“Ho detto di no a Spielberg tre volte. Meglio Kieslowski dei dinosauri”. Juliette Binoche e la libertà di scegliere

  • Postato il 25 novembre 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Ho detto di no a Spielberg tre volte. Meglio Film Blu di Kieslowski che i dinosauri”. Risulterebbe un po’ snob, se non fosse per la naturale simpatia che sprigiona da quel viso semplice, da quel fascino discreto da signora normale. Juliette Binoche al Torino Film Festival presenta la sua prima regia. Si tratta di In-I In Motion – tra i titoli in Concorso per il miglior Documentario – dove vengono mostrati preparativi e versione finale di uno spettacolo di danza del 2007 che vide la Binoche protagonista assieme al danzatore Akram Khan.

Due ore di sudore, fatica, piroette. Una danza eminentemente fisica, con corpi che non solo si sfiorano ma che si spingono, toccano, plasmano insieme con veemenza. Inevitabile che in conferenza stampa si affronti proprio il segreto del cinema: la chimica tra attori in scena oggi regolata sempre più di frequente da intimacy coordinator. “Un intervento razionale in una situazione che a che vedere col desiderio non è molto calzante. Capisco comunque dell’esistenza di questo ruolo a causa di tutti gli errori che sono stati fatti nel passato”, spiega la 61enne attrice parigina che ha da tempo conquistato non solo il cinema d’autore europeo ma anche Hollywood.

“Dovrebbe spettare all’attore dire fino a che punto si sente libero di esprimersi con il proprio corpo e con l’altro attore; e soprattutto andrebbe valutato se c’è il rischio che il partner in scena o il regista distorcano o utilizzino in modo non corretto le scene (un riferimento che pare carta carbone con le vicende di Ultimo tango a Parigi ndr). La situazione ideale sarebbe quella di girare liberamente una scena, mostrarla agli attori e se sono stati rispettati consenso e spontaneità si dà l’ok”.

Proprio nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulla donna, Binoche torna ad affrontare il tema della “forza” maschile e di come viene esercitata ed interpretata nell’universo femminile: “Siamo abituate come donne a vedere la rappresentazione del potere come una forza che arriva dall’esterno. Quando in realtà la forza interiore delle donne è naturale e più genuina; diamo la vita e la proteggiamo, ce l’abbiamo come struttura genetica a livello istintivo. Eppure la forza è intesa sempre come qualcosa al maschile. Tanto che nelle relazioni sentimentali pensiamo di poter ricevere protezione solo da un uomo. Io stessa per anni ho pensato fosse normale dover trovare un uomo forte accanto a me, ma è un’illusione, questa figura maschile non esiste”.

Oltre ottanta film all’attivo (“amo Dreyer e La passione di Giovanna D’Arco, ma anche i film di King Vidor e le interpretazioni di Lillian Gish”), secondo la leggenda attrice più pagata della storia nel cinema francese, Binoche è comunque in una fase di cambiamento: “I figli sono andati via di casa. Mi è morto il gatto. La sofferenza e le chiusure costringono ad aprirsi. Ora del resto mi sento pronta a fare la regista. Di film di fiction sì. Come artista cerco nuove sfide. La ripetizione uccide”. Inevitabile quindi si torni a parlare dei grandi rifiuti della Binoche. A partire dai tre no a Steven Spielberg. “La prima volta gli dissi di no perché stavo realizzando Gli Amanti del Pont-Neuf, cercavamo (assieme all’ex Leos Carax, dal quale si separò proprio dopo il film ndr) il budget per chiuderlo.

La seconda proposta di Spielberg fu per Jurassic Park, ma Kiselowski mi aveva proposto Film Blu. Lessi lo script di Jurassic Park e la parte che mi voleva assegnare (quella di Laura Dern ndr) e dissi a Spielberg: avrei fatto volentieri un dinosauro, ma altro di più stimolante da fare. La terza volta mi chiamò per Schindler’s list, ma non me la sono sentita. Ero incinta, e il ruolo di una donna torturata, violentata e uccisa non faceva per me in quel momento. Una volta ci trovammo a parlare di un suo progetto su Eleonora Duse e Sarah Bernhardt. Gli dissi che avevo rilevato come lui fosse più interessato a personaggi maschili che a quelli femminili. Come Scorsese, fanno parte di una generazione di cineasti appassionati a storie di guerre, di killer, di violenza”.

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Il Fatto Quotidiano

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