Glicine, il pentito Mirarchi: «L’hacker tedesco ripuliva i soldi fatti dagli Arena tramite la gestione del Cara»

  • Postato il 8 novembre 2025
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Glicine, il pentito Mirarchi: «L’hacker tedesco ripuliva i soldi fatti dagli Arena tramite la gestione del Cara»

La Dda versa nel processo Glicine le rivelazioni di Mirarchi sull’hacker, rapporti anche con le cosche Arena di Isola e Farao di Cirò


CROTONE – L’hacker tedesco Marc Ulrich Goke sarebbe stato a disposizione della cosca Arena per ripulire i soldi che il clan lucrava sulla pelle dei migranti. Dalle malversazioni derivanti dalla gestione del Centro d’accoglienza S. Anna affidata alla Misericordia di Isola Capo Rizzuto, allora guidata dal governatore Leonardo Sacco, alle reti del riciclaggio in Germania.  Parola del collaboratore di giustizia catanzarese Santo Mirarchi, già referente degli Arena nel capoluogo calabrese.

Ci sono anche le sue rivelazioni tra le dichiarazioni di ben 25 pentiti versate dal pm Antimafia Pasquale Mandolfino nel maxi processo Glicine in corso a Crotone. Il suo contributo è ritenuto utile, dalla Dda di Catanzaro, per chiarire il ruolo di una figura chiave dell’inchiesta, come quella dell’esperto di frodi informatiche che per mesi avrebbe soggiornato a Crotone, lavorando a contatto di gomito con il boss di Papanice Domenico Megna.

L’HACKER TEDESCO DI CASA A ISOLA

Ma Goke era di casa anche a Isola Capo Rizzuto, a quanto pare. Gli isolitani lo chiamavano “Marco”, confidenzialmente. Quando gli inquirenti gli sottopongono in visione un album fotografico con le immagini di vari personaggi coinvolti, Mirarchi riconosce subito il tedesco. «L’ho visto a Isola Capo Rizzuto insieme a Leonardo Sacco, quello che gestiva il campo profughi insieme al prete. “Marco” aveva il compito di ripulire i soldi che Leonardo Sacco gestiva per conto della cosca Arena ed era in collegamento con banche svizzere e tedesche». Non parla in maniera specifica di trading clandestino online, Mirarchi. Ma Goke era un esperto del settore, tant’è che fu trovato in possesso di un vademecum sul funzionamento delle piattaforme, tra i nuovi interessi della ‘ndrangheta.

IL RUOLO DI SACCO

È appena il caso di ricordare che l’ex governatore della Misericordia di Isola, ed ex numero due nazionale della confraternita, e l’ex parroco Edoardo Scordio sono stati condannati per associazione mafiosa anche nel processo d’appello bis scaturito dall’inchiesta “Jonny”. Per la Dda sono gli ideatori dell’affaire Misericordia, attraverso cui le somme destinate all’assistenza dei migranti accolti nel Cara S. Anna sarebbero state distratte per un decennio. La cosca Arena, dicono le sentenze, aveva allungato i suoi tentacoli sulla struttura per migranti tra le più grandi d’Europa. Proprio Sacco è considerato il broker finanziario della cosca in quanto, secondo l’accusa, avrebbe dissipato il denaro pubblico attinto dalle risorse milionarie finalizzate al centro d’accoglienza.

IL RUOLO DI GOKE

Goke, invece, sarebbe il «fulcro internazionale di operazioni miliardarie, capace di coordinare l’operato clandestino di banchieri della Deutsche Bank e di imprenditori miliardari», è detto nell’informativa ripercorsa in aula nei giorni scorsi, durante un’udienza del processo Glicine, da un sottufficiale dei carabinieri del Ros. Per lungo tempo sarebbe stato in Italia alle “dipendenze” della cosca Megna. E anche dopo la sua partenza in Germania continuava ad essere sostenuto economicamente dal boss papaniciaro. La sua posizione è stata stralciata da quella di 100 imputati sotto processo a Crotone, per questioni di competenza territoriale in quanto residente all’estero. Ma c’è già una richiesta di rinvio a giudizio per lui e altri due imputati nel filone tedesco dell’inchiesta sulla quale deve pronunciarsi il gup distrettuale di Catanzaro.

