Guerra, inflazione e dazi: la spirale che minaccia l’economia russa
- Postato il 28 luglio 2025
- Business
- Di Forbes Italia
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di Alberto Bruschini
Le domande poste da Bloomberg – multinazionale americana attiva nel settore dell’informazione finanziaria – alla Banca Centrale russa circa l’eventualità che, in un prossimo futuro, tre banche di primaria importanza (Otkritie, Promsvyazbank e B&N Bank) possano trovarsi in difficoltà, non hanno ricevuto una risposta diretta dalla governatrice Elvira Nabiullina. In occasione del Forum finanziario di San Pietroburgo, svoltosi a inizio luglio, la stessa si è limitata ad affermare che il sistema bancario russo è ben capitalizzato, con riserve di capitale pari a 8mila miliardi di rubli (circa 102 miliardi di dollari).
Secondo Nabiullina, la stabilità del settore sarebbe garantita da profitti nominali solidi e da un livello di Npl (Non performing loans) inferiore rispetto a quanto registrato in precedenti fasi di crisi economica.
Le premesse
Le domande di Bloomberg, considerato lo stallo della guerra in Ucraina, non appaiono fuori luogo. Già nel mese di maggio, infatti, la Banca Centrale russa aveva segnalato che 13 delle 78 principali imprese del Paese presentavano difficoltà nel rispettare le proprie obbligazioni debitorie. Anche l’agenzia di rating Acra – con sede a Mosca e fortemente sostenuta dal Cremlino dopo l’estromissione di S&P, Fitch e Moody’s – ha rilevato che circa il 20% del capitale delle banche russe è esposto verso debitori con rischio di insolvenza.
Le autorità russe, da parte loro, hanno cercato di ridimensionare la portata delle preoccupazioni sollevate da Bloomberg, sostenendo che l’economia nazionale non versa in recessione, ma sta attraversando una fase di raffreddamento legata a normali cicli congiunturali. Diversa è stata invece la valutazione del ministro dello Sviluppo Economico Maxim Reshetnikov, che ha dichiarato come “l’economia russa sia sull’orlo del baratro”. Una simile divergenza di dichiarazioni da parte di esponenti di primo piano riflette forse la consueta ambiguità di posizioni propria di un Paese in guerra, dove tutto ruota attorno alla figura di Vladimir Putin.
Il contesto internazionale
Una cosa tuttavia è certa: in stato di guerra, le tematiche relative a inflazione, spesa pubblica, tassi d’interesse, andamento economico, costo della vita e diminuzione dei salari reali diventano centrali nel dibattito politico ed economico. Nel 2024 l’inflazione ha raggiunto il picco del 12,9%, effetto combinato delle sanzioni occidentali e dell’aumento della spesa pubblica per la difesa. Quest’ultima è passata dal 3,6% del PIL nel 2021 al 6,3% nei primi mesi del 2025. Anche la spesa per il sostegno a feriti e caduti ha inciso, raggiungendo circa l’1,6% del PIL.
Per contrastare l’inflazione, la governatrice Nabiullina ha innalzato il tasso di riferimento fino al 21%, con una successiva riduzione al 20% nel 2025, in risposta al miglioramento dell’indice inflattivo, sceso al 7,1% secondo le analisi del Cepa (Center for European Policy Analysis). Le domande di Bloomberg circa la solidità di Otkritie, Promsvyazbank e B&N Bank si inseriscono in un contesto internazionale teso, e sembrano allinearsi – forse non casualmente – con la nuova linea dichiarata da Donald Trump nei confronti della Russia. IL presidente ha infatti affermato che “se non avremo un accordo entro 50 giorni, i dazi saliranno al 100%”.
La reazione di Putin
Una simile minaccia non pare impensierire Putin, sia per il tempo concesso, sia per il fatto che le esportazioni russe verso gli Stati Uniti si sono già drasticamente ridotte a seguito delle sanzioni imposte durante l’amministrazione Biden. Ben più incisiva, invece, potrebbe rivelarsi una sanzione del 100% sulle transazioni commerciali con Cina e India, due Paesi che hanno mantenuto, se non addirittura aumentato, un flusso costante di importazioni di gas e petrolio dalla Russia.
Tale minaccia assume ancor maggiore rilevanza se letta in combinazione con la decisione dell’Opec di aumentare la produzione di petrolio nel corso del 2025, dopo i tagli decisi nel 2024. In risposta a questa decisione, la banca statunitense Morgan Stanley ha rivisto al ribasso le proprie stime sul prezzo del petrolio, fissandole a 62,5 dollari al barile per il terzo e quarto trimestre del 2025, 5 dollari in meno rispetto alle previsioni precedenti.
Cosa rischia l’economia russa
Il rischio che l’economia russa possa deteriorarsi ulteriormente, a causa della riduzione delle entrate petrolifere e delle possibili sanzioni sui dazi, è reale. Il rapporto debito/PIL, già salito dal 14,9% nel 2023 al 18% nel 2025, potrebbe peggiorare ulteriormente. Un peggioramento del rapporto debito/Pil avrebbe conseguenze dirette sul finanziamento del debito pubblico e privato, gran parte del quale è denominato in valuta estera e quindi sottoscritto da investitori internazionali.
Nel caso in cui l’economia russa scivolasse in una fase di stagflazione, si potrebbe assistere a una nuova svalutazione del rublo, con effetti disastrosi sul debito pubblico. In aggiunta, fino a quando il conflitto proseguirà, i 630 miliardi di riserve valutarie russe detenuti presso banche e istituzioni occidentali resteranno bloccati. Alla luce di questo scenario, le domande di Bloomberg non sembrano affatto pretestuose. Una dinamica stag flattiva comprometterebbe gravemente la sostenibilità del debito pubblico russo.
Diversamente dal 2017, quando la Banca Centrale intervenne con un’iniezione di un trilione di rubli per salvare le tre banche oggi sotto osservazione, le condizioni economiche e geopolitiche attuali renderebbero molto più difficile replicare quell’intervento. La coincidenza tra le domande di Bloomberg e la minaccia dei dazi, entrambe provenienti dagli Stati Uniti, richiama alla mente una celebre frase attribuita ad Andreotti: “A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”.
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L’articolo Guerra, inflazione e dazi: la spirale che minaccia l’economia russa è tratto da Forbes Italia.