Guida senza patente, per i recidivi scatta il reato: linea dura della Corte Costituzionale

  • Postato il 31 ottobre 2025
  • Patente
  • Di Virgilio.it
  • 4 Visualizzazioni

Chi viene sorpreso a guidare senza patente per la seconda volta nell’arco di due anni commette reato e non più una semplice infrazione amministrativa. Con la sentenza 154 del 2025, depositata il 24 ottobre, la Corte Costituzionale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze, confermando che la recidiva infrabiennale nel comportamento di guida senza titolo abilitativo mantiene rilevanza penale.

È una decisione che ristabilisce una linea di rigore in un contesto dove la depenalizzazione del 2016 aveva ridisegnato i confini tra sanzione penale e amministrativa, e che oggi riafferma la necessità di tutelare il bene giuridico della sicurezza pubblica di fronte a comportamenti reiterati e considerati socialmente pericolosi.

La recidiva come indice di pericolosità

Tutto nasce in Toscana, da un procedimento ordinario del Tribunale di Firenze che vedeva imputato un uomo accusato di guida senza patente reiterata nel biennio. Il giudice monocratico aveva sollevato dubbi sulla costituzionalità dell’articolo 116, comma 15, del Codice della Strada, che continua ad attribuire rilievo penale alla condotta del recidivo, e sugli articoli 1, comma 2, e 5 del decreto legislativo 6 del 2016, con cui il Governo aveva attuato la grande riforma depenalizzatrice dei reati minori.

Il cuore del problema era la disparità di trattamento: perché lo stesso comportamento della guida senza patente viene punito con una sanzione amministrativa per chi lo commette la prima volta e con una pena detentiva per chi lo ripete entro due anni?

Secondo il giudice fiorentino, la norma avrebbe introdotto una responsabilità d’autore, cioè una forma di colpevolezza legata alla personalità del soggetto più che al fatto oggettivo, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che impone l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la proporzionalità della pena rispetto all’offesa arrecata. Da qui la richiesta alla Consulta di verificare la compatibilità costituzionale di una disposizione che, a prima vista, sembrava fondare la punibilità su una condizione soggettiva e non su un comportamento più grave.

La Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione, chiarendo che la recidiva non è un marchio personale, ma una circostanza aggravante che trova la sua giustificazione nel rapporto diretto tra le due condotte. Il fatto di essere stati già sanzionati per la stessa violazione e di ripeterla a distanza di breve tempo costituisce una manifestazione di pericolosità sociale e di disprezzo per la legge, elementi che giustificano un trattamento più severo.

In questo senso, la recidiva infrabiennale diventa un indice di consapevolezza e colpevolezza aggravata e dunque una fattispecie distinta dal comportamento isolato.

Quando la pena detentiva resta legittima

Per comprendere il significato della sentenza, bisogna tornare al decreto legislativo 6 del 2016, il provvedimento con cui il legislatore ha voluto alleggerire il carico della giustizia penale, trasformando in illeciti amministrativi molti reati minori puniti con la sola pena pecuniaria. Il comma 2 dell’articolo 1 stabilisce però un confine netto: la depenalizzazione non si applica ai casi in cui la legge prevede pene detentive, anche solo in alternativa alla multa. In queste ipotesi le fattispecie aggravate restano autonome e penalmente rilevanti.

Il Tribunale di Firenze aveva contestato proprio questo passaggio e sostenuto che la depenalizzazione avrebbe dovuto valere anche per le forme aggravate, in nome del principio di ragionevolezza e uguaglianza. La Corte Costituzionale ha ribattuto con l’argomentazione che il legislatore delegato, nell’applicare la legge di delega, aveva sì l’obiettivo di deflazionare il sistema penale, ma non poteva estendere la depenalizzazione a comportamenti con disvalore accentuato e rischio intrinseco per la collettività.

In questo contesto la guida senza patente reiterata è considerata un illecito che travalica la violazione amministrativa poiché denota persistenza nell’inadempienza, assenza di deterrenza e consapevole esposizione del pubblico a pericoli. Il legislatore ha agito nel rispetto della Costituzione e mantenuto la pena detentiva per i casi in cui la condotta non si esaurisce in una dimenticanza o in un episodio isolato, ma si traduce in un comportamento abituale e deliberato di disobbedienza civile.

La guida senza patente come comportamento di disvalore sociale

La Corte Costituzionale ha sottolineato un punto: la guida senza patente non è una mera omissione burocratica, ma un atto pericoloso per la sicurezza stradale, l’incolumità delle persone e l’integrità dei beni pubblici e privati. Chi guida senza aver conseguito la patente, o dopo averla persa, viola il presupposto di base della circolazione: la necessità di un’abilitazione che attesti la conoscenza del codice, la capacità di condurre un veicolo e la padronanza dei rischi.

Per questo motivo la reiterazione nel biennio non è per la Consulta un’aggravante artificiale, ma un fatto sintomatico di una pericolosità accertata, che giustifica la pena detentiva e l’esclusione della semplice sanzione amministrativa. Il comportamento del recidivo incide sul rispetto della legge e mina la fiducia collettiva nelle regole che consentono la convivenza civile nello spazio pubblico. È per questa ragione che la Consulta ha parlato di disvalore significativo dell’illecito, riconoscendo nella condotta reiterata una minaccia concreta all’ordine della circolazione.

Il giudice ha anche chiarito che la recidiva non ha effetti permanenti: il suo rilievo penale è limitato a un arco temporale di due anni, oltre il quale la sanzione torna a essere amministrativa. In questo modo, si evita la configurazione di un marchio indelebile e si salvaguarda il principio di proporzionalità della pena, che resta uno dei cardini della giustizia costituzionale.

Cassazione e Consulta in sintonia

La sentenza della Corte Costituzionale si colloca in continuità con l’orientamento già espresso dalla Cassazione penale, che negli ultimi anni ha ribadito più volte la persistente rilevanza penale della guida senza patente in caso di recidiva infrabiennale. La Suprema Corte aveva già precisato che il legislatore, pur avendo depenalizzato molte condotte minori, aveva inteso mantenere la sanzione penale per i comportamenti che denotano una reiterazione colpevole e una resistenza alla funzione rieducativa della prima sanzione.

La decisione della Consulta consolida questo indirizzo, restituendo certezza interpretativa a una materia che negli anni aveva visto opinioni contrastanti tra giudici di merito. Ora la regola è chiara: chi guida senza patente e viene colto di nuovo nell’arco di due anni sarà perseguito penalmente, con possibilità di condanna a pena detentiva e conseguenze più gravi in termini di fedina penale e responsabilità civile in caso di sinistro.

È una linea che risponde a una logica di prevenzione generale, volta a scoraggiare condotte di indifferenza sistematica per le regole del Codice della Strada.

Autore
Virgilio.it