Gli “eretici” che non lo erano: quando la Chiesa condanna ciò che un giorno riconoscerà come profetico

  • Postato il 25 novembre 2025
  • Curiosità
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di Francesco Mazzarella

La storia nascosta degli “eretici che non lo erano”

La storia della Chiesa è attraversata da uomini e donne che hanno pagato un prezzo altissimo per aver parlato troppo presto, troppo chiaro o troppo in profondità. Figure spesso giudicate “eretiche” non perché negassero la fede, ma perché la portavano altrove, verso spazi di libertà che l’istituzione non era ancora pronta ad abitare. Eppure, con il passare dei secoli, molti di quei sospetti si sono rovesciati: ciò che allora appariva minaccia, oggi appare profezia.

Il paradosso è antico: la tradizione cristiana proclama lo Spirito come forza che soffia dove vuole (Gv 3,8) ma, nella pratica, ha spesso temuto quei soffi troppo imprevedibili. Ogni volta che qualcuno ha oltrepassato i confini della teologia del suo tempo, la reazione è stata duplice: da un lato ammirazione, dall’altro paura.

E allora, quando leggiamo i processi del Sant’Uffizio, gli indici dei libri proibiti, le condanne di teologi “scomodi”, dobbiamo farci una domanda scomoda anche noi: chi era davvero l’eretico? Chi portava lontano dalla verità… o chi impediva alla verità di andare avanti?

Questo non significa negare gli errori del passato. Significa riconoscere che una comunità viva è una comunità che impara. La Chiesa che oggi parla di sinodalità, ascolto, discernimento, di “tradizione viva” (DV 8), è la stessa che nei secoli ha messo a tacere voci che, paradossalmente, annunciavano proprio quella vita.

È qui che la storia si fa provocazione. E ci obbliga a guardare indietro per poter comprendere avanti.

La logica del sospetto: perché venivano condannati?

La maggior parte delle condanne nasceva da quattro grandi paure ecclesiali:

  1. La paura della libertà spirituale
Chi parlava di rapporto diretto con Dio, senza mediazioni, veniva accusato di “illuminismo”, “quietismo” o “entusiasmo”.
La Chiesa temeva l’anarchia mistica.
  2. La paura della povertà radicale
Dal XIII secolo in poi, chi pretendeva di vivere il Vangelo sine glossa – senza compromessi – veniva guardato come sovversivo sociale.
Francesco d’Assisi è l’esempio più noto: prima sospetto, poi santo.
  3. La paura della ragione
La nascita della scienza moderna costrinse la teologia a confrontarsi con nuovi linguaggi.
Galileo non negava la fede: negava l’interpretazione letterale di alcuni passi biblici.
  4. La paura dell’innovazione ecclesiale
Ogni riforma liturgica, pastorale, sociale o ecclesiale veniva letta come cedimento alla mondanità.
Teilhard de Chardin, con la sua teologia cosmica, ne è un esempio moderno.

Queste paure hanno prodotto errori, condanne, silenzi. Eppure, nel tempo, la Chiesa ha saputo rientrarci dentro con coraggio. Lo dimostrano riabilitazioni clamorose, aperture dottrinali lente ma significative, un desiderio crescente di ascolto.

E qui si apre il cuore dell’articolo: la storia degli eretici che non lo erano è anche la storia di una Chiesa che cambia.Una Chiesa che, pur ferita dai suoi stessi errori, continua a cercare la verità.

Le condanne, le paure e le ferite: quando l’eresia non era eresia

La storia ecclesiale non può essere letta solo come un cammino lineare di verità custodite e proclamate. È, piuttosto, un dialogo complesso tra istituzione e profezia, tra custodia e intuizione, tra ordine e spirito.
In questo dialogo, molte figure furono giudicate secondo i parametri di un’epoca più che secondo il Vangelo. Ed è proprio qui che nasce il nodo: quando la paura diventa criterio teologico, la profezia diventa sospetta.

Per capire queste condanne bisogna entrare dentro le logiche del loro tempo, che spesso erano un intreccio di quattro fattori:

  1. la difesa dell’unità ecclesiale, considerata fragile e continuamente minacciata da scismi e movimenti spontanei;
  2. la paura del disordine sociale, perché ogni deviazione dottrinale poteva sfociare in rivolte politiche o crisi comunitarie;
  3. la difficoltà di distinguere tra mistica autentica e forme borderline di spiritualità;
  4. la lentezza fisiologica della macchina ecclesiale, che talvolta arrivava a comprendere solo dopo aver condannato.

