Gli Oasis sparano uno via l’altro gli inni che ‘ti levano sassi dalla schiena’. Con Live Forever e l’immagine di Diogo Jota una lacrima, con Wonderwall i cantanti sono 74mila (stavolta li offre Cardiff)

  • Postato il 5 luglio 2025
  • Musica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Quando Liam e Noel salgono sul palco abbracciati, tu sei lì a guardarli con uno zaino di 30 chili sulle spalle. Uno per ogni anno passato da quel ’95 della “Battle of the bands” tra Oasis e Blur. Epoca di merda pure quella, d’accordo: però pareva che il rock fosse ancora la potenza (ri)generatrice in grado di spostare il mondo qualche centimetro più in là, fuori dal suo asse perverso. Il rock che ficcava le dita dei potenti dentro una presa elettrica, tu sentivi l’appartenenza, il fanculo voialtri vecchi laidi, noi giovani renderemo questo pianeta un posto abitabile, magari rovesciandoci una pinta di birra in testa, spingendoci sotto la transenna come dei misirizzi, trasformandoci in torpedini che faranno drizzare i capelli in testa a voi che insistete a farvi la guerra anche dopo la caduta del Muro.

Segretamente plaudivi a Noel che era andato a pippare coca nei bagni di Buckingham Palace, proprio i cessi personali della Betty, e lo aveva raccontato. Non si fa, però da quando il rock è nato ti dicono che “non si fa”. Il bacino rotante di Elvis, Dylan che piange quando impugna l’elettrica, i Beatles e gli spinelli, gli Stones e la vita spericolata, gli sputi di Johnny Rotten. Non si fa? Ok, ma continuano a ripeterci che il vero rock sia morto (il giorno in cui si sparò Kurt Cobain), e può darsi, vista la paccottiglia pop e rap che oggiogiorno ti vendono a tonnellate sulle piattaforme: allora gli Oasis che tornano e ti confermano che “sta succedendo davvero” è l’ultima radice su una pianta che diresti crepata illo tempore, stai per buttare il vaso e la terra essiccata e invece fuck, il Reunion Tour parte sul serio, Cardiff è una tonnara ribollente, ora i due Gallagher ti aiuteranno a svuotare lo zaino, sasso dopo sasso, un chilo via l’altro, sei ancora vivo, siamo tutti vivi, e certo la nostalgia, sicuro che è business da miliardi, ma Liam conferma che “è bello essere tornati, è passato troppo tempo” prima di attaccare “Hello”, e ti senti già leggero come in quegli strafottuti Novantaequalcosa.

Te ne freghi pure di notare che dietro quello start così appropriato vi sia una provocazione nascosta: uno dei coautori del pezzo è quello schifoso di Gary Glitter, l’ex idolo del glam anni 70 che si era rivelato un pedofilo, l’avevano chiuso in cella ma la chiave non era stata buttata, così una volta liberato aveva ricominciato a fare il porco e via di nuovo dentro. Nessuno coglie il dettaglio: del resto potevi lasciar fuori dal set un inizio così, dopo mesi di scommesse tra i fans su quale sarebbe stata la scaletta? E man mano che il concerto avanza nella notte ti rendi conto che – ovviamente – la somma dei fratelli è tuttora maggiore delle sue parti: il Dostoevskij dei Karamazov sarebbe stato fiero degli Oasis. Tutto messo da parte: la Gibson ES-355 sfasciata da Liam in faccia a Noel nella fatale notte della “Paris Altercation” 2009 che li aveva divisi; la mazza da cricket con cui il cantante ubriaco, tornato dal pub con 30 intrusi al seguito, aveva aggredito il chitarrista in studio ai tempi di “Morning Glory”. Le accuse che “i tuoi figli non sono tuoi, Meg ha scopato con un altro”, la faida familiare originata da un padre violento, la Manchester proletaria delle scorribande con gli ultrà del City, gli arresti per furti di autoradio. Ragazzini teste calde, uomini cazzoni, rocker formidabili.

Su “Acquiesce” cantano: “abbiamo bisogno l’uno dell’altro”, e tu senti un altro sasso nello zaino che va via. Certo, indietro non si torna, il mondo non si sposta più, ormai è un frullatore impazzito dove dentro, in quella orrenda poltiglia che vorrebbero farti bere, ci scorgi Trump Putin Netanyahu Musk e altri mostri, meglio buttare tutto nel lavandino. No, non sono più i Novanta, lo capisci dalle tue rughe, dalle traversie dell’esistenza che stai attraversando, e dal fatto che il Destino, la Moira, può spazzarti via in un attimo. Al momento di “Live Forever”, solitamente dedicata a mamma Peggy (auspice della riconciliazione dei figli) sul maxischermo del Principality Stadium compare Diogo Jota, di spalle con il numero 20 che il Liverpool ha deciso di ritirare. Giovane, talentuoso, fresco sposo, padre: aveva tutto, l’ha fregato uno pneumatico difettoso. E anche questo lutto serve per elaborare non la morte, ma il senso della vita.

Liam, Noel, Andy, Gem, Bonehead (più Joey Waronker e Jess Greenfield) sono lassù per 470 milioni di euro di buoni motivi, ma pure per una resurrezione a tappe, in un weekend astrale che fa la leggenda del rock con l’addio stasera di Ozzy Osbourne con i suoi Black Sabbath e le megastar dell’heavy nel live “Back to beginning” al Villa Park di Birmingham. Gli Oasis, che in scena ti prendono bonariamente per il culo per il prezzo dei biglietti, sparano uno via l’altro gli inni che ti levano i sassi dalla schiena, “Morning glory”, “Some might say”, “Supersonic”, “Cigarettes & Alcohol”, “Stand by me”, “Cast no shadow”, “Slide away”, “Rock ‘n’roll star” e tutto quel che occorre per testare i brividi.

Tosti, tonici, cazzuti, non diresti siano stati separati per 16 anni. Al momento dei bis, dopo “Masterplan”, il concerto smette di essere di proprietà Oasis: “Don’t look back in anger” e “Wonderwall” hanno bisogno di 74mila cantanti, stavolta li presta Cardiff. Ma potrebbe essere una schitarrata sulla spiaggia. Alla fine di “Champagne Supernova” butti lo zaino, non serve più. Vorresti volare, ma temi di essere Icaro. E di miti abbiamo già i Gallagher, stanotte.

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