruenze sulle dichiarazioni di Sempio e si offriva una consulenza genetica che attribuiva le tracce sulle unghie di Chiara Poggi a Sempio. L’esposto della signora, depositato il 20 dicembre 2016, il 23 dicembre a Pavia era già un fascicolo di indagine. Sempio era stato quindi sentito e ovviamente intercettato.
È il 21 febbraio 2017 e l’indagato dice: “Te pensa che con quello che c’è nelle carte di Giarda (ex difensore di Alberto Stasi, ndr) direttamente il pm ha detto che è una cosa…ce l’ha già detto che è una mezza minchiata e ce l’ha detto in faccia a me … e agli due avvocati….. quindi ce l’ha detto… ce l’ha detto lui…… loro” . Il riferimento è facilmente comprensibile per chi conosce gli atti ed è relativo agli esami sulle tracce rilevate sulle unghie della vittima che oggi i periti della procura di Pavia – nell’ambito della nuova inchiesta ritengono utilizzabili e compatibili con il Dna di Sempio – ma nel corso del processo di secondo grado furono ritenute inutilizzabili dal professor Francesco De Stefano, nominato dai giudici dell’Assise d’appello di Milano. Il genetista stabilì che erano troppo degradate e in quantità troppo limitata, e quindi il confronto con il profilo genetico, pur evidenziando la compatibilità di cinque ‘marcatori’, non aveva dato esiti sufficientemente attendibili: “È necessario che la corrispondenza sia di tutti e 17 i marcatori” per l’attribuzione.
Una conclusione condivisa dalla difesa Stasi. Tanto che nelle conclusioni dell’arringa sostenuta dall’avvocato Angelo Giarda il 17 dicembre del 2014 disse: “… il Dna che è emerso dall’analisi delle cose… delle unghie della povera Chiara non sono riconducibili ad Alberto Stasi, cioè i marcatori utilizzabili al fine di identificare una precisa persona, non erano sufficienti per dire che erano di Alberto Stasi, perché i pochi marcatori che sono stati acquisiti potevano essere comuni a circa quaranta, cinquantamila uomini. Mi è venuta la tentazione, perché non prende anche il mio Dna vediamo cosa succede?”.
Che la procura appaia intenzionata ad archiviare lo si intuisce da un’altra conversazione intercettata dell’11 febbraio 2017. “Adesso aspettiamo, che da quanto ho capito sei mesi per archiviare, possiamo attendere”. Diverse volte viene tirato in ballo il nome dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni – che sarebbe a conoscenza di voci su una imminente archiviazione -, legale della famiglia della vittima, il motivo è tecnico: “Il discorso è che Tizzoni è l’unico che può essere informato” ammette lo stesso Sempio. L’unica parte offesa nella vicenda è infatti la famiglia Poggi e quindi sono gli unici a poter sapere in via ufficiale la decisione della Procura o anche apprenderla in via ufficiosa come può capitare nello scambio di informazioni tra inquirenti e parti civili.
“Questa merda di Dna” – È il 12 febbraio quando Sempio fa invece riferimento alle tracce genetiche attribuite a lui dal consulente della difesa Stasi dopo essere state prelevate da una tazzina di caffe e una bottiglietta di plastica da un investigatore privato. “Questa merda di Dna, ma cosa state dicendo….ma il fatto e che ormai alla gente piace discutere su quello perché se tu parti dal presupposto che c’è il mio Dna allora puoi discutere su tante cose…come c’è rimasto se non c’è rimasto, come ha fatto a trasmettersi se e vero che può essere rimasto… incomprensibile… se era un’aggressione se era sopra se era sotto… quelle minchiate lì”. Il Dna però è il tema centrale dell’archiviazione perché il gip boccia innanzitutto la consulenza accogliendo in toto la richiesta dei pm Giulia Pezzino e Mario Venditti.
“La consulenza Linarello è assai suggestiva ma totalmente priva di valore scientifico” scrive il giudice riportando le conclusioni degli inquirenti che l’avevano considerata “radicalmente priva di attendibilità”. Inoltre secondo il giudice la consulenza, come prospettato nella richiesta, era “viziata ab origine già nella formulazione del quesito” poiché pretendeva di confrontare i risultati con quelli della perizia di De Stefano che aveva già stabilito l’inutilizzabilità dei dati per definire “un’ipotesi di identità a causa di incostanze, artefatti e possibili contaminazioni”. Non attribuibile a Stasi, né a Sempio.
