Gaza, così monta la protesta dei Paesi europei contro Israele: boicottaggi e sanzioni. Ma l’Italia sta con Netanyahu
- Postato il 21 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ci sono voluti due anni e mezzo di guerra e massacri a Gaza, ma adesso alcuni Paesi europei hanno deciso di muoversi e prendere i primi provvedimenti contro Israele. Riconoscimento dello Stato di Palestina, esclusione da competizioni sportive e culturali, fino all’ipotesi di sanzioni sono le proposte degli Stati del Vecchio Continente che, all’alba della nuova massiccia offensiva di Tel Aviv nella Striscia ribattezzata Carri di Gedeone, hanno deciso che è arrivato il momento di mettere pressione al governo di Benjamin Netanyahu affinché fermi lo sterminio della popolazione palestinese. Le tempistiche e la contiguità degli annunci, in vista del Consiglio Esteri Ue del 20 maggio, lasciano intendere che a spazientire i governi europei sia stato l’ultimo videomessaggio del premier israeliano nel quale annunciava massima pressione su Gaza, spiegando però di dover evitare una carestia “perché altrimenti i nostri alleati non ci sosterrebbero”. Un calcolo puramente politico e opportunistico fatto sulla vita di civili che non è piaciuto sull’altra sponda del Mediterraneo. Spagna, Francia, Regno Unito e altri Paesi hanno già annunciato provvedimenti, altri rimangono invece in silenzio ed evitano di prendere posizione pubblicamente. Compreso il governo italiano di Giorgia Meloni che si è espresso contro la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele secondo gli standard europei in tema di diritti umani.
Riconoscere lo Stato di Palestina
A rilanciare il tema del riconoscimento dello Stato di Palestina è un peso massimo all’interno dell’Europa: la Francia. La responsabilità dell’annuncio se l’è presa il ministro degli Esteri, Jean-Noel Barrot: “Non si può lasciare ai bambini di Gaza, come eredità, la violenza e l’odio – ha detto ai microfoni di France Inter – Quindi bisogna che tutto finisca ed è per questo che siamo determinati a riconoscere lo Stato di Palestina”. Il riconoscimento ufficiale potrebbe avvenire nella conferenza internazionale del 17-20 giugno co-presieduta da Francia e Arabia Saudita per rilanciare la soluzione dei due Stati.
La République è solo l’ultimo di un sempre più folto gruppo di Stati europei che hanno deciso di riconoscere lo Stato di Palestina. Processo accelerato dall’invasione di Gaza seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. A maggio 2024 furono Spagna, Irlanda e Norvegia a compiere ufficialmente il passo. Se anche Parigi facesse lo stesso sarebbero 23 i Paesi europei, tra cui 13 dell’Unione, ad aver riconosciuto la Palestina. Tra questi non c’è l’Italia.
Sanzioni e revisione dell’accordo Israele-Ue: la discussione a Bruxelles
A Bruxelles, intanto, si è tenuto il Consiglio Affari Esteri nel quale si è discusso della posizione da tenere sulla crisi in Medio Oriente. I temi sul tavolo sono senza precedenti, se si parla di Israele. Il primo passo in questo senso lo hanno compito i Paesi Bassi che hanno proposto di rivedere l’accordo di associazione Ue-Israele sulla base dell’articolo 2 dei Trattati nel quale si stabilisce che l’Unione europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. L’obiettivo è mettere pressione su Tel Aviv affinché si allinei a questi valori, ampiamente violati nella sua operazione militare a Gaza. Alla fine, 17 Paesi membri hanno appoggiato la proposta, altri dieci invece l’hanno ostacolata. Tra i ‘no’ c’è quello dell’Italia.
C’è poi il tema delle sanzioni, questione più spinosa soprattutto se ci si riferisce non solo ai coloni violenti ma anche a entità statali. Sempre il ministro olandese ha continuato dicendo che “le preoccupazioni che nutriamo nei confronti della situazione nella Striscia di Gaza sono ampiamente condivise nell’Ue. Un ulteriore pacchetto di sanzioni contro i coloni violenti e le loro organizzazioni in Cisgiordania” è necessario, in linea con quanto suggerito da Regno Unito, Francia e Canada. E a seguire questa strada è anche il Belgio che, ha spiegato il ministro degli Esteri Maxime Prévot, vorrebbe colpire i coloni israeliani violenti, i funzionari di Hamas e i leader politici e militari di entrambe le parti responsabili di atrocità. “Le dichiarazioni non bastano più di fronte alla terribile situazione sul campo. Le azioni diplomatiche e operative concordate dal governo centrale aprono nuove prospettive e consentono al Belgio di mantenere la sua credibilità come costante difensore del diritto internazionale, in particolare del diritto umanitario”, ha dichiarato il capo della diplomazia.
Non solo il Belgio, però, segue la proposta. Anche la Svezia è d’accordo e, anzi, è ancora più dura precisando che il provvedimento dovrebbe colpire direttamente gli esponenti del governo Netanyahu: “Dato che non vediamo un netto miglioramento per i civili di Gaza, dobbiamo alzare ulteriormente i toni – ha dichiarato il ministro degli esteri di Stoccolma, Maria Malmer Stenergard – Pertanto, ora faremo pressione affinché l’Ue imponga sanzioni anche contro singoli ministri israeliani”. Posizione simile a quella della Spagna ed esplicitata dal ministro Jose Manuel Albares: “È finito il tempo delle parole. È arrivato il momento per l’Unione europea di agire con tutti gli strumenti alla sua portata per fare pressione diplomatica su Israele. L’operazione israeliana non ha alcun senso salvo che si voglia convertire Gaza in un enorme cimitero“.
