Global Sumud Flotilla, tutte le bugie della “finta missione umanitaria” pro pal verso Gaza
- Postato il 6 ottobre 2025
- Di Panorama
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Vi siete mai chiesti se dietro certe “missioni umanitarie” si nasconda un copione scritto a tavolino? È ciò che emerge dall’ultima vicenda della Global Sumud Flotilla, ribattezzata in Israele «Hamas-Flotilla». Presentata come un’iniziativa pacifica per portare aiuti a Gaza, si è rivelata un’operazione di pura propaganda politica, orchestrata con fondi opachi, false mappe e narrazioni mediatiche studiate per accusare Israele di crimini che non ha commesso. Le quaranta imbarcazioni dirette verso la Striscia sono state intercettate durante lo Yom Kippur: nessuna trasportava cibo, medicine o materiale sanitario. Solo bandiere, slogan e telecamere pronte a filmare la “repressione”. Il Ministero degli Esteri israeliano ha diffuso un video ufficiale: il portavoce Dean Elsdunne, a bordo di una delle navi, mostra i ponti vuoti e spiega che «non vi è traccia di alcun aiuto umanitario». Secondo Elsdunne, la totale assenza di carichi utili dimostra che «l’obiettivo non era aiutare i civili di Gaza, ma provocare Israele davanti alle telecamere». Non sorprende che la cosiddetta flottiglia, presentata come missione umanitaria, abbia rifiutato tutte le offerte di Israele, Italia e Grecia di sbarcare pacificamente gli aiuti destinati a Gaza in uno dei porti della regione. Dopo un’ispezione completa di navi e yacht coinvolti nell’operazione, è emerso che l’intero carico di «aiuti» ammontava a malapena a due tonnellate, sparse tra 42 imbarcazioni. Ciò equivale a meno di un decimo del contenuto di un singolo camion dei soccorsi.
Per comprendere la sproporzione:
• un solo camion di aiuti che entra quotidianamente a Gaza trasporta circa 20 tonnellate di beni essenziali;
• ogni giorno, attraverso i valichi controllati, transitano in media 300 camion carichi di forniture umanitarie. Numeri che ridimensionano radicalmente la narrativa propagandistica della flottiglia, svelando come l’operazione avesse più un obiettivo mediatico che umanitario.
Il nodo dei finanziamenti
Dietro la cosiddetta “flotta umanitaria” si muove una rete complessa di ONG, fondazioni e associazioni legate alla Fratellanza Musulmana e ad Hamas. Secondo dossier raccolti dai servizi europei e israeliani, parte dei fondi proverrebbe da conti riconducibili a organizzazioni caritatevoli con sede in Turchia e nel Regno Unito, già finite sotto inchiesta per sostegno a gruppi radicali. Una fonte diplomatica a Gerusalemme sintetizza così il quadro: «I soldi arrivano da canali paralleli, schermati da sigle che si presentano come umanitarie. In realtà, finanziano la propaganda contro Israele e la macchina mediatica che ruota intorno alla flotilla». Un nuovo video, circolato nelle ultime ore, rafforza questa ricostruzione. Una donna infiltrata sotto copertura ha registrato riunioni interne e conversazioni tra gli attivisti: «Sono ripresi mentre ammettono che si tratta solo di un’operazione di pubbliche relazioni e che il loro finanziamento proviene da Hamas e dalla Fratellanza Musulmana». Il filmato autentico, rilanciato online, smonta completamente la narrativa della missione pacifica.
