Gaza, 600 ex capi e dirigenti di Idf e Servizi: “Questa non è più una guerra giusta, fermiamoci. Israele sta perdendo la sua identità”

  • Postato il 4 agosto 2025
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“Insieme, hanno più di mille anni di esperienza in sicurezza nazionale e diplomazia”, afferma una voce fuori campo nel video in cui venti di loro lanciano l’appello. Sono tra gli oltre 600 funzionari della sicurezza israeliani in pensione, tra cui ex capi del Mossad e dello Shin Bet, che hanno scritto al presidente degli Stati Uniti Donald Trump per chiedergli di fare pressione sul premier Benjamin Netanyahu affinché ponga fine alla guerra nella Striscia di Gaza. “Secondo il nostro giudizio professionale, Hamas non rappresenta più una minaccia strategica per Israele e la nostra esperienza ci dice che Israele ha tutto ciò che serve per gestire le sue residue capacità terroristiche, a distanza o in altro modo”, hanno scritto gli ex funzionari in una lettera condivisa con i media. “Questa guerra non è più una guerra giusta e sta portando lo Stato di Israele a perdere la sua identità“, ha avvertito Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet, in un video diffuso dal movimento Csi, Comandanti per la sicurezza di Israele, in occasione della pubblicazione della lettera. Tra i firmatari ci sono tre ex capi del Mossad (Tamir Pardo, Efraim Halevy, Danny Yatom), cinque ex dirigenti dello Shin Bet (Nadav Argaman, Yoram Cohen, Ami Ayalon, Yaakov Peri, Carmi Gilon) e tre ex capi di stato maggiore (Ehud Barak, Moshe Bogie Yàalon, Dan Halutz).

“A nome del Csi, il più grande gruppo israeliano di ex generali dell’esercito, del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e di corpi diplomatici equivalenti, vi esortiamo a porre fine alla guerra a Gaza. L’avete fatto in Libano. E’ ora di farlo anche a Gaza”, è l’appello rivolto a Trump. “L’Idf ha da tempo raggiunto i due obiettivi che potevano essere raggiunti con la forza: smantellare l’esercito e il governo di Hamas”, ritengono i membri del movimento. “Il terzo, e il più importante, può essere raggiunto solo attraverso un accordo: riportare a casa tutti gli ostaggi“, sottolineano. “Rintracciare i restanti alti funzionari di Hamas può essere fatto più tardi”, ma “gli ostaggi non possono aspettare”, insistono.

Rivolgendosi a Trump, i firmatari dicono che “la vostra credibilità presso la stragrande maggioranza degli israeliani rafforza la vostra capacità di guidare il primo ministro Netanyahu e il suo governo nella giusta direzione”. E concludono affermando che “porre fine alla guerra, riportare indietro gli ostaggi, porre fine alle sofferenze e formare una coalizione regionale-internazionale che aiuti l’Autorità Nazionale Palestinese (una volta riformata) a offrire ai cittadini di Gaza e a tutti i palestinesi un’alternativa ad Hamas e alla sua ideologia perversa”.

L’ex capo dell’intelligence militare Amos Malka sostiene che Israele è “da più di un anno oltre il punto in cui avremmo potuto porre fine alla guerra con un risultato operativo sufficiente”. Invece, sostiene l’ex direttore dello Shin Bet Nadav Argaman, “ora stiamo per lo più compensando le perdite”. “Siamo sull’orlo della sconfitta“, concorda l’ex direttore del Mossad Tamir Pardo. “Ciò che il mondo vede oggi è opera nostra“, afferma riferendosi alle terribili condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza, causate da lunghi mesi di guerra con Hamas. “Ci nascondiamo dietro una menzogna che abbiamo creato noi stessi. Questa menzogna è stata venduta all’opinione pubblica israeliana, e il mondo ha capito da tempo che non riflette la realtà”. “Ci sono momenti che rappresentano una bandiera nera in cui bisogna restare fermi e dire: fin qui e non oltre”, dichiara Yàalon. “In questo momento, abbiamo un governo che i fanatici messianici hanno trascinato in una certa direzione irrazionale”.

“Sono una minoranza”, concorda Cohen, “ma il problema è che la minoranza controlla la politica“. Sostiene che chiunque creda che Israele possa “raggiungere ogni terrorista, ogni fossa e ogni arma e allo stesso tempo riportare a casa i nostri ostaggi” sta coltivando una fantasia. I responsabili della sicurezza chiedono a coloro che attualmente ricoprono gli stessi incarichi di prendere posizione contro la continuazione della guerra. Devono “alzarsi coraggiosamente in piedi davanti al primo ministro e al governo e dire la loro… su questa guerra e sulla sua futilità“, afferma Argaman.

Domenica era stato Netanyahu a parlare della situazione degli ostaggi. Il primo ministro ha fatto appello alla Croce Rossa chiedendo che vengano forniti cibo e cure mediche solo agli ostaggi israeliani e affermando che “la menzogna della fame a Gaza diffusa da Hamas riecheggia nel mondo, mentre in realtà la fame sistematica è inflitta ai rapiti, che subiscono abusi fisici e psicologici brutali”. E in un video ha tentato di ribaltare le accuse di genocidio affermando che “i mostri di Hamas” stanno “affamando” gli ostaggi “come i nazisti affamavano gli ebrei. E quando vedo questo, capisco esattamente cosa vuole Hamas. Non vuole un accordo. Vuole spezzarci con questi video dell’orrore, con la propaganda menzognera che diffonde nel mondo, ha aggiunto Netanyahu riferendosi al video pubblicato dall’organizzazione al potere nella Striscia in cui un ostaggio è ritratto in un tunnel mentre scava una fossa e afferma “Sto morendo, sarà per me. “Noi non ci spezzeremo. Mi sento ancora più determinato a liberare i nostri figli rapiti, a eliminare Hamas, e garantire che Gaza non rappresenti mai più una minaccia”, afferma ancora il premier lasciando intendere di non avere intenzione di fermare la guerra.

Quello della fame nella Striscia è il terreno sul quale il governo israeliano sta strutturando la propria contro-narrazione: “Guardate le braccia di Evyatar David, un ostaggio israeliano, ridotto alla fame e sull’orlo del collasso. Ora guardate il braccio del suo rapitore palestinese di Hamas: forte, ben nutrito, che mostra una lattina. Quindi chi sta davvero morendo di fame a Gaza?”, ha scritto sabato in un post su X il ministero degli Esteri israeliano Gideon Sàar commentando il video shock diffuso da Hamas, in un cupo parallelismo con i gazawi che muoiono di fame.

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