La Spagna in pressing su Israele
Di proposte per colpire Netanyahu, però, la Spagna ne aveva già fatte tante. Dopo la decisione di cancellare l’accordo per la fornitura di munizioni prodotte da una società israeliana, sotto la spinta degli alleati di governo di Sumar, il capo dell’esecutivo Pedro Sanchez aveva dichiarato che “la Spagna non commercia con uno Stato genocida“. Dichiarazioni che, dopo il riconoscimento ufficiale della Palestina, hanno alzato di nuovo la tensione tra Tel Aviv e Madrid, tanto che il ministero degli Esteri dello Stato ebraico ha deciso di convocare l’ambasciatrice spagnola per protestare. Il giorno dopo, però, il premier è tornato ad appellarsi alla comunità internazionale affinché si “alzi la voce” contro l’operato di Israele a Gaza, chiedendo anche di mettere pressione affinché Netanyahu “metta fine al massacro“. Sanchez ha aggiunto che presenterà una bozza di risoluzione all’Onu chiedendo alla Corte internazionale di giustizia di “decidere sul rispetto da parte di Israele dei suoi obblighi internazionali”.
Il Paese iberico, proprio come il Belgio, ha anche deciso di ignorare il veto dell’organizzazione dell’Eurovision che ha chiesto di lasciare fuori dalla manifestazione qualsiasi rivendicazione di tipo politico. Così i due Paesi, prima dello show, hanno mandato in onda un messaggio di sostegno alla popolazione di Gaza. E sul tema si è espresso sempre Sanchez: “Credo che nessuno si sia messo le mani nei capelli quando tre anni fa iniziò l’invasione russa dell’Ucraina e si decise di escludere la Russia dalle competizioni internazionali, compreso l’Eurovision, come abbiamo visto questo fine settimana. Perciò non dovrebbe partecipare neppure Israele, perché quello che non possiamo permettere sono i doppi standard, tanto meno nella cultura”. E anche nello sport, evidentemente, l’approccio di Madrid è lo stesso: la portavoce ufficiale dell’esecutivo spagnolo, Pilar Alegría, ha precisato che il governo spagnolo è “disposto a partecipare a un dibattito” sull’eventualità di escludere Israele da competizioni sportive internazionali.
Le conseguenze si registrano anche in ambito commerciale. Sulla scia di quella decisione presa dall’esecutivo, il Congresso dei deputati si avvia ad ammettere all’esame dell’aula la proposta di legge presentata da Sumar volta a impedire la compravendita di materiale militare con Israele. Proposta che riceverà anche l’appoggio sia dei Socialisti che degli indipendentisti catalani di Junts, secondo i media iberici. Nello specifico, sarà dichiarato un embargo nei confronti degli Stati che siano stati “denunciati davanti a un tribunale internazionale la cui giurisdizione sia stata ratificata dalla Spagna” per aver commesso un “crimine di genocidio, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti contro beni di carattere civile o persone civili protette in quanto tali”. Situazione che ricalca quella di Israele. Riguardo ai materiali, la proposta di legge prevede l’embargo su qualsiasi risorsa che possa servire all’esercito israeliano nella sua offensiva contro il popolo palestinese, anche se si tratta di materiale di polizia e antisommossa o di carburante per aerei, carri armati e altri veicoli, oltre a introdurre un protocollo di sorveglianza affinché il governo disponga l’ispezione del carico degli aerei e delle navi che transitano in Spagna con destinazione “un Paese terzo”, qualora si possa “ragionevolmente dedurre che il loro carico possa avere come destinazione finale il territorio di uno Stato colpito da un embargo”. Posizione ben diversa, ad esempio, da quella dell’Italia che, invece, continua a fare affari con Israele nel campo della Difesa.
Il Regno Unito convoca l’ambasciatore e sospende i negoziati commerciali
Anche al di là della Manica si è deciso che ogni linea rossa è stata superata. Così, nel giorno in cui i Paesi Ue si riunivano a Bruxelles per decidere la posizione da tenere nei confronti di Israele, a Londra il premier parlava di fronte alla Camera dei Comuni: “Non possiamo permettere che la popolazione di Gaza muoia di fame”, il livello di sofferenza nella Striscia è “totalmente intollerabile” e si è detto “inorridito dall’escalation da parte di Israele”. E le conseguenze di queste politiche le ha annunciate poco dopo il ministro degli Esteri, David Lammy, annunciando di aver convocato l’ambasciatore israeliano. Downing Street ha poi comunicato la decisione di sospendere i negoziati commerciali con Israele su un trattato di libero scambio post Brexit.
Ue di nuovo bloccata: anche l’Italia contraria alle ritorsioni su Tel Aviv
Per trasformare questi segnali in una vera svolta, però, serve unità. Come è noto, gran parte delle decisioni prese dal Consiglio Ue hanno bisogno dell’unanimità. E anche le ritorsioni contro Israele non fanno eccezione. Tanto che nel summit del 20 maggio non si è trovata l’intesa nemmeno sulle nuove sanzioni ai coloni israeliani violenti a causa del ‘no’ dell’Ungheria di Viktor Orbán che già si era distinto per aver ospitato a Budapest Benjamin Netanyahu, nonostante sul premier israeliano penda un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per “crimini contro l’umanità”. Anche sulla revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, però, dieci Paesi si sono tirati indietro. Tra questi, secondo quanto emerge nel momento in cui si scrive, c’è anche l’Italia, con il governo Meloni che conferma la sua posizione saldamente pro-Israele nonostante i massacri. D’altra parte, lo aveva spiegato meno di una settimana prima nel corso di un question time alla Camera: le conversazioni con Netanyahu sono state “difficili”, la situazione umanitaria a Gaza è “drammatica e ingiustificabile”, ma, in fondo, “non è stato Israele a iniziare le ostilità“.
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