La balla dell’abbordo in acque internazionali
Uno dei cardini della propaganda della Flotilla è la denuncia di essere stata «abbordata in acque internazionali». Un’accusa che, a prima vista, può sembrare credibile, ma che non regge a un’analisi tecnica e giuridica. Dal 2007, Israele ha notificato alle Nazioni Unite la creazione di una zona di interdizione marittima al largo di Gaza, fino a 20 miglia nautiche dalla costa, per impedire il traffico di armi verso le milizie di Hamas. Tale blocco è riconosciuto dal diritto internazionale e rientra nelle misure di sicurezza previste dall’articolo 51 della Carta ONU. Secondo i dati radar e GPS pubblicati dalla Marina israeliana, l’intercettazione è avvenuta all’interno della zona di interdizione, tra le 15 e le 18 miglia nautiche da Gaza. I tracciati AIS di diverse navi della Flotilla confermano che erano dirette verso un porto sottoposto a embargo, violando deliberatamente le restrizioni marittime. Gerusalemme ha inoltre diffuso le coordinate ufficiali e gli avvisi radio inviati agli equipaggi, che sono stati ignorati. L’operazione, dunque, è avvenuta «in totale conformità con il diritto marittimo internazionale» e secondo le procedure raccomandate dalla Commissione Palmer dell’ONU, la quale nel 2011 stabilì che il blocco navale israeliano è legittimo. La narrativa dell’«abbordo illegale» è una manipolazione già vista nel 2010 con la Mavi Marmara. Anche allora, gli organizzatori diffusero mappe falsate per suggerire che le navi si trovassero in alto mare. Oggi la stessa tattica viene ripetuta: mappe non verificabili, coordinate inventate e slogan come “acque internazionali” utilizzati per evocare un’immagine di sopruso. In realtà, l’operazione israeliana rientra nel pieno diritto di autodifesa marittima, applicato anche da NATO e Unione Europea contro i traffici illegali nel Mediterraneo. La presunta “violazione” è dunque una costruzione propagandistica, utile solo a creare indignazione e a trasformare un controllo legale in un atto di aggressione simbolica.
Il vittimismo mediatico e il caso Greta Thunberg
Come ogni operazione di propaganda ben orchestrata, anche questa si è accompagnata a una campagna mediatica capillare. Video lacrimosi, dichiarazioni drammatiche e accuse di maltrattamenti hanno invaso i social e le televisioni europee. Alcuni partecipanti hanno sostenuto di essere stati «trattenuti senza motivo» o «malmenati». Ma i referti medici e le testimonianze ufficiali israeliane smentiscono queste versioni: i fermati sono stati assistiti da personale sanitario e trasferiti in sicurezza nel centro di detenzione di Ktziot, nel Negev, in condizioni controllate e documentate. «È un copione che si ripete – spiegano fonti diplomatiche europee –: prima si provoca la reazione israeliana, poi si costruisce il racconto della vittima per ottenere visibilità e fondi». Il culmine della manipolazione mediatica è arrivato con l’episodio di Greta Thunberg. La giovane attivista, invitata a bordo come simbolo della “coscienza occidentale”, si è trovata al centro di una sceneggiata surreale: costretta, secondo testimoni, ad avvolgersi nella bandiera israeliana durante l’intercettazione, per poi cedere alle lacrime davanti alle telecamere. Le immagini, rilanciate dai network internazionali, sono diventate virali e hanno alimentato la narrativa del «trauma inflitto da Israele».
Ma dietro le quinte, spiegano fonti di intelligence, «l’episodio era stato previsto come elemento di storytelling emotivo per massimizzare l’impatto mediatico». Secondo Elisa Garfagna, analista del linguaggio dei social media: «Il caso di Greta Thunberg mostra chiaramente come le emozioni possano essere usate per influenzare l’opinione pubblica. Immagini forti e storie selezionate con precisione, creano un senso di vittimizzazione che, anche se reale, viene spesso sfruttato per fini politici. Questo modo di fare non solo semplifica questioni molto complesse, riducendo tutto a un conflitto tra buoni e cattivi, ma rischia anche di allontanare chi vuole aiutare. Così, il pubblico può diventare scettico nei confronti di iniziative umanitarie che sembrano più propaganda che vera assistenza». L’intera sequenza, dalle riprese alla diffusione coordinata sui social, appare studiata a tavolino da un team di comunicazione che lavora da mesi sulla costruzione dell’immagine della Flotilla come “missione eroica” contro l’“oppressione sionista”. A distanza di pochi giorni dall’operazione, resta la certezza che la Global Sumud Flotilla sia stata un esperimento mediatico più che un’iniziativa umanitaria. Israele ha intercettato navi vuote, ma piene di slogan. Dietro l’apparenza di solidarietà, si nasconde un disegno ben più articolato: utilizzare il mare come teatro simbolico, e i media come moltiplicatore politico. «Non si è mai trattato di aiuti a Gaza – ha ribadito il portavoce Elsdunne – ma di una campagna per delegittimare Israele». E la vicenda Greta Thunberg ne è solo l’ultimo, perfetto esempio: un atto di regia, travestito da tragedia umanitaria, per alimentare l’ennesimo piagnisteo globale contro lo Stato ebraico.