«Hacker a stretto contatto col boss», i motivi della sentenza Glicine Acheronte
- Postato il 11 settembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
«Hacker a stretto contatto col boss», i motivi della sentenza Glicine Acheronte
L’hacker tedesco accanto al boss di Papanice, la sentenza Glicine Acheronte spiega anche perché cadono le accuse per i colletti bianchi
CROTONE – Gli hacker erano a contatto di gomito col boss di Papanice. «Sotto le direttive» del capo bastone Domenico Megna e del nipote Mario, l’informatico Roberto Lumare avrebbe messo «a disposizione del gruppo mafioso il suo know-how» e le sue «conoscenze nel campo dell’hackeraggio» per «far espandere la cosca nel settore molto redditizio delle operazioni finanziarie illecite». Depositate, nel processo col rito abbreviato scaturito dell’inchiesta che nel giugno 2023 portò alla mega operazione Glicine-Acheronte, le motivazioni della sentenza con cui la gup distrettuale di Catanzaro Sara Merlini ha disposto 10 condanne per i presunti esponenti della cosca Megna.
Una cosca in grado di reclutare anche hacker tedeschi per muovere fiumi di denaro attraverso il trading clandestino on line. La sentenza spiega anche perché non reggono le accuse per i colletti bianchi che avrebbero fatto parte di un comitato d’affari e quelle di violazione della legge elettorale
SENTENZA GLICINE, L’HACKER E IL BOSS
Fondamentale, per cogliere la rilevanza dei sofisticati interessi criminali della cosca, il ruolo di Lumare, condannato a 12 anni di reclusione, accostato a quella dell’hacker tedesco Mark Ulrich Goke, la cui posizione processuale è stata stralciata. I due, in una delle conversazioni intercettate nell’ambito della maxi inchiesta della Dda di Catanzaro, parlano di una riunione alla quale avrebbero dovuto partecipare con il nipote del boss, condannato a 16 anni. Lumare partecipa anche a un viaggio in Montenegro, luogo di riciclaggio della cosca.
Ma, soprattutto, da una conversazione tra Lumare e Goke, si comprende che quest’ultimo è stato a stretto contatto col boss. «C’era anche lui ed ho cercato di comunicare ma non è facile anche perché con l’italiano non me la cavo tanto bene – dice l’hacker tedesco – Ma mi guardava, mi osservava». «Ho lo zio che mi sta dietro», dice, inoltre, Lumare in una delle conversazioni intercettate valorizzate nella sentenza, mentre era alle prese con la simulazione di acquisti online tramite schede clandestine. Operazioni che il boss voleva monitorare da vicino.
IL GENERO DI TANZI
Dalle intercettazioni, infatti, emerge che Mario Megna «era interessato ai conti correnti dormienti» ritenendo di poter operare con le cosiddette schede nere grazie alla complicità di direttori di banca infedeli. Non a caso, rileva la gup Merlini, il nipote del boss parla di operazioni di riciclaggio di cinque milioni attraverso strumenti elettronici clandestini utilizzando pos in modalità off line. «A me serve un direttore di banca per fare l’off», direbbe Mario Megna all’imprenditore Stefano Strini, genero dell’ex patron del gruppo alimentare Parmalat Calisto Tanzi. A Strini, imputato col rito ordinario, il rampollo del clan crotonese fornirebbe istruzioni su conti su cui far transitare il denaro.
SERVIZI DI VIGILANZA
La cosca Megna aveva il monopolio dei servizi di vigilanza. Cesare Carvelli, in particolare, condannato a 6 anni e 8 mesi, avrebbe imposto la guardiania nei cantieri di un parco eolico in costruzione, estromettendo le società prima impegnate. Autista del bus del Crotone Calcio, forte di un rapporto privilegiato col figlio del presidente, Raffaele Vrenna junior, il suo ruolo emerge anche in relazione alla distribuzione di biglietti gratuiti per le partite su input del boss Megna. Dalle intercettazioni verrebbe fuori che il boss «pretendesse di scegliere le persone che potevano entrare gratuitamente allo stadio».
FIERA MARIANA
Condannato a 12 anni Maurizio Del Poggetto, la cui figura balza all’attenzione soprattutto nella vicenda dell’affidamento dei servizi di organizzazione della fiera mariana in occasione della festa della Madonna di Capocolonna, esternalizzati dopo che per anni erano gestiti da Akrea, società in house del Comune di Crotone. Aggiudicataria La Rosa Fiere srl, unica società a rispondere al bando dopo una serie di anomalie annotate dalla Guardia di finanza. Tra queste, un incontro con l’ex consigliere regionale Enzo Sculco durante il quale Del Poggetto avrebbe insistito per ottenere l’assegnazione che, secondo la Dda, ma anche secondo la giudice, rientra nel «più ampio programma criminoso della cosca».
