Giorgetti: “Noi massacrati da chi può massacrare. Oltre i 45mila euro si è ricchi?”. Ma il taglio Irpef avvantaggia anche chi ne guadagna 200mila e oltre
- Postato il 9 novembre 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non si capacita. È ancora piccato per i numeri messi in fila la settimana scorsa da Bankitalia, Istat e Ufficio parlamentare di bilancio durante le audizioni sulla legge di Bilancio 2026. Da cui è emerso che, per effetto della struttura del nostro sistema fiscale a scaglioni, l’85% dei benefici derivanti dal taglio della seconda aliquota Irpef andrà alle famiglie più ricche e i dirigenti si ritroveranno in tasca, in media, 408 euro in più contro i 23 euro (all’anno) degli operai. Un’interpretazione malevola, secondo il ministro: “Una volta che abbiamo cercato” di aiutare “non i ricchi ma chi guadagna delle cifre ragionevoli siamo stati massacrati da coloro che hanno la possibilità di massacrare”. Cioè quelli che a caldo, giovedì scorso, aveva definito “professori” che giudicano l’operato di chi invece deve “prendere le decisioni” e dunque sporcarsi le mani.
Oggi l’esponente leghista, in collegamento con il Festival dei Territori Industriali a Bergamo, rincara: “A giudicare e valutare il comportamento degli altri si fa molto in fretta. Assumersi la responsabilità e far quadrare il cerchio in una situazione in cui abbiamo guerre armate, guerre commerciali, situazioni di instabilità di ogni tipo, è un po’ più complicato”, si difende. E va oltre: “Penso che un’analisi serena e oggettiva” del complesso della manovra “possa portare a ben altri risultati”, sostiene, suggerendo che le memorie delle istituzioni indipendenti non rispondano al requisito dell’oggettività.
Poi il titolare del Mef argomenta nel merito. Dando a intendere che chi ha parlato in audizione non abbia chiara la distribuzione dei redditi nel Paese. “Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45mila euro lordi all’anno, cioè poco più di 2mila euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’… Noi siamo intervenuti quest’anno sul ceto perché i ceti più svantaggiati sono stati attenzionati negli anni scorsi. Abbiamo messo circa 18 miliardi l’anno scorso e le abbiamo rimessi quest’anno per i redditi inferiori a 35mila euro, quest’anno come abbiamo sempre detto abbiamo fatto uno sforzo ulteriore e abbiamo coperto anche la fascia di redditi fino a 50mila euro”.
Quella di Giorgetti è però una verità molto parziale. Vero è che l’orizzonte pluriennale conta. Ma è falso che sia stato ignorato: l’analisi dell’Upb ricostruisce nel dettaglio, in un capitolo ad hoc, la “visione d’insieme degli interventi” sull’Irpef adottati tra 2021 e 2026. E ricorda come il taglio del cuneo contributivo avviato dal governo Draghi e reso strutturale lo scorso anno da Meloni trasformandolo in una riduzione del prelievo fiscale sia andato a vantaggio delle fasce medie e medio basse. Ed è falso anche che l’intervento previsto dal ddl di Bilancio per l’anno prossimo vada solo a beneficio di chi guadagna 45-50mila euro. Il sistema a scaglioni fa sì che il taglio dell’aliquota che si applica ai redditi tra 28mila e 50mila euro, la seconda appunto, a cascata produca risparmi fiscali anche per chi ha introiti molto più alti.
Sulla carta, il governo ha introdotto un correttivo per evitare che chi sta in cima alla piramide dei redditi paghi meno tasse grazie alla misura. Ma la tagliola, sotto forma di un taglio delle detrazioni d’imposta, scatta solo oltre i 200.000 euro. E, come ha calcolato lo stesso Upb, solo un terzo circa di quei contribuenti (58.000 persone) si vedrà effettivamente ridurre il vantaggio fiscale: gli altri non hanno detrazioni aggredibili che non siano state già tagliate da precedenti interventi normativi. Altri 120mila risparmieranno 440 euro l’anno. Per i 58mila sfortunati, peraltro, il taglio medio effettivo ammonta a 188 euro, significativamente inferiore al risparmio generato dalla riforma.
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