Gaza, dai 9 figli della dottoressa al-Najjar ai giornalisti uccisi dall’Idf: il Nasser Hospital è un luogo simbolo del massacro dei palestinesi
- Postato il 25 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Fu il primo obiettivo colpito il 7 ottobre 2023, appena poche ore dopo le stragi che spalancarono “le porte dell’inferno”, per dirla con il ministro degli Esteri Israel Katz. I primi morti, almeno 8, mietuti nel perimetro delle sue mura sarebbero arrivati poche settimane più tardi, il 9 novembre. Ma quando si parla del Nasser Hospital in ballo non c’è solo la quotidiana, sconfortante conta delle vittime causata dai raid delle Israel Defense Forces sulla Striscia di Gaza. L’ospedale di Khan Younis, dove oggi un duplice raid ha ucciso 20 persone tra cui 5 giornalisti, è un crocevia in cui si intersecano destini e storie della guerra di Tel Aviv contro Hamas.
In condizioni di emergenza perpetua a causa dei bombardamenti e della penuria di materiali causata dalla stretta israeliana sugli aiuti, il Nasser Hospital riceve ogni giorno la maggior parte delle vittime e dei feriti dei raid che Israele effettua nel sud della Striscia. Per i vertici militari la struttura è un covo di Hamas e sulla città pende la maledizione della Brigata Khan Yunis, che Tel Aviv considera la “Brigata natale dei leader dell’organizzazione terroristica Yahya Sinwar e del capo delle Brigate Qassam, Muhammad Deif“. Tanto che tra il gennaio e il febbraio 2024 l’Idf l’aveva circondata con i carri armati e assediata per diverse settimane e ad aprile, quando l’esercito aveva allentato la presa, nell’area del nosocomio era stata trovata una fossa comune: al 25 del mese, faceva sapere l’Ufficio per gli affari umanitari (Ocha) dell’Onu, vi erano sepolti stati almeno 324 corpi. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) chiedeva un’indagine internazionale, ma un’altra ben più pesante era già in corso: in quel periodo gli investigatori della Corte Penale Internazionale stavano raccogliendo testimonianze dal personale del Nasser nell’inchiesta su presunti crimini di guerra commessi da Israele.
Vallis lacrimarum in cui si riversa il dolore patito dai civili palestinesi nella Striscia meridionale, il Nasser è stato anche il primo privilegiato osservatorio del fattore che ha caratterizzato la percezione della guerra negli ultimi mesi: le sofferenze inflitte ai bambini. Nelle sue corsie il 24 dicembre 2024 erano stati trasportati Sila al-Faseeh, 3 settimane di vita, e altri due bambini, uno di 3 giorni e l’altro di un mese, morti per ipotermia in uno dei campi profughi allestiti nell’area di al Mawasi, lungo la costa mediterranea. Al Nasser lavorava anche Alaa al-Najjar. Venerdì 23 maggio la dottoressa, 38 anni, era in servizio e non si è stupita quando attorno alle 14 ha accolto in pronto soccorso le ambulanze che scaricavano i corpi di alcuni bambini. Ma quei bimbi erano 8 dei suoi 10 figli. Il più piccolo di 3 anni, il più grande di 12. Insieme a loro, in fin di vita, c’era il marito Hamdi, anch’egli medico del Nasser, padre dei piccoli, che sarebbe morto qualche giorno dopo. Erano tutti nella loro casa, distante meno di un chilometro, quando l’abitazione era stata colpita da un missile israeliano. Si è salvato solo Adam, il secondogenito.
Oltre a essere ricettacolo di feriti è cadaveri, più volte l’ospedale è diventato obiettivo esso stesso. Il 23 marzo le bombe di Tel Aviv colpivano il reparto di chirurgia della struttura. Tra le vittime un comunicato dell’esercito citava “Ismail Barhoum, responsabile delle finanze e delle istituzioni di Hamas nell’ufficio politico dell’organizzazione terroristica, e successore di Essam al-Da’alis, ex capo del governo di Hamas, eliminato la scorsa settimana”. Stesse scene il 13 maggio: questa volta l’obiettivo era Hassan Eslaih, giornalista, ricoverato nel reparto ustionati dopo un attacco sferrato dall’Idf a una tenda per i media situata fuori dallo stesso ospedale. Per l’esercito Eslaih era un “terrorista della Brigata Khan Yunis” che aveva partecipato a massacri del 7 ottobre.
Di massacri anche i medici del Nasser continuano a vederne ogni giorno. Gli ultimi in ordine di tempo sono quelli che dal 27 maggio si consumano nell’area di Rafah, che da Khan Younis dista una quindicina di km. Lì da quel giorno è operativo uno dei centri in cui opera la Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione privata creata da Israele e Stati Uniti per gestire gli aiuti umanitari. Sempre lì quasi ogni giorno i miliziani privati a cui è affidata la sicurezza della struttura e i soldati israeliani aprono il fuoco contro chi chiede cibo. Tra il 27 maggio e il 13 agosto l’Onu ha registrato almeno 1.760 palestinesi uccisi nei dintorni dei centri. L’afflusso di cadaveri al Nasser è talmente elevato che il 2 luglio l’ospedale ha annunciato di non poter più seppellire i defunti nella sua area poiché lo spazio è finito: “I cimiteri non sono più in grado di contenere il numero di morti”.
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