L’HACKER A DISPOSIZIONE ANCHE DEI CIROTANI

Intanto, la posizione di Goke si aggrava. Secondo il pentito, era a disposizione anche del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, le cui ramificazioni in Germania sono note, e della cosca di Isola, oltre che di quella di Papanice. «“Marco” aveva agganci a Francoforte, con alcune banche. Era “amico” anche con i cirotani. In Germania – spiega Mirarchi – riusciva a costituire società che avevano il compito di acquisire beni e debiti di altre società in fallimento in Italia. Le società che fallivano in Italia erano sempre gestite dalla cosca e intestate a prestanome. I fallimenti erano pilotati per procedere con le truffe. Con la società estera, in pratica, si acquisivano i beni della società che in Italia sarebbe fallita». Insomma, “Marco”, secondo la ricostruzione offerta agli inquirenti da Mirarchi, era una “testa di ponte” per dirottare investimenti della cosca Arena in Germania.

RICICLAGGIO IN GERMANIA

 «Considerate – osserva, non a caso, il pentito – che in Germania non esiste il reato di associazione mafiosa. In quel periodo, Paolo Lentini (il reggente del clan nella fase focalizzata dall’inchiesta, ndr) e lo stesso Sacco dicevano che sarebbe stato meglio trasferire beni e soldi in quel Paese».  A favorire il riciclaggio di denaro dei clan sono spesso le asimmetrie normative che, anche in Europa, consentono di spostare tesori da un territorio all’altro sfruttando vuoti legislativi. Un tema su cui insistono spesso il professore Antonio Nicaso e Nicola Gratteri, che anche nel loro ultimo libro parlano delle reti del riciclaggio agevolate da mancate armonizzazioni legislative e giurisdizioni opache. Ecco perché una “gallina dalle uova d’oro” come Goke faceva comodo ai clan del Crotonese. «Questo “Marco” – ribadisce Mirarchi – non lavorava solo con gli Arena ma anche con i cirotani. Del resto, i cirotani venivano spesso a Isola. Negli incontri che facevamo “Marco” era presente. L’avrò visto due o tre volte in occasione di questi incontri».

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IL RACKET DELLE PATATINE

Il patrimonio di conoscenze del pentito catanzarese spazia soprattutto nel campo delle estorsioni, sua “specialità”. Così spuntano il racket delle patatine e quello del caffè. ««Conosco il responsabile per la vendita delle patatine San Carlo della zona di Catanzaro. Me lo ha presentato Paolo Lentini a Isola. Mi disse che dovevamo aiutarlo affinché i bar e gli esercizi commerciali della zona di Catanzaro si rifornissero esclusivamente delle patatine San Carlo. Non solo patatine, ma anche le arachidi e tutti gli snack della linea. Questo responsabile della San Carlo pagava regolarmente alla nostra cosca il “fiore” a Natale, Pasqua e Ferragosto. Lentini mi disse che in quel momento questo responsabile della San carlo era in difficoltà economica e dovevamo aiutarlo ad aumentare il fatturato». Appena il caso di precisare che la nota azienda specializzata nella produzione di snack di alta qualità è estranea all’inchiesta. L’azienda, afferma il pentito, lavorava tramite corrieri autonomi e rappresentanti gestiti da un “responsabile” che, a suo dire, si era rivolto alla cosca isolitana per imporre forniture nei bar di Catanzaro e dintorni ma anche nella Presila crotonese. Il pentito fa una serie di nomi di bar, pasticcerie, centri commerciali e perfino strutture turistiche che hanno venduto esclusivamente quei prodotti. «Ve lo posso garantire».

IL RACKET DEL CAFFÈ

Le ingerenze del clan erano anche nell’affare del caffè. Catanzaro era invasa dalle cosche del Crotonese. Imperversavano i Grande Aracri di Cutro e gli Arena di Isola. Finché non venne arrestato, per conto dei clan a imporre i prodotti da caffè a Catanzaro e dintorni, racconta sempre Mirarchi, era Pietro Mellea. Sarebbe stato poi Nando Caterisano di Roccelletta di Borgia a proporre a Paolo Lentini di aiutare «un imprenditore campano che gestisce il caffè Borbone». Era lo stesso che, a quanto pare, forniva i totem per i videopoker che i clan avevano imposto ai titolari di varie sale giochi. In quel momento pare che l’imprenditore avesse bisogno di 1,2 milioni e i clan si sarebbero «messi d’accordo» per prestargli soldi in contanti e fargli avere l’”esclusiva” in un vasto territorio. L’azienda, che se ne sappia, risulta estranea all’inchiesta. Ma «In questo modo – spiega ancora Mirarchi – la nostra cosca sarebbe entrata in affari con questo imprenditore e avrebbe pure guadagnato sulle provvigioni che ci riconosceva aumentando la vendita nel Catanzarese e nell’Isolitano».

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