L’EX DIRETTORE AMMINISTRATIVO ASP
Una delle assoluzioni eccellenti è senz’altro quella dell’avvocato catanzarese Francesco Masciari, ex direttore amministrativo dell’Asp di Crotone, imputato nel filone del presunto comitato d’affari. Le contestazioni nascono dall’interessamento di Sculco per la sua designazione che sarebbe stata utile per influire sui concorsi per l’assunzione di dirigenti e l’affidamento di appalti e servizi. Una volta nominato, Masciari parla con Sculco di un bando per la nomina di due dirigenti che avrebbero veicolato voti in favore della figlia Flora alle elezioni regionali. Masciari è stato però assolto perché «non si è mai piegato ai desiderata di Sculco mantenendo un comportamento esente da rilievi penali».
BONIFICA E COLLUSIONI
Spicca anche l’assoluzione dell’imprenditore Giuseppe Villirillo, titolare di Crotonscavi, aggiudicataria dei lavori di bonifica dell’area archeologica adiacente all’ex Montedison, facente parte del polo chimico della Pertusola. L’assoluzione è giunta perché tutta una serie di attività collusive, finalizzate ad affidare senza gara i lavori, nelle quali avrebbero avuto un ruolo l’ex consigliere regionale Enzo Sculco, l’ex segretario particolare del governatore Mario Oliverio Giancarlo De Vona e l’ex dirigente comunale Mario Germinara, «non ruota attorno alla procedura selettiva per la scenta del contraente». Non si configurerebbe la turbativa d’asta, insomma, ma l’abuso d’ufficio ormai abrogato per legge.
L’EX PRESIDENTE DELLA PROVINCIA
Per l’ex sindaco di Cirò Marina ed ex presidente della Provincia di Crotone, Nicodemo Parrilla, gli stessi pm Alessandro Rho e Paolo Sirleo avevano chiesto l’assoluzione. La richiesta è stata accolta dal gup nei confronti di Parrilla, che era accusato di aver svolto il ruolo di “partecipe” nell’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie impressionante di reati contro la PA. A Parrilla veniva attribuito l’accordo col presunto dominus del comitato d’affari, Enzo Sculco, tra i 101 imputati del rito ordinario. Accordo per essere eletto presidente della Provincia di Crotone nel 2017. Nonostante siano stati censiti numerosi contatti a fini elettorali tra i due, «non emerge la messa a disposizione di Parrilla in favore dei progetti criminali di Sculco».
NESSUNA VIOLAZIONE ELETTORALE
Uno dei colletti bianchi che ha scelto il rito abbreviato è l’ex sindaco di Rocca di Neto ed ex assessore regionale Alfonso Dattolo. Per lui era stata chiesta una condanna a 2 anni e 8 mesi per violazione della legge elettorale. Un reato attribuitogli nella veste di collaboratore di Ecosistem, ditta impegnata nel settore dei rifiuti. Stessa pena richiesta per Salvatore Mazzotta, legale rappresentante di Ecosistem, e Alessandro Vescio, coordinatore regionale di Comieco, il consorzio nazionale per il recupero e riciclo. Assolti anche loro. «La vicenda emersa dalle intercettazioni – scrive la giudice – rientra in una fisiologica campagna elettorale in cui il candidato si presenta agli elettori per essere votato».
RIFLESSI SUL RITO ORDINARIO
Una decisione, quella del gup, che potrebbe avere riflessi sui coimputati che hanno scelto il rito ordinario Antonella Rizzo, insieme all’ex assessora regionale all’Ambiente e Massimo Paolucci, candidato al Parlamento europeo nel maggio 2019 e già commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, entrambi in quota Articolo 1 all’epoca dei fatti contestati. L’ex assessora, secondo l’accusa, avrebbe invitato gli operatori del settore a votare per Paolucci, persona attenta alle politiche ambientali. Pur rappresentando la Rizzo che Paolucci «può essere un facilitatore da un punto di vista normativo», spiega la sentenza, ciò «non rappresenta la promessa di alcuna utilità in quanto l’attività normativa, soprattutto a livello comunitario, è rivolta a tutti i cittadini».
LE DONNE DEL CLAN
Condanne anche per le donne del clan Megna. A 6 anni per la moglie del boss, Santa Pace, e a 8 per la figlia Rosa. Le donne non avrebbero svolto ruoli da comprimarie ma avrebbero gestito in prima persone le dinamiche criminali. La moglie del boss, in particolare, «ha svolto un ruolo chiave all’interno del sodalizio». Infatti, «è intervenuta nei momenti più critici per mantenere saldi i legami tra gli associati ed il capo al fine di consentire la continuità nella catena di comando». La figlia, invece, «non solo agiva all’unisono» con il boss Megna e suo nipote Mario «al fine di agevolare gli interessi economici della cosca nel settore della ristorazione» ma era diventata «un punto di riferimento per i sodali».
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