I pm ritenevano che “la consulenza Linarello” mostrava “criticità perché, pur sostenendo l’utilizzabilità di profili genetici parziali basandosi sull’altezza dei picchi” “omette inspiegabilmente di riportare dati compatibili con il Dna di Stasi (ad esempio, dal 4° dito della mano sinistra) che avrebbero dovuto avere analoga rilevanza”, e “si dimentica dei risultati che emergono dalla prima e dalla terza replica dell’estrazione del Dna, scegliendo per ciascun dito la replica migliore ai fini dell’attribuibilità a terzi, senza che la seconda replica avesse avuto conferme dalle altre”. Motivo per cui De Stefano aveva definito gli esiti: “Divergenti e incostanti, quindi del tutto inaffidabili”.
L’archiviazione – Per il giudice sarebbe bastato questa a chiudere il caso, ma dà atto agli inquirenti di aver esplorato tutto il resto: “Tanto basterebbe per chiudere le indagini a carico di Andrea Sempio. Il pubblico ministero, ad abundantiam, non ha mancato tuttavia di svolgere ulteriori considerazioni”. E anche su questo scrive il giudice che “non residuano concreti elementi indiziari a carico di Sempio” riguardante l’alibi, i post pubblicati su Facebook (quello indicato in alcune ricostruzioni come indiziante era stato pubblicato 28 minuti prima della sentenza di condanna di Stasi, ndr), che l’autore del delitto calzasse il 42 (mentre l’indagato il 44), che il 37enne avesse un bici rossa e non nera come quella vista da una testimone.
Inoltre il giudice boccia anche “l’insussistente ed addirittura inimmaginabile l’ipotetico movente” cioè che Sempio si fosse invaghito di Chiara Poggi “senza compiere alcun tentativo di avvicinamento e con modalità così brutali ed efferate come quelle poste in essere. È stato infatti escluso nel modo più completo – ricorda il giudice – che Chiara abbia subito tentativi di violenza sessuale, ed anche che vi sia stata una colluttazione o un abbozzo di difesa da parte della vittima. La pozza di sangue ritrovata sul pavimento di fronte alla porta di casa ha consentito di ricostruire che il primo colpo è stato sferrato immediatamente dopo che l’omicida è entrato in casa, sostanzialmente senza alcuna interlocuzione con la vittima”. La 26enne aprì la porta in pigiama e fu colpita nell’ingresso senza aver avuto il tempo di difendersi.
Il diritto di difendersi – Il gip a inizio e fine del provvedimento ha poi espresso le sue considerazioni su come era nata l’indagine. “Questo giudicante osserva anzitutto che l’iniziativa giudiziaria della madre del condannato Alberto Stasi, che ha dato origine al presente procedimento, supportata dagli elementi raccolti dalla
difesa del medesimo Stasi, si pone al limite della giuridica ammissibilità, pur mantenendosi all’interno di detto limite. In pratica, la odierna denunciate, conscia di non possedere gli elementi necessari a domandare la revisione del processo a carico del figlio, ha offerto, confidando sul principio costituzionale della
obbligatorietà dell’azione penale – scrive il gip – qualche parziale ed incompleto elemento al titolare delle indagini, in modo che quest’ultimo provvedesse ad attivarsi esplorando la serietà e consistenza degli elementi offerti e ne trovasse – auspicabilmente – di ulteriori. Per stimolare efficacemente l’attività pubblica di
indagine, d’altra parte, non sono sufficienti elementi nuovi meramente enunciati, necessitando piuttosto elementi concreti, suscettibili di riscontro e dotati di un fumus, seppur minimo, di attendibilità che renda ragionevole – e perciò doverosa – l’azione penale”.
Dopo aver valutato la richiesta: “In conclusione, se è (non condivisibile ma) umanamente comprensibile l’intento di fare di tutto per difendersi da una gravissima accusa, anche dopo l’esaurimento dei possibili gradi di giudizio ordinario, nel caso di specie ci si deve tuttavia arrestare difronte all’inconsistenza degli sforzi profusi dalla difesa Stasi e tendenti a rinvenire diverso, alternativo colpevole dell’uccisione di Chiara Poggi”.
