Giustizia: la riforma Nordio fa paura alle correnti (ma non attacca i PM)
- Postato il 15 novembre 2025
- Di Panorama
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L’Associazione nazionale magistrati sostiene che la riforma della giustizia voluta dal ministro Nordio (un ex magistrato) vìoli la Costituzione. E l’opposizione, invece, denuncia rischi per la tenuta democratica delle istituzioni, con i pm sottoposti al controllo dell’esecutivo. In realtà, se si legge il testo approvato dal Parlamento e che nella primavera prossima sarà sottoposto al giudizio degli italiani, ci si rende conto che niente di quanto viene prospettato corrisponde al vero.
La riforma non può essere anticostituzionale per il semplice motivo che è una riforma costituzionale. Votata in doppia lettura dalle Camere e passata con un voto a maggioranza semplice, la legge è soggetta – nel caso sia richiesto da un gruppo di onorevoli o da un certo numero di elettori – al voto popolare senza quorum. Dunque, saranno gli italiani a decidere se separare le carriere o eleggere con sorteggio i componenti del Csm vada bene oppure no. E consentire agli aventi diritto di esprimersi di sicuro non può essere considerato anticostituzionale.
Il nodo dell’indipendenza dei pm
Ma non esiste neppure l’altro pericolo denunciato dall’opposizione, ovvero la subordinazione dei pubblici ministeri al potere politico. Infatti, l’articolo 104 della Costituzione, che garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dalla politica, non è nemmeno sfiorato. I giudici e i pm, di cui vengono separate le carriere, continuano a rispondere innanzitutto alla legge. Nessuno potrà dare loro ordini, nessuno potrà impedir loro di indagare o di archiviare quando lo ritengano giusto, nessuno potrà limitarne i poteri.
Dunque, come si può sostenere che i pubblici ministeri saranno sottoposti al governo o al ministro? Premesso che in altri Paesi ciò accade, perché è l’autorità politica a fissare la priorità dei reati da perseguire, in Italia invece rimarrà «l’obbligatorietà dell’azione penale». Vale a dire che i magistrati sono vincolati a indagare su ogni fatto che costituisca reato, senza distinzione alcuna in base al censo o alla qualità del delitto denunciato. In pratica, nessun ministro potrà ordinare di fare o non fare un’inchiesta.
Il vero motivo delle proteste
Che cosa cambia allora e perché sia l’Anm che l’opposizione si agitano tanto, fino a denunciare sconquassi per la democrazia? La risposta è semplice: la riforma prova a togliere il potere che le correnti esercitano su promozioni e provvedimenti disciplinari.
Non è la separazione delle carriere a spaventare l’Anm, ma l’abolizione delle carriere lottizzate. Se adesso le correnti si spartiscono le nomine in procure e tribunali, in futuro a decidere le promozioni e le sanzioni saranno singoli magistrati nominati con il sistema del sorteggio. Basta gruppi di pressione organizzati in fazioni politiche, stop al mercato delle vacche con cui oggi si scelgono procuratori capo e presidenti di tribunale.
La giustizia non è la Rai e dunque non è pensabile che le scelte di chi debba guidare un ufficio giudiziario siano affidate alle correnti, ovvero a fazioni politiche, invece che a criteri selettivi basati sulla competenza, il merito e l’anzianità. La piccola rivoluzione sconvolge l’Anm perché il sindacato in questo modo perde peso. Come è giusto che sia, gli incarichi non verranno più decisi da Magistratura democratica o da Unicost. E i provvedimenti di censura non saranno frutto di uno scambio tra Magistratura indipendente o Area democratica per la giustizia, dove ogni organizzazione lavora per evitare punizioni per i propri iscritti.
Il sindacato non c’entra nulla con l’amministrazione della legge. Così come alla Cgil non è richiesto di nominare l’amministratore delegato di un’azienda o alla Cisl di decidere la sanzione a carico del direttore generale di un’impresa.
Una riforma che non cura gli errori giudiziari
Con la riforma, dunque, avremo una giustizia più giusta? Purtroppo, a differenza di ciò che si crede, non è così, perché la legge voluta da Nordio non affronta il tema degli errori giudiziari e nemmeno della responsabilità civile dei magistrati che sbagliano. I provvedimenti a carico dei pm sono demandati a un’alta corte disciplinare, i cui membri sono estratti a sorte e dunque non più esecutori delle correnti, ma sono pur sempre magistrati e dunque probabilmente più indulgenti nei confronti dei colleghi.
Per questo il tasso di sanzioni a carico delle toghe che sbagliano è minimo: nonostante gravi errori (paghiamo milioni per le ingiuste detenzioni) giudici e pm sono puniti con un buffetto. A volte con le ammonizioni, altre con qualche rallentamento di carriera. Uno dei pochi a essere stato radiato è Luca Palamara, ex presidente proprio dell’Anm. Ma lui non poteva passarla liscia: con le sue interviste ha scoperchiato il pentolone della magistratura, ovvero le trame all’ombra della Costituzione. E questo è davvero imperdonabile.