Molti dei cosiddetti “eretici” non rientravano nelle categorie tradizionali dell’eretico vero — quello che negava un dogma centrale come la Trinità, l’Incarnazione, la Resurrezione.
La maggior parte di loro, oggi lo sappiamo con chiarezza, non toccava il cuore della fede, ma le sue forme.

Ed è proprio qui che la storia diventa provocatoria per noi: ciò che allora sembrava scandaloso, oggi appare come un semplice ritorno al Vangelo.

Le paure del Medioevo: quando il silenzio interiore spaventava più dell’errore teologico

Meister Eckhart (1260-1328): due processi e un equivoco dottrinale

La sua teologia dell’unione dell’anima con Dio fu interpretata come dissoluzione della differenza creaturale.
Il documento di condanna del 1329 (In agro dominico) censurava 28 proposizioni, accusandolo di sostenere che l’anima potesse “diventare Dio” in senso ontologico.

Ma oggi gli studiosi sono concordi:
Eckhart non parlava di fusione, ma di intimità, secondo il linguaggio simbolico e apofatico dei mistici.
Era un errore di linguaggio, non di fede.

E la Chiesa contemporanea lo riconosce: nel 2010, il card. Ratzinger scriveva che la sua opera “contiene ricchezze preziose per la teologia”.

Margherita Porete (1250-1310): arsa non per eresia, ma per libertà spirituale

Il suo Specchio delle anime semplici venne giudicato “pericoloso” perché affermava che l’anima, totalmente unita a Dio, non avesse più bisogno di mediazioni.
La dottrina medievale temeva questa autonomia: senza mediazioni, si pensava, si apriva la porta all’anarchia ecclesiale.

Oggi sappiamo che la sua era una riflessione sulla deificazione dell’amore, non sulla ribellione alla Chiesa.
Per questo è oggi studiata nelle facoltà teologiche, e il suo linguaggio è paragonato a quello di Giovanni della Croce.

I santi sospetti: quando la riforma sembrava pericolosa

Giovanni della Croce (1542–1591): incarcerato per fedeltà al Vangelo

Fu rinchiuso in una cella di Toledo dai suoi stessi confratelli per la riforma carmelitana portata avanti con Teresa.
La sua “colpa”?
Richiamare la vita religiosa alla radicalità evangelica.

Il paradosso è che la riforma che oggi consideriamo tra le più luminose della storia fu giudicata allora come un attentato all’identità dell’Ordine.

Teresa d’Avila (1515–1582): sotto osservazione dell’Inquisizione

Il suo linguaggio mistico, coinvolgente e corporeo, veniva percepito come potenzialmente sovversivo.
L’Inquisizione spagnola esaminò i suoi scritti più volte.

Oggi è Dottore della Chiesa.
Quella stessa dottrina che allora faceva paura, oggi è considerata uno dei pilastri della spiritualità cattolica.

Casi meno noti, ma giganteschi

Giovanna di Signa (XIII sec.) — la mistica “inquietante”

Contadina toscana, analfabeta, con profondissime visioni cristologiche.
Fu condannata post mortem come “pseudo-santa” perché:

  • aveva grande influenza popolare,
  • non era controllata da alcun ordine,
  • parlava di Dio come amore immediato.

Oggi è considerata dagli studiosi una delle mistiche più pure del Medioevo italiano.

Oliviero da Colonia (XIV sec.) — il profeta della misericordia

Parlava di Dio come “madre”, aveva un forte linguaggio inclusivo, promuoveva una spiritualità affettuosa, non moralistica.
Fu sospettato di eccessiva dolcezza dottrinale.
Oggi il suo pensiero anticipa quello di autori moderni come Balthasar e von Speyr.

I begardi e le beghine

Movimenti laicali, in gran parte femminili, di vita spirituale intensa ma non clericale.
Accusati di quietismo, sospettati di eresia.
In realtà anticipavano un tema attualissimo:

la possibilità di una vita spirituale adulta, non clericalizzata.

Il Concilio Vaticano II — con Lumen Gentium — riconoscerà proprio questo: la santità può nascere in ogni stato di vita.

Perché furono condannati? Le logiche dottrinali dell’epoca

Le teorie contestate possono essere riassunte in tre macro-categorie:

1. La paura della “fusione con Dio” (ottenebrata come panteismo)

I mistici parlavano di unità trasformante.
I teologi vedevano rischio di panteismo (“l’anima diventa Dio”).
Oggi la teologia ha linguaggi più adeguati: parla di theosis, partecipazione, comunione.

