Guerra Israele-Iran, niente panico sui mercati: petrolio crolla, le Borse volano
- Postato il 24 giugno 2025
- Di Panorama
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Alla fine l’impressione sembra questa: sui mercati non è successo nulla. La guerra fra Iran e Israele che sembrava il prologo di un conflitto mondiale si sta condendo con danni limitati per la finanza mondiale. Le Borse si stanno riprendendo, il dollaro torna a essere debole e il petrolio sta crollando.
A guardare bene non è esattamente così. Lasciamo perdere le Borse la cui volatilità è ormai diventata la regola. Guidate dagli algoritmi che regolano i sistemi di trading hanno andamenti alluvionali: appena rompono determinate soglie di resistenza crollano. Raggiunti i supporti rimbalzano con la violenza delle palline di tennis colpite da Sinner. Gli esempi più clamorosi sono la caduta e l’immediata ripresa con il Covid. Poi con l’invasione della Russia in Ucraina e da ultimo il Liberation Day di Trump del 2 aprile. Solito andamento a V: crollo e immediata ripresa.
Petrolio in picchiata, ma le conseguenze restano
Discorso non molto diverso per il petrolio: scende oggi a precipizio perché era molto salito dal 13 giugno giorno di inizio del raid israeliano sull’Iran. In dieci giorni il barile è passato da 65 a 81 dollari (livello massimo raggiunto nei primi scambi di lunedì). Ora sta tornando da dov’era partito. Il movimento, però, non è rimasto proprio senza conseguenze: la benzina è tornata a superare 2 euro e litro con punte di 2,3 euro. E’ presumibile che nel corso dell’estate vedremo qualche tensione sull’inflazione. Certo non è successo nulla di catastrofico come in passato.
Lo Stretto di Hormuz resta aperto: gli ayatollah non spaventano
La ragione è politica e non finanziaria. L’Iran non ha nemmeno provato a utilizzare l’arma di distruzione di massa in suo possesso: il blocco dello Stretto di Hormuz da cui passa il 20% del traffico mondiale di petrolio. Non ha voluto (e probabilmente nemmeno potuto) intralciare il passaggio delle petroliere lanciando missili o attacchi cyber. Nulla di nulla. Il mercato ha capito la debolezza del regime e ha subito adeguato i prezzi. Il ragionamento è stato semplice: gli ayatollah non hanno alleati e quindi non fanno paura.
Situazione molto diversa da sabato 6 ottobre 1973, giorno di Yom Kippur per gli ebrei, quando Egitto e Siria attaccarono da due lati Israele. Volevano riconquistare il terreno perduto sette anni prima nella Guerra dei sei giorni. I Paesi arabi riuniti nell’Opec smisero di vendere petrolio agli Usa e ad alcuni loro alleati. Lo Stretto di Hormuz fu chiuso per davvero. Il prezzo del greggio schizzò da 3 dollari al barile a 12 in poche settimane. Uno choc che inflazione e le domeniche in bicicletta. La guerra durò in tutto 20 giorni, l’embargo altri 5 mesi e si mostrò uno strumento di pressione straordinario per spingere gli Usa a ridurre le aspettative che Israele si era guadagnato sul campo di battaglia.
C’era la Guerra Fredda, le due superpotenze si combattevano per procura, ma c’era anche un mondo arabo (quasi) unito contro Tel Aviv. Nel caso di questa guerra preventiva di Israele (e Stati Uniti) contro l’Iran, invece, l’Opec non discute neppure di un embargo petrolifero. La Russia non ha allestito ponti aerei. L’Arabia Saudita ha chiamato l’Iran «Paese fratello» all’inizio dell’aggressione israeliana. Qatar e Oman hanno parlato di «violazione israeliana del diritto internazionale». L’Egitto ha chiesto un “ritorno al tavolo dei negoziati”. L’Iraq, pensando alle milizie filo iraniane che ha sul suo territorio e in Parlamento, ha previsto “un’escalation regionale”. Siria e Libano sono rimaste silenziose, d’altra parte hanno già i droni e i jet israeliani sui loro cieli. Ma nessuno ha chiuso un pozzo petrolifero.