Giorgia, Togliatti e la solitudine di Elly

  • Postato il 23 ottobre 2025
  • Politica
  • Di Libero Quotidiano
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Giorgia, Togliatti e la solitudine di Elly

Sentivo ieri al Senato la premier Gorgia Meloni parlare di politica estera, e poi le solite invettive dai banchi delle opposizioni, unite solo a criticare e insultare ma incapaci di mettere insieme un documento unico in cui riflettere la loro ambizione ad un’alternativa al centrodestra, magari fra un paio di legislature, e mi chiedevo se Sabino Cassese non avesse fatto un sogno preveggente festeggiando due giorni prima col Corriere della Sera, in una intervista, i suoi 90 anni fra i 27 mila libri accumulati e catalogati nel suo appartamento a Roma. Arrivato a parlare della premier, appunto, rispondendo alle domande di Roberto Gressi, il professore emerito anche di una lista d’incarichi politici e istituzionali, mancato presidente della Repubblica in almeno due circostanze, ha detto testualmente: «Meloni studia, è la migliore allieva di Togliatti. Come lui è realista. E ha capito, come prima di lei De Gasperi, che il modo migliore di fare la politica interna è fare la politica estera». E dopo De Gasperi, aggiungerei restando ai tempi della prima Repubblica, Giulio Andreotti e Bettino Craxi, in ordino alfabeti co.

Al solo leggere il nome di Togliatti accostato alla Meloni - Palmiro Togliatti, il più storico dei segretari del Pci, acronimo del Partito Comunista Italiano - qualcuno a destra, e non solo a sinistra, si sarà stropicciati gli occhi. Ma ha sbagliato. Ha dimenticato che, già da presidente del Consiglio, la Meloni andò a visi tare una mostra romana su Enrico Berlinguer, altro storico segretario del Pci, forse anche più popolare del primo, firmando il registro degli ospiti come una specie di ammiratrice, condividendo con lui una concezione totalizzante della politica, o quasi. «Sull’altro fronte - ha non insistito ma infierito Cassese- vedo il vuoto politico, solo slogan che inseguono l’ultima notizia dei giornali. Quando Schlein ha detto che la democrazia è a rischio mi sono cadute le braccia». Le tiri pure su, professore, per farsele cadere ancora perché non mancheranno occasioni di stupirsi, sconsolato, della segretaria di quel Pd sognato e costruito da Walter Veltroni, salendone al vertice, come un partito «a vocazione maggioritaria», quale solo la Dc riuscì suo tempo ad essere facendo ruotare attorno a sé la politica italiana per una cinquantina d’anni.

Mentre Cassese parlava di lei fra i suoi libri, la Schlein era o progettava di essere in Piazza San Pietro, sempre a Roma, fra i dimostranti bipartisan, una volta tanto, per il giornalista della Rai Sigfrido Ranucci, scampato ad un attentato attribuito proprio dalla segretaria del Pd al clima di violenza, odio e quant’altro attizzato ogni giorno, secondo lei, dalla Meloni, dal suo governo, dalla sua maggioranza, dai giornali che la sostengono. Uno strafalcione, questo della Schlein, che le ha peraltro impedito di intestarsi la manifestazione a favore di Ranucci, compiaciuto peraltro di una telefonata di solidarietà proprio della Meloni. Se l’è invece intestata, quella manifestazione, Giuseppe Conte ricevendo, immagino, le congratulazioni di quell’amico così orgoglioso di lui com’è Goffredo Bettini. Che gli ha appena confezionato sul Foglio un abito da statista, illuminato e quant’altro. In grado, pur col suo movimento ridotto ad un bonsai di quello di Beppe Grillo, di assumere lui la guida della pur improbabile alternativa al governo forse decennale, ormai, della Meloni. E la Schlein?, chiederete forse. Gli sarà “testardamente” al seguito, consolata dal sempre generoso Bettini.

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Libero Quotidiano

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