Gaza rilascia i primi ostaggi, Trump atteso in Israele
- Postato il 13 ottobre 2025
- Di Panorama
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La lista trasmessa da Hamas conferma ciò che a Gerusalemme si sapeva: a tornare oggi in Israele saranno soltanto uomini, tutti giovani. Il più anziano ha 48 anni. Nessuno degli ostaggi anziani sequestrati il 7 ottobre è sopravvissuto; donne e bambini erano stati liberati nei precedenti scambi o risultano deceduti. Nelle prossime ore, forse già in serata, saranno consegnati anche i resti di 28 prigionieri, chiusi in altrettanti sacchi funebri. Le famiglie attendono nella base di Re’im, allestita al confine sud, dove gli elicotteri militari sono pronti a trasferire i liberati verso tre ospedali diversi, a seconda delle loro condizioni. A preoccupare è lo stato di salute dei sopravvissuti: ex ostaggi e immagini recenti mostrano corpi emaciati, volti segnati, fragilità psicologiche profonde.
Alle 7 di mattina (ora italiana) sono stati rilasciati i primi sette israeliani: Eitan Mor, soprannominato «l’ostaggio invisibile»; i gemelli Gali e Ziv Berman, rapiti a Kfar Aza insieme a Emily Damari; il soldato Matan Angrest; Omri Miran, 48 anni, il più anziano; il pianista Alon Ohel, che ha perso un occhio durante la detenzione; e Guy Gilboa-Dalal. Tutti sono stati consegnati alle Forze di Difesa israeliane, ma senza immagini pubbliche: per scelta del governo non è stato diffuso alcun video, per evitare spettacolarizzazioni.
Secondo Al Jazeera, la seconda fase delle liberazioni è prevista alle 10:00, nella parte meridionale della Striscia.
Nei reparti d’accoglienza, accanto ai letti riservati agli ostaggi, è stato lasciato un messaggio firmato dal premier Benjamin Netanyahu e da sua moglie Sara: «A nome di tutto il popolo d’Israele, bentornato. Ti abbiamo aspettato. Ti abbracciamo». Il biglietto fa parte dei kit di benvenuto predisposti dall’Autorità per gli ostaggi, che comprendono abiti nuovi, prodotti per l’igiene, un laptop, un cellulare e un tablet.
Intanto Tel Aviv rende omaggio al presidente americano Donald Trump con un gigantesco cartello comparso sulla spiaggia, ripreso da Channel 12. L’insegna, visibile anche dagli aerei in fase d’atterraggio, mostra la scritta «Grazie» accanto al profilo di Trump, sospeso sopra due bande blu e stelle di David che richiamano la bandiera israeliana. Nella grafica compare anche la parola «casa», scritta in inglese ed ebraico. Trump è atteso nelle prossime ore in Israele per celebrare la fine della guerra e la restituzione dei 48 ostaggi ancora vivi, nell’ambito del cessate il fuoco da lui patrocinato. Gli aerei diretti all’aeroporto Ben Gurion sorvolano la costa di Tel Aviv: il presidente potrebbe scorgere il messaggio direttamente dall’Air Force One.
Il presidente israeliano Isaac Herzog ha annunciato l’intenzione di conferire a Trump la più alta onorificenza civile del Paese, in segno di riconoscenza per il suo ruolo decisivo nella liberazione dei prigionieri. «Herzog informerà Trump della decisione di assegnargli la medaglia del Presidente israeliano come riconoscimento per i suoi sforzi nel riportare a casa gli ostaggi», si legge nel comunicato ufficiale, precisando che la cerimonia si terrà «nei prossimi mesi, in data e luogo da definire». Trump parlerà oggi alla Knesset, il parlamento israeliano, in coincidenza con l’arrivo degli ultimi ostaggi vivi. Un discorso che chiuderà simbolicamente due anni di conflitto e aprirà la fase più delicata della tregua: quella in cui la pace, ancora fragile, dovrà trasformarsi in stabilità.
Ma dietro l’emozione del ritorno e l’immagine di un Paese che riabbraccia i suoi figli, resta l’abisso della barbarie. Nessuna trattativa, nessun gesto di clemenza potrà cancellare l’orrore inflitto da Hamas nei lunghi mesi di prigionia. Le testimonianze parlano di violenze, umiliazioni, privazioni. E il caso dei fratellini Bibas, Ariel e Kfir, di appena quattro anni e dieci mesi, e della loro madre Shiri, è il simbolo più atroce di questa disumanità.
Strappati da casa durante il massacro del 7 ottobre, trascinati a Gaza come trofei di guerra, sono stati tenuti in ostaggio per settimane. Poi, come hanno provato le indagini israeliane, brutalmente assassinati. Hamas aveva tentato di far ricadere la colpa su un presunto bombardamento israeliano, ma i riscontri forensi hanno smentito quella menzogna: a ucciderli sono stati i loro carcerieri. I corpi dei piccoli, restituiti a Israele, portavano segni di violenza e mutilazioni. Quella scena — una madre abbracciata ai suoi figli, uccisi perché ebrei — resterà per sempre il volto più crudele del terrorismo jihadista. È il promemoria di ciò che accade quando l’odio prende il posto dell’umanità, e di quanto il mondo non possa permettersi di dimenticare. Perché ogni volta che un ostaggio torna a casa, altri nomi — come quelli di Shiri, Ariel e Kfir — ricordano che il male, quello vero, non si redime: si sconfigge.