Gli Usa vendono armi per 11 miliardi a Taiwan. Tensione con la Cina: “Azione pericolosa, la smettano immediatamente”

  • Postato il 18 dicembre 2025
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La sfida che attende gli Stati Uniti nei prossimi decenni è quella nell’Indo-pacifico, hanno spiegato in ogni occasione utile i vertici dell’amministrazione Trump. Un principio che è al centro dell’azione politica del secondo mandato del tycoon al punto da essere messo nero su bianco nella Nuova dottrina strategica pubblicata il 4 dicembre. In questo contesto si inserisce la vendita di armi per un valore di 11 miliardi di dollari a Taiwan annunciata da Taipei, che ora attende solo il via libera del Congresso di Washington.

Si tratta del secondo lotto di questo tipo dall’inizio del secondo mandato di Trump. Il primo pacchetto, annunciato appena a novembre, ha il controvalore di 330 milioni di dollari, composto da “componenti, pezzi di ricambio e accessori non standard, nonché supporto per la riparazione e la restituzione di aerei F-16, C-130 e Indigenous Defense Fighter (Idf)”. Quello attuale rappresenta un salto di qualità e di dimensioni, a partire dagli 82 Himars (Sistemi missilistici d’artiglieria ad alta mobilità), parte di un pacchetto del valore di oltre 4 miliardi di dollari comprensivo di 420 Atacms (Sistemi missilistici tattici dell’esercito) e 60 sistemi di obici semoventi più i relativi equipaggiamenti. Inoltre, software militari, missili Javelin e Tow; pezzi di ricambio per elicotteri e kit di ricondizionamento per i missili Harpoon. L’entità potenziale dell’accordo avvicina i 18 miliardi di dollari di vendite militari a Taiwan concordati da George W. Bush nel 2001, malgrado poi la cifra sia stata ridotta nella fase dei negoziati commerciali.

“Questa è la seconda vendita di armi a Taiwan annunciata durante il secondo mandato dell’amministrazione Trump, a dimostrazione ancora una volta del fermo impegno degli Usa per la sicurezza di Taiwan”, ha rimarcato il ministero degli Esteri di Taipei. L’accordo, che dovrebbe entrare ufficialmente in vigore tra circa un mese, necessita ancora dell’approvazione del Congresso, ma è improbabile che la misura non superi il voto vista la solida maggioranza bipartisan a favore dell’isola. Il governo del presidente taiwanese William Lai ha promesso di aumentare la spesa per la difesa fino al 5% del Pil entro il 2030 per contrastare la crescente pressione militare della Cina.

Gli Usa non riconoscono Taiwan come Stato, ma sono il principale sostenitore della sicurezza dell’isola in funzione anti-cinese. Pur attraversando una difficile congiuntura economica, la Repubblica popolare cinese punta ad affermarsi come potenza geopolitica e commerciale, possibilmente insidiando il primato degli Stati Uniti, cosa che Washington considera la vera sfida dei prossimi anni. Per far questo Pechino ha bisogno di aver libero accesso al mare, cosa che le è impedita dalla posizione geografica dell’ex colonia di Formosa, che si trova proprio dinanzi alle coste cinesi. L’isola, armata dagli Stati Uniti e sulla quale è presente un contingente di circa 500 militari Usa, impedisce nella pratica a Pechino di disporre liberamente di quel tratto di mare e di accedere al Mar Cinese Orientale, al Mar Cinese Meridionale, al Mare delle Filippine e di lì all’oceano Pacifico, una libertà di movimento necessari ad accrescere i propri flussi commerciali.

L’annuncio, com’era prevedibile, ha causato la dura reazione della Cina, che considera l’isola come una provincia ribelle e parte “sacra” e “inalienabile” del suo territorio destinata alla riunificazione anche con la forza, se necessario. Pechino “sollecita gli Usa a rispettare il principio della ‘Unica Cina’ e ha smettere immediatamente le azioni pericolose sugli armamenti a favore di Taiwan”, ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun.

La mossa, ha spiegato Pechino, viola gli accordi diplomatici tra Cina e Stati Uniti, danneggia gravemente la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale della Cina e mina la stabilità regionale. “Le forze per l’indipendenza di Taiwan sull’isola cercano l’indipendenza con la forza e resistono alla riunificazione con la forza, sperperando i soldi guadagnati con fatica per acquistare armi al costo di trasformare Taiwan in una polveriera“, ha proseguito Guo Jiakun. “Questo non può salvare il destino ormai segnato dell’indipendenza di Taiwan, ma accelererà solo la spinta dello Stretto di Taiwan verso una situazione pericolosa di confronto militare e guerra. Il sostegno degli Stati Uniti all’indipendenza di Taiwan attraverso le armi finirà per ritorcersi contro di loro. Usare Taiwan per contenere la Cina non avrà successo”.

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