Gli Usa primi nella classifica della segretezza finanziaria. La Ue? “Metà dei Paesi membri aiuta gli evasori fiscali stranieri”
- Postato il 4 giugno 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Gli Stati Uniti restano al primo posto, davanti alla Svizzera e a Singapore, nella classifica dei Paesi che più favoriscono l’occultamento di capitali illeciti e l’evasione fiscale. La Germania sale al sesto dal settimo del 2022, piazzandosi prima dei Paesi Bassi, e la Francia scala nove posizioni ed è ventunesima, subito dietro le isole Cayman e la Gran Bretagna. Nel complesso oltre la metà dei Paesi Ue usa scappatoie giuridiche che consentono agli evasori di nascondere denaro all’interno dei loro confini e rendono più facile la circolazione di denaro sporco. La ong Tax Justice network ha aggiornato il suo Financial Secrecy Index, che a partire dal 2009 valuta il grado di complicità degli Stati nell’aiutare individui e società a nascondere fondi. E a differenza di quasi tutte le liste nere dei paradisi fiscali misura l’effettivo ruolo di ogni giurisdizione nell’offrire a chi lo chiede un “servizio” di segretezza finanziaria. I risultati dimostrano, secondo l’organizzazione, la necessità di sostenere i negoziati in corso alle Nazioni Unite per arrivare a una riforma della tassazione globale più equa e partecipata di quella negoziata da 140 Paesi in sede Ocse.
Gli Usa si confermano appunto il principale fornitore globale di opacità finanziaria, con il 25% della quota mondiale e un “punteggio di segretezza” che peggiora passando da 67,4 a 68,6 su 100. Non solo: in parallelo il Polity project del Center for Systemic Peace, in seguito al ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, ha declassato il Paese da democrazia ad “anocrazia”, una forma di governo che presenta in parte caratteristiche proprie della democrazia ma in parte somiglia a una dittatura. Washington ha infatti già smantellato strumenti cruciali per la trasparenza fiscale come i poteri dell’Internal revenue service, spiega l’analisi, e minacciato la sovranità fiscale di altri Paesi rinnegando l’accordo sulla tassazione minima delle multinazionali e minacciando pesanti contromisure nei confronti di chi ha adottato misure mirate a far pagare qualcosa a Big tech.
Intanto l’Unione Europea è un vero e proprio “dottor Jekyll e mister Hyde”, accusa il Network. Si propone come “leader nella trasparenza fiscale” ma quel primato vale solo sulla carta, visto che gli Stati dell’Ue offrono il 21% della segretezza finanziaria globale (è la quota regionale cresciuta di più) e il 56% fa resistenza quando si tratta di applicare la Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa, strumento fiscale attraverso cui i Paesi possono aiutarsi nella riscossione delle imposte dovute da evasori fiscali accertati quando il patrimonio non tassato viene nascosto all’estero. Ai Paesi extra Ue quell’assistenza viene spesso negata, mentre tra Paesi membri è obbligatoria: un doppio standard strettamente legato al fatto che “solo una ristretta cerchia di Paesi ricchi, inclusi i Paesi dell’Ue, ha avuto voce in capitolo nella progettazione dello strumento”. L’Italia è tra i Paesi che hanno negato cooperazione, in buona compagnia visto che la lista comprende anche Austria, Cipro, Germania, Croazia, Irlanda, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia.
“Molti Stati Ue applicano regole severe solo ai propri cittadini, mentre offrono rifugio ai capitali illeciti provenienti da fuori Europa”, commenta Moran Harari, vicedirettrice delle politiche di Tax Justice network. Che ricorda come la Ue stia continuando nel frattempo a ostacolare il processo di riforma delle regole fiscali internazionali in corso all’Onu con l’alibi che il sistema non ha bisogno di aggiustamenti. “I nostri dati dimostrano che il sistema è rotto eccome, e che i Paesi dell’Ue hanno avuto un ruolo significativo nel romperlo”.
La ong ha calcolato che gli abusi fiscali di multinazionali e individui facoltosi comportano per gli Stati la rinuncia a 492 miliardi di dollari di gettito l’anno: poco meno di 348 per effetto dello spostamento di profitti all’estero per pagare meno imposte e 145 come conseguenza dell’occultamento di ricchezza offshore. La convenzione Onu punta a ribaltare la situazione. La Ue si è astenuta mentre otto Paesi si oppongono. In testa gli Usa, con loro Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Israele, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Argentina.
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