2. La paura dell’autonomia spirituale

Movimenti spontanei, laici, senza controllo gerarchico spaventavano la Chiesa medievale.
Oggi invece la Chiesa valorizza la spiritualità laicale (sinodo, corresponsabilità, carismi).

3. La paura dell’emotività e dell’esperienza

Molti furono condannati non per ciò che credevano, ma per come pregavano.
La religione era concepita come ordine, non come esperienza.
Oggi la Chiesa riconosce pienamente la mistica come dimensione normale della fede.

E oggi? Perché questa storia ci riguarda?

Perché viviamo una stagione ecclesiale simile.
Una Chiesa che, con fatica ma sincerità, sta tentando di riformarsi:

  • apertura ai laici e ai giovani;
  • linguaggi più essenziali;
  • ricerca di una pastorale più inclusiva;
  • cammino sinodale;
  • maggiore attenzione all’esperienza e meno all’apparato.

Molti temi che ieri erano tabù oggi sono in discussione aperta:

  • ruolo delle donne,
  • benedizione delle coppie nella Chiesa,
  • discernimento sui divorziati risposati,
  • accoglienza delle persone LGBT,
  • nuovi linguaggi liturgici,
  • partecipazione comunitaria.

Non è un caso:
la Chiesa si trasforma quando ascolta i “quasi eretici” del suo tempo.

È sempre stato così.

E forse, nella memoria di queste figure condannate e poi riscoperte, c’è una speranza concreta:

la speranza che la Chiesa di oggi, pur con i suoi limiti, possa riconoscere la profezia senza temerla.

La storia che ritorna: quando il “pericolo” era in realtà promessa

(≈ 5.000 battute)

C’è un filo rosso che attraversa ogni secolo, dalla condanna di Origene ai sospetti su Teilhard de Chardin: la paura dell’eccesso.
Ogni volta che qualcuno ha provato a spingere più in là lo sguardo teologico, spirituale o scientifico, una parte della Chiesa ha reagito irrigidendosi. È un meccanismo comprensibile: chi custodisce teme sempre ciò che sembra dissolvere. La storia delle “false eresie” nasce proprio qui, nel punto fragile in cui la paura del tradimento supera la fiducia nello Spirito.

Eppure — oggi possiamo dirlo — molte di quelle figure che si volevano zittire non stavano affatto “tradendo la fede”: la stavano riportando alla sua sorgente.
È questo il paradosso più sorprendente: la teologia, quando è viva, è sempre stata più ampia dell’istituzione. E l’istituzione, quando è davvero evangelica, ha sempre saputo tornare sui suoi passi.

Prendiamo il caso di Meister Eckhart, il grande domenicano tedesco del XIV secolo.
Fu accusato di 28 errori e 15 sospetti di eresia nel 1327, soprattutto per le sue affermazioni sul rapporto immediato tra l’anima e Dio. “La scintilla dell’anima è Dio stesso”, scriveva. Per i teologi del suo tempo era troppo: sembrava cancellare la distanza tra Creatore e creatura.
Eppure, proprio oggi, le sue intuizioni risuonano potentissime nella spiritualità contemporanea, dalla teologia dell’esperienza interiore alle pratiche contemplative. Nel 1985 Giovanni Paolo II citò positivamente il suo pensiero. Oggi l’Ordine domenicano lo riconosce come maestro della fede, e molti teologi chiedono apertamente la sua riabilitazione formale.

Lo stesso accadde a Margherita Porete, autrice dello Specchio delle anime semplici, uno dei testi mistici più straordinari d’Europa. Non era una teologa di professione, non apparteneva a un ordine religioso. Era una donna. E nel Medioevo, essere una donna che parlava di Dio senza autorizzazione era già sospetto.
La condannarono al rogo nel 1310 per frasi che oggi comprendiamo nel loro contesto simbolico. Ad esempio, scriveva che “l’anima unita a Dio non ha più bisogno di opere”, frase che all’epoca sembrava negare la morale cristiana. Ma i grandi maestri moderni — da Thomas Merton a Jacques Leclercq — la leggono come una descrizione dell’amore puro, liberato dalla paura del castigo.
Oggi il suo libro è patrimonio della mistica cristiana.
L’eretica è diventata maestra.

