Gesù disse: “Dacci oggi il nostro pane di domani”, il Vangelo degli ebrei conferma.
- Postato il 27 luglio 2025
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Gesù disse: “Dacci oggi il nostro pane di domani”, il Vangelo degli ebrei conferma la versione.
La controversa traduzione del Padre Nostro sul versetto relativo al “pane quotidiano” trova un riscontro nella raccolta di detti attributi a Gesù e nota come Vangelo degli ebrei.
Il Vangelo degli ebrei non esiste nella forma in cui i Vangeli sinottici e apocrifi sono stati tramandati. È stato però ricostruito almeno in piccola parte attraverso le citazioni dei Padri della Chiesa, nei primi secoli del cristianesimo. Il testo non è molto lungo e molte frasi sono funzionali alla citazione.
Una logica sottosta a questa ricostruzione. I primi cristiani erano ebrei: gli apostoli, i discepoli, Paolo, le comunità di fedeli nella diaspora. Appare ovvio pertanto che le prime annotazioni degli insegnamenti di Gesù fossero in aramaico o in ebraico.
Successivamente il messaggio di Cristo si diffuse fra i non ebrei, i pagani. Per loro parole e gesta di Gesù furono tradotti in greco e in latino, le lingue universali dell’impero romano mentre i testi originali su rotoli di papiro si sfarinavano e disperdevano.
Si tenga sempre presente che solo un essere umano su dieci era in grado di leggere e che la parte maggiore della conoscenza era trasmessa per tradizione orale.
Qui sotto riporto alcuni dei versetti del Vangelo degli ebrei, presi dal sito derash.weeby.com, selezionando quelli più comprensibili oggi e coerenti con gli altri Vangeli.
Il pane di Gesù nella versione ebraica di Matteo

Nel vangelo ebraico secondo Matteo, cosi si legge: «Dacci oggi il nostro pane di domani» e cioè dacci
oggi quel pane che ci darai nel tuo regno (GEROLAMO, Tract, in Ps., 135).
Dopo la risurrezione del Salvatore, anche il vangelo detto gli Ebrei, recentemente tradotto da me in
lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma: «Dopo aver dato il sudario al servo del sacerdote, il Signore andò da Giacomo e gli apparve».
Giacomo infatti aveva assicurato che, dal momento in cui aveva bevuto calice del Signore, non avrebbe più preso cibo fino a quando non l’avesse visto risorto dai dormienti.
E poco dopo (prosegue): «Portate la tavola e il cibo» dice il Signore E subito è detto: «Prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: “Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio dell’uomo è risorto dai dormienti”» (GEROLAMO. De viris ill. 2).
In un certo vangelo secondo gli Ebrei, se uno vuole accettarlo non come un’autorità, ma come delucidazione della presente questione, sta scritto: «Un altro ricco gli domandò: “Che cosa debbo fare di bene per vivere?”. Gli rispose:. “Uomo, pratica la Legge e i Profeti”. Gli rispose: “L’ho fatto!”. Gli disse: ” Va’, vendi tutto quanto possiedi, distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Ma il ricco iniziò a grattarsi la testa.
Non gli andava! Il Signore gli disse: “Come puoi dire di avere praticato la legge e i Profeti? Nella Legge staMscritto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. E molti tuoi fratelli, figli di Abramo, sono coperti di cenci e muoiono di fame, mentre la tua casa è piena di molti beni: non ne esce proprio nulla per quelli! “. E rivolto al suo discepoloMSimone, che sedeva presso di lui. disse: “Simone, figlio di Giovanni, è più facile che un cammello entri per laMcruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli”» (ORIGENE, In Math.. 15,14, solo testo lat.)
Dato che il vangelo scritto in caratteri ebraici, pervenuto nelle nostre mani, commina il castigo non contro colui che ha nascosto (il talento), ma contro colui che ha condotto una vita licenziosa – aveva, infatti, tre servi: uno ha sperperato le sostanze del suo signore con le prostitute e donne di piacere, l’altro le fece fruttificare, ed il terzo nascose il talento; di questi, uno fu lodato, un altro rimproverato e il terzo messo in prigione -, mi sorge dunque la domandi se il castigo, che secondo Matteo sembra comminato contro colui che non ha fatto nulla, non sia da riferire a costui bensì, secondo la regola del regresso, a quello che ha mangiato e bevuto con gli ubriaconi (EUSEBIO DI CES., Teoph.4, 12).
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