L’allerta della procura generale – Sforzi che erano stati valutati, come riporta l’Ansa, anche dalla procura generale di Milano che all’ufficio di Pavia destinatario della denuncia della signora del fascicolo, aveva scritto un appunto di 13 pagine. Anche “nell’attualità, Alberto Stasi continua a fare quello che ha sempre fatto fin dall’immediatezza dell’evento, scegliendo il modo e il momento per tentare ancora una volta di condizionare l’azione degli investigatori (in questo caso di Pavia) con informazioni peraltro già scrutinate dai precedenti giudici”, come i “dati” sulle presunte telefonate sospette di Andrea Sempio. In 13 pagine la Procura generale di Milano manda all’allora aggiunto Venditti una serie di “osservazioni”.
I magistrati milanesi fanno presente che “i dati concernenti Sempio, a partire dalle conversazioni del 7 e 8 agosto 2007”, ossia le telefonate di lui verso casa Poggi, ritenute sospette anche nelle nuove indagini sull’amico del fratello di Chiara, fino “allo scontrino del parcheggio di Vigevano, sono già indicati con le stesse parole nella memoria della difesa” del 3 dicembre 2014 nell’appello bis. Sempre la Procura generale milanese parla di “informazioni già vagliate e giudicate del tutto irrilevanti” e “inidonee a consentire l’iscrizione” di Sempio, che invece venne indagato e archiviato dal gip. La Pg scrive ancora che l’amico storico di Marco Poggi “viene denunciato dalla società di investigazione privata, attraverso una lettura moca ed erronea dei dati processuali”. A solo “titolo di esempio – si legge nell’appunto – vengono non considerate le celle Tim agganciate dai telefoni degli amici di Sempio la mattina del 13 agosto 2007, per sostenere, in modo discordante dalle loro dichiarazioni, che Roberto Freddi e Mattia Capra alle ore 10 circa” erano “già lontani da Garlasco, lasciando intendere che erano coinvolti in oscure attività di supporto a Sempio”. Ipotesi che viene esplorata, anche in queste settimane dai pm di Pavia che hanno aperto la nuova inchiesta.
I “precedenti giudici hanno già valutato tali informazioni”, si legge ancora, “ritenendole prive di ogni collegamento con le risultanze processuali”. La “vita di Chiara, le sue frequentazioni, il suo ambito familiare”, si legge, tolgono “ogni razionalità e plausibilità pratica alla versione alternativa dell’amico del fratello”, quale possibile killer. Quel 7 e 8 agosto Sempio “chiama in cerca del fratello l’utenza di casa Poggi”. C’è il più “totale vuoto probatorio” su qualsiasi contatto tra i due. La Pg fa riferimenti pure alla “sistematica eliminazione di fonti di prova fondamentali” su Stasi da parte dell’allora comandante dei carabinieri di Garlasco, “maresciallo Marchetto”, condannato per aver sviato le indagini mentendo al gup di Vigevano Stefano Vitelli, e che continua a rilasciare dichiarazioni.
Già sospettato nel 2007 – Sempio, all’epoca del delitto 18enne, era già entrato nell’ampia rete di persone da controllare nel 2007 appunto perché frequentava la villetta di via Pascoli. Sospetti, poi scartati, ma che già allora furono destati dalle tre telefonate a casa Poggi nei giorni precedenti al delitto e che non avevano ragione di essere in quanto Sempio sapeva che l’amico Marco era in vacanza in montagna con i genitori. Ma al pm che aveva sentito Sempio nell’ottobre del 2008, proprio Marco Poggi aveva detto: “Io non ricordo di averlo detto espressamente ad Andrea. Non c’era l’abitudine fra noi ragazzi di salutarci quando uno partiva, anche perché era una questione di dieci giorni quindi non mi era nemmeno venuto in mente di mandare un messaggio o fare una telefonata per salutare”.
E poi aveva offerto la possibile spiegazione dei mancati contatti: “Non ricordo se ho ricevuto telefonate da parte di Andrea mentre ero in Trentino, non ricordo di aver avuto problemi di copertura del segnale della mia utenza mobile, se però mi chiamava durante la giornata è possibile che il segnale non ci fosse perché durante la giornata andavamo a fare delle passeggiate in luoghi di altitudine elevata dove spesso non c’era segnale. Ricordo ad esempio che il 13 agosto io e mio padre eravamo andati a fare una camminata in un luogo dove non c’era segnale quindi mia madre non riusciva a raggiungerci per comunicarci quello che era avvenuto quindi solo quando siamo arrivati in una baita ci hanno detto che ci avevano cercato e poi ci hanno portato giù con la jeep”.
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