Gaza, il giorno dopo: il fragile respiro della pace

  • Postato il 9 ottobre 2025
  • Attualità
  • Di Paese Italia Press
  • 2 Visualizzazioni

di Francesco Mazzarella

C’è un silenzio nuovo a Gaza.

Non è ancora pace, ma assomiglia a un respiro trattenuto: dopo mesi di bombardamenti, polvere e sirene, la tregua firmata tra Israele e Hamas per la “prima fase” dei negoziati appare come una sospensione della morte, più che una nascita della vita. Le strade distrutte cominciano a riempirsi di passi incerti, i bambini guardano il cielo cercando un colore che non sia il fumo, e gli ospedali — quei pochi ancora in piedi — tentano di trasformare il rumore delle ambulanze in voci di speranza.

L’accordo, mediato sotto forte pressione internazionale, è stato definito una “prima fase”: una formula diplomatica che lascia intendere prudenza, ma anche ambiguità.

Israele ha accettato un parziale ritiro delle truppe da alcune aree di Gaza e l’apertura di corridoi umanitari per cibo e medicine. In cambio, Hamas libererà un primo gruppo di ostaggi israeliani, mentre lo Stato ebraico rilascerà prigionieri palestinesi detenuti per motivi di sicurezza. Entrambe le parti hanno dichiarato “impegno reciproco”, ma la fiducia, quella vera, resta la merce più rara del Medio Oriente.

Dietro la firma c’è il lavoro silenzioso di molti. Gli Stati Uniti, l’Egitto e il Qatar hanno esercitato pressioni determinanti per evitare un nuovo collasso umanitario.

L’ONU ha parlato di “spiraglio necessario”, mentre l’Unione Europea, per voce dell’Alto rappresentante per la politica estera, ha definito la tregua “un primo passo, ma fragile come la sabbia”.

Da Roma, Papa Leone XIV ha lanciato un appello vibrante: “Non basta fermare le armi, bisogna disarmare i cuori. La pace non è una pausa nel conflitto, ma una scelta quotidiana di riconoscimento reciproco.”

Eppure, sul campo, i sentimenti oscillano tra sollievo e sospetto.

A Tel Aviv, molti israeliani temono che Hamas utilizzi la tregua per riorganizzarsi. A Gaza, le famiglie sopravvissute si chiedono se potranno mai ricostruire case e dignità in un territorio ridotto in macerie.

Il governo di Benjamin Netanyahu, logorato da mesi di contestazioni interne, appare diviso: una parte vede nella tregua un’opportunità politica per uscire dall’impasse, un’altra la considera un segno di debolezza.

Dall’altra parte, la leadership di Hamas è a sua volta frammentata tra l’ala militare, che parla ancora di “resistenza”, e quella politica, che tenta di presentarsi come interlocutore riconoscibile nel nuovo scenario mediorientale.

Sul piano geopolitico, il cessate il fuoco rappresenta un cambio di tono più che di sostanza.

Dopo un anno di escalation che ha spinto milioni di civili alla fame e alla fuga, la tregua serve a riaprire i canali diplomatici e a calmare la pressione delle piazze arabe, dove la solidarietà con Gaza è diventata anche strumento di politica interna.

L’Arabia Saudita, pur mantenendo una posizione prudente, ha salutato l’accordo come “un passo nella direzione giusta”, mentre l’Iran ha parlato apertamente di “resistenza vittoriosa”, usando la tregua come trofeo politico.

È la prova che, nel Medio Oriente del 2025, la parola “pace” è ancora un campo di battaglia semantico, conteso da ideologie, religioni e poteri.

Ma oltre le diplomazie, ci sono i volti.

Le madri di Gaza che stringono fotografie di figli mai tornati.

Le famiglie israeliane che contano i giorni senza notizie degli ostaggi.

I medici, gli operatori umanitari, i giornalisti che continuano a raccontare, curare, accompagnare nel silenzio.

Sono loro, più dei leader politici, a incarnare la possibilità di una pace reale: quella che non nasce nei palazzi, ma nei gesti quotidiani di chi sceglie di non odiare.

Eppure, la diffidenza è una ferita profonda.

Ogni tregua, in questa terra, sembra un copione già scritto: pochi giorni di quiete, poi un missile, un attentato, una rappresaglia, e tutto ricomincia.

La vera domanda è se Israele e Hamas vogliano davvero cambiare paradigma — non solo fermare il fuoco, ma trasformare la logica del nemico.

Perché la pace non si costruisce con la paura dell’altro, ma con la fatica di riconoscerlo.

L’ONU ha già proposto una missione di osservatori civili per monitorare l’accordo e prevenire violazioni. L’Unione Europea, da parte sua, punta a riaprire i fondi per la ricostruzione di Gaza, vincolandoli però al rispetto dei diritti umani.

Ma senza una volontà reale di convivenza, ogni piano internazionale rischia di diventare un esercizio di diplomazia sterile.

È per questo che molti analisti parlano di “pace amministrata”: un equilibrio precario, mantenuto da forze esterne, ma privo di radici nel tessuto sociale.

Il conflitto israelo-palestinese resta, in fondo, uno specchio deformante delle nostre stesse contraddizioni: la paura di perdere il potere, il bisogno di sicurezza, la tentazione di ridurre l’altro a minaccia.

E forse proprio qui si gioca la sfida più profonda — non solo per Israele e Hamas, ma per l’intera umanità.

Perché se un popolo può abituarsi al dolore fino a renderlo normale, allora la guerra ha già vinto anche senza sparare.

La vera pace, quella evocata nelle preghiere e nei summit, non è solo un obiettivo politico, ma un atto relazionale.

Richiede memoria, perdono, reciprocità.

Richiede leader capaci di ascoltare, non solo di comandare.

Richiede comunità che sappiano curare la paura con la fiducia, e la vendetta con la giustizia.

Forse non è un caso che l’accordo sia stato definito “prima fase”: la pace, come la guarigione, procede per tappe, e non c’è garanzia di successo. Ma ogni fase apre una possibilità — e questo, in Medio Oriente, è già un evento.

Nelle rovine di Gaza, un bambino ha scritto su un muro: “Quando le bombe tacciono, io sogno.”

Forse è da lì che bisogna ripartire: dal sogno di chi non ha potere, ma conserva ancora la capacità di immaginare.

Perché la pace non è la fine della guerra, ma il coraggio di crederci quando nessuno ci crede più.

E quel coraggio, fragile e tenace, oggi si chiama ancora speranza.

L'articolo Gaza, il giorno dopo: il fragile respiro della pace proviene da Paese Italia Press.

Autore
Paese Italia Press

Potrebbero anche piacerti