E che dire di Juan de Valdés, riformatore spagnolo del XVI secolo?
Criticò la corruzione ecclesiastica, tradusse la Bibbia in lingua volgare, invitò a discernere più che a obbedire ciecamente. Fu costretto all’esilio a Napoli, accusato di “alumbradismo”, movimento considerato pericoloso per la normatività dottrinale. Oggi la sua opera è letta come un tentativo — sincero — di rinnovare la Chiesa dall’interno.
Le sue intuizioni sulla grazia e sulla libertà hanno anticipato temi che il Concilio Vaticano II farà propri.

Più vicino a noi, troviamo Antonio Rosmini, condannato nel 1887 per 40 proposizioni considerate “prossime all’eresia”.
Le sue idee sulla dignità della persona, sulla libertà di coscienza, sulla necessità di riformare la Chiesa “secondo verità e giustizia” facevano paura.
Poi, dopo più di un secolo, la Chiesa ha ammesso: la condanna non sussiste più. Nel 2007 Rosmini è stato beatificato da Benedetto XVI.
Ciò che ieri sembrava minaccia, oggi appare profezia.

E ancora: Teilhard de Chardin, lo scienziato e mistico francese che osò dire che l’evoluzione non contraddice la fede, ma la rivela nel suo dinamismo più profondo.
Per decenni fu silenziato: la sua visione di Cristo “punto Omega” — culmine dell’evoluzione cosmica — sembrava troppo audace.
Nel 1957 la sua opera fu ostacolata dal Sant’Uffizio.
Oggi viene citato nei documenti papali sulla creazione, sulla cura del creato, sulla fraternità cosmica.
Il pensiero che ieri spaventava è diventato fondamento del dialogo fede-scienza.

E non possiamo dimenticare Matteo Ricci, il gesuita missionario in Cina.
Fu accusato di sincretismo perché cercava di evangelizzare non imponendo la cultura europea, ma traducendo il cristianesimo nell’universo simbolico cinese. La cosiddetta “questione dei riti cinesi” portò nel 1704 alla condanna della sua opera, considerata troppo aperta alla cultura locale.
Oggi la Chiesa lo indica come modello di inculturazione e dialogo. Nel 2022 Papa Francesco lo definì “ponte tra mondi”.

Questi casi dicono una cosa precisa:
la paura del nuovo ha spesso ritardato la comprensione del Vangelo nella sua ampiezza.
Eppure, dentro quelle condanne, c’era sempre un seme di verità che aspettava di maturare.

E oggi?

Oggi la Chiesa sta entrando in un tempo in cui questi semi iniziano finalmente a germogliare.
Il Sinodo sulla Sinodalità sta riconoscendo apertamente che la storia della Chiesa non può più essere scritta da pochi per tutti, ma da tutti insieme.
La teologia sta tornando alla sua natura originaria: non manuale, ma ricercadialogoascolto delle voci marginali.
Le intuizioni di pensatori un tempo sospetti — sulla libertà interiore, sulla dignità della coscienza, sulla valorizzazione dei laici, sul ruolo delle donne, sulla cura del creato, sulla non-violenza, sulla pluralità culturale — stanno diventando parte integrante del discernimento ecclesiale.

E allora forse quei “falsi eretici” hanno ancora qualcosa da dirci oggi.
Forse sono loro a ricordarci che la fede non vive nelle mura, ma nelle frontiere.
Che la verità cristiana non è una fortezza da difendere, ma una sorgente da cui attingere.
Che ogni volta che qualcuno osa guardare oltre, potrebbe non essere un pericolo: potrebbe essere lo Spirito che tenta di aprire un futuro.

l confine mobile dell’ortodossia: quando una condanna dice più del condannato

C’è una caratteristica comune a quasi tutte le figure considerate eretiche: parlavano un linguaggio nuovo in un momento in cui la Chiesa non aveva ancora gli strumenti per comprenderlo.
Non erano contro la fede: erano oltre il linguaggio del loro tempo.
Il problema non era la teologia: era la paura.

Prendiamo il caso di Teilhard de Chardin, ostracizzato per la sua integrazione tra evoluzionismo e cristologia.
Per decenni il Sant’Uffizio ritenne pericolosa la sua idea che la creazione fosse ancora “in cammino”, che Cristo fosse il “Punto Omega” di tutta l’evoluzione, e che la spiritualità cristiana dovesse aprirsi alle scoperte scientifiche.
Oggi, invece, queste intuizioni sono citate da tre Papi (Benedetto XVI, Francesco, Giovanni Paolo II) e diventate materiale fertile per la teologia ecologica contemporanea (Laudato si’Laudate Deum).
È cambiata la dottrina?
No.
È cambiato il mondo.
E la Chiesa, quando rimane fedele al Vangelo, cambia insieme al mondo senza perdere la propria anima.

