Gaza, la falsa equivalenza di Hamas e la guerra tra clan che insanguina la Striscia
- Postato il 13 ottobre 2025
- Di Panorama
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Mentre Hamas e i suoi sostenitori cercano di costruire una presunta «equivalenza morale» tra gli ostaggi israeliani rapiti — molti dei quali trascinati via in pigiama dalle proprie case — e i miliziani islamisti detenuti per stragi o per aver progettato massacri, la propaganda del movimento diffonde l’ennesima menzogna. Hamas ha sequestrato 251 persone, sottoponendole a torture e privazioni: 28 di loro non sono sopravvissute. Israele, nel quadro degli accordi di rilascio, si trova ora a liberare alcuni tra i peggiori criminali al mondo, individui che potrebbero tornare a uccidere ebrei innocenti. Dal Ministero degli Esteri israeliano arriva una nota durissima: «Lo facciamo perché amiamo la vita e vogliamo che i nostri cari tornino a casa. Accetteremo il rischio. Non credete alla menzogna di Hamas: non esiste alcuna equivalenza. Loro sono il male, gli ostaggi sono vittime innocenti. Sono due poli opposti, non due realtà comparabili».
Nel frattempo, la Striscia è di nuovo preda del caos. Almeno 27 persone sono morte nei violenti combattimenti esplosi a Gaza City tra le forze di sicurezza di Hamas e gli uomini armati della potente famiglia Dughmush, in quello che appare come il più grave scontro interno dalla fine delle principali operazioni israeliane. Testimoni locali riferiscono che i miliziani di Hamas, incappucciati e armati, hanno circondato i combattenti del clan nei pressi dell’ospedale giordano. Un funzionario del Ministero degli Interni di Hamas ha spiegato che le unità di sicurezza avevano «ingaggiato duri combattimenti per arrestare i ribelli». Otto membri del movimento islamista sono rimasti uccisi in quello che il ministero ha definito «un attacco armato condotto da una milizia». Fonti mediche confermano 19 vittime tra i Dughmush e otto tra i miliziani di Hamas. Gli scontri, iniziati sabato, si sono concentrati nel quartiere di Tel al-Hawa, dove circa 300 uomini di Hamas hanno assaltato un isolato residenziale. Decine di famiglie sono fuggite nel panico, molte già sfollate durante la guerra. «Questa volta non scappavamo dagli attacchi israeliani – racconta un residente – ma dalla nostra stessa gente».
La morte di Mr. Fafo
Durante la notte, il conflitto interno ha fatto un’altra vittima eccellente: il clan Dughmush ha rapito e poi ucciso Saleh al-Jafrawi, ventenne palestinese noto come «Mr. FAFO» – acronimo di Fuck Around and Find Out. In una Gaza lacerata dalla guerra, al-Jafrawi era diventato una celebrità dei social, con milioni di follower su Instagram e TikTok. Aperto sostenitore di Hamas, filmava bombardamenti, corpi mutilati e bambini in lacrime, alternando toni propagandistici e un umorismo nero che gli aveva procurato tanto consenso quanto accuse di cinismo. Le sue clip, girate tra le macerie, raccontavano la guerra attraverso la lente della spettacolarizzazione: un simbolo della nuova propaganda digitale di Hamas.
I Dughmush, tra i clan più ricchi e armati di Gaza, da anni nutrono un rapporto di ostilità con Hamas. Il Ministero degli Interni del gruppo islamista ha sostenuto di voler solo «ristabilire l’ordine», avvertendo che «qualsiasi attività armata al di fuori della resistenza» sarà repressa con fermezza. Ma entrambe le fazioni si accusano a vicenda di aver provocato l’escalation. Hamas afferma che gli uomini del clan avevano ucciso due suoi combattenti e ferito altri cinque, mentre una fonte vicina ai Dughmush racconta che gli islamisti hanno tentato di sfrattarli da un edificio — l’ex ospedale giordano, dove la famiglia si era rifugiata — per trasformarlo in una nuova base militare. Secondo fonti locali, Hamas ha richiamato oltre 7.000 uomini delle proprie forze di sicurezza per ristabilire il controllo nelle aree di Gaza evacuate dalle truppe israeliane.Non è la prima volta che Hamas e i Dughmush si massacrano tra loro. Era già accaduto dopo il cessate il fuoco di Sharm el-Sheikh, firmato pochi mesi fa. Il clan si oppose al gruppo islamista sin dal 2007, quando Hamas prese il potere nella Striscia sterminando centinaia di membri di Fatah e dell’Autorità Nazionale Palestinese. Alcuni Dughmush si unirono alle Brigate al-Qassam, ma la maggior parte scelse di resistere, perdendo decine di parenti. Destino simile per i clan Hillis e al-Majida, anch’essi colpiti da vendette e rastrellamenti. Proprio gli al-Majida, la scorsa settimana, si erano scontrati con Hamas quando un raid israeliano ha centrato una base del gruppo.Nel vuoto di potere che domina Gaza, le rivalità tribali e le ambizioni di vendetta alimentano una spirale di violenza che nessuno sembra più in grado di contenere. Hamas cerca di mantenere il controllo dispiegando uomini in abiti civili e agenti in uniforme blu, ma nega pubblicamente di aver «schierato combattenti nelle strade».
Condannata a 1 anno e sei mesi Cecilia Parodi
Infine è stata condannata a un anno e 6 mesi, per “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale” e per diffamazione aggravata dall’odio razziale, Cecilia Parodi, scrittrice, attivista e relatrice propal in alcuni convegni, imputata a seguito della denuncia della senatrice a vita Liliana Segre. Il processo con rito abbreviato vedeva al centro un video choc, pubblicato su Instagram, nel quale Parodi aveva affermato, tra le altre cose, “odio tutti gli ebrei”, oltre a frasi antisemite contro la sopravvissuta alla Shoah. La sentenza è stata emessa dal Gup di Milano Luca Milani, dopo le indagini del pm Leonardo Lesti. Il giudice, nel processo in cui la senatrice era parte civile con l’avvocato Vincenzo Saponara, ha condannato l’imputata a un anno e 6 mesi con la sospensione condizionale “subordinata” alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza per 20 giorni sul sito del Ministero della Giustizia. Con la sentenza sono state disposte anche provvisionali di risarcimento danni per tutte le parti civili: 10mila euro a carico di Parodi e a favore di Segre, 5mila euro a favore di The International Association of Jewish Lawyers and Jurists e 500 euro per il suo presidente, assistiti dal legale Luigi Florio, e altri 5mila euro per l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con l’avvocato Tommaso Levi. Su Instagram, stando a quanto ricostruito, Parodi aveva prima usato espressioni antisemite contro la senatrice e poi, dopo un commento di un utente, aveva pronunciato una serie di affermazioni come “odio tutti gli ebrei, odio tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo… A questo proposito l’Ucei ha commentato la sentenza: «Nell’ora in cui tornano alle loro case gli ultimi ostaggi vivi – rapiti nel corso del più crudele pogrom che il popolo ebraico ha subito dalla Shoah – e si inizia a vedere all’orizzonte un possibile futuro di pace e prosperità per le popolazioni del medio oriente, ci giunge notizia della condanna in primo grado alla signora Cecilia Parodi per diffamazione aggravata nei confronti della Senatrice Segre e propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale per i contenuti di un video dalla stessa realizzato e diffuso.Una decisione che rimarca il ripudio dei nostri sistemi democratici nei confronti dell’incitamento all’odio, l’importanza delle norme e di giudici consapevoli, a tutela del vivere civile tra tutti i cittadini».