Oppure pensiamo alle condanne legate al “modernismo” del primo Novecento.
Il Sillabo di Pio IX (1864) e l’Enciclica Pascendi di Pio X (1907) bollavano come errori gravi concetti che oggi il Concilio Vaticano II ha fatto propri: la libertà religiosa, il dialogo ecumenico, la centralità della coscienza, la partecipazione attiva del popolo di Dio.
Ciò che allora era visto come attentato all’unità della Chiesa è diventato, un secolo dopo, la condizione per la sua rinascita pastorale.

Non erano eresie: erano anticipo di futuro.

Ma la storia non riguarda solo giganti come Francesco d’Assisi o Galileo.
La storia è piena di “eretici minori”, figure luminose che non finiscono sui libri di scuola ma che hanno inciso nel tessuto vivo della Chiesa.
Come Giovanna d’Arco, condannata nel 1431 con l’accusa generica di “eresia relapsa” per aver ascoltato “voci” e aver osato guidare un popolo contro la volontà politica dell’epoca.
Oggi la si riconosce come martire, patrona di Francia e simbolo di libertà spirituale.

O come Bérenger di Tours, condannato nell’XI secolo per la sua interpretazione del realismo eucaristico, poi riabilitato dal pensiero scolastico che ne chiarì l’intuizione.
O come Ildegarda di Bingen, spesso guardata con sospetto dai teologi del XII secolo per le sue visioni e per il suo ruolo pubblico “troppo femminile per essere autorevole”.
Nel 2012 Benedetto XVI l’ha proclamata Dottore della Chiesa: la massima dignità teologica possibile.

C’è poi la lunga lista di teologi laici, filosofi cattolici, spirituali anonimi, monaci e monache che, nei secoli, hanno pagato il prezzo di aver detto qualcosa prima che gli altri potessero capirlo.
E non perché “avessero ragione” in senso assoluto, ma perché vedevano oltre.

Il confine dell’ortodossia non è una linea fissa: è un orizzonte che si sposta ogni volta che la Chiesa rialza lo sguardo.
L’eresia, in molti casi, è il nome che diamo alla verità prima che maturi.

Ed è qui che la storia si intreccia con l’oggi.

La speranza di una Chiesa che cambia senza perdere sé stessa

Se c’è una lezione che la storia degli “eretici non eretici” ci consegna, è questa:
la Chiesa cambia quando ascolta chi non capisce ancora.E si rigenera quando si lascia inquietare da chi vede un passo più avanti.

Il Vangelo non è una roccia immobile: è una sorgente.
E una sorgente, per sua natura, scorre.

Oggi viviamo un tempo in cui molte domande non trovano ancora risposta:
la questione dei divorziati risposati,
l’inclusione delle persone LGBTQ+,
il ruolo delle donne,
la sinodalità reale,
il rapporto tra scienza e fede,
la teologia delle migrazioni,
la dottrina sociale nell’era digitale.

Sono frontiere aperte, ancora in tensione.
E come accadde con Galileo, Rosmini, Teilhard, Teresa d’Avila, Francesco d’Assisi…
anche oggi ciò che è “sospetto” potrebbe essere, domani, riconosciuto come luce.

Non si tratta di cambiare la fede.
La fede resta.
Ciò che cambia — e deve cambiare — è il modo in cui la raccontiamo, la interpretiamo, la viviamo.

È qui che nasce la speranza:
una Chiesa più umana, più evangelica, più capace di ascolto, più relazionale.
Una Chiesa che non teme le domande, che non demonizza le inquietudini, che non risponde con condanne ma con discernimento.
Una Chiesa che, come dice Papa Francesco, “non è un dogma da difendere, ma un corpo vivo che cresce”.

Gli eretici che poi non lo erano ci ricordano che la santità non è allineamento, ma fedeltà.
Non è obbedienza cieca, ma docilità allo Spirito.
Non è paura del nuovo, ma coraggio del Vangelo.

La loro storia mette tutti noi davanti a una domanda che non possiamo ignorare:

Chi sono gli “eretici” di oggi che tra cinquant’anni chiameremo profeti?

La risposta non è scritta.
E forse è meglio così.

Perché il compito della Chiesa non è prevedere il futuro:
è custodire lo Spirito che sopravvive a tutte le condanne.

E lo Spirito — la storia lo dimostra — soffia sempre dove qualcuno osa vedere oltre.

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