“Ho inventato il mocio Vileda e la scopa Swiffer, ora ho comprato il castello ‘fantasma’ degli Asburgo e ho deciso di fare una ragionata follia”: la storia di Sergio Cervellin
- Postato il 13 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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A volte, le idee più semplici sono quelle che cambiano una vita. E, in questo caso, anche il destino di un monumento. La storia di Sergio Cervellin, imprenditore padovano classe 1956, è quella di un uomo che, partendo “dall’università del marciapiede”, ha costruito una fortuna su intuizioni geniali applicate a oggetti di uso quotidiano, per poi investire tutto in una “ragionata follia”: salvare e riaprire al pubblico il magnifico Castello del Catajo. Sì, perché dietro l’uomo che oggi è il “castellano” della più grande dimora privata d’Italia, c’è l’inventore che ha brevettato meccanismi entrati nelle case di milioni di persone, come il mocio Vileda: “Ho semplificato un telaio, via le viti e una logica a incastro”, racconta in un’intervista al Corriere della Sera. E la scopa per panni cattura-polvere Swiffer: “È nata durante il decollo di un volo San Paolo-Milano, osservando le parti flessibili delle ali. Su una cartina da zucchero ho fissato l’idea di un modulo snodato adatto a ogni superficie”. Fu proprio durante uno dei suoi tanti viaggi di lavoro che Cervellin passò davanti a quello che lui definisce un “fantasma di pietra” ai piedi dei Colli Euganei: “Sembrava in abbandono; la sua tetraggine monumentale cominciò a incuriosirmi”. Si informa e scopre che il castello è all’asta. Decide di partecipare: “Ero solo“.
Nel marzo 2016, si aggiudica le chiavi per un “prezzo simbolico: 3 milioni di euro” contro una richiesta iniziale di 11. “Era talmente messo male che non faceva gola a nessuno, tantomeno allo Stato che si guardò bene dall’esercitare il diritto di prelazione”. Si ritrova così padrone di una reggia con 365 stanze (“mai viste tutte”), 800 finestre e 40mila mq di giardino. Il giorno dopo, una squadra di 40 persone è già al lavoro. La sua visione, però, non è quella di un nuovo signore feudale: “Non ho mai avuto la tentazione di abitarlo“, confessa. “Il mio sogno, da subito, era aprirlo al pubblico e sottrarlo al rischio di una speculazione immobiliare che l’avrebbe violato per sempre”. Un’impresa che l’amico Vittorio Sgarbi ha definito una “ragionata follia”, e che Cervellin, da sognatore pragmatico, ha abbracciato con tenacia. “Non sono uomo di cultura, ma fin da piccolo sognavo di fare qualcosa di grande”.
Grazie ai restauri, il Catajo – il cui nome deriva da “Ca’ sul tajo”, casa sul canale – ha rivelato i suoi tesori. A cominciare dal grandioso ciclo di affreschi di Giovanni Battista Zelotti, braccio destro del Veronese, che narra la saga dei primi proprietari, i capitani di ventura Obizzi. “Il Catajo fu progettato per stupire”, spiega il direttore del complesso, Marco Moressa. “Gli Obizzi vollero un castello quando nel Veneto delle ville palladiane i castelli non li faceva più nessuno. E nel Cortile dei Giganti, come nell’antica Roma, organizzavano naumachie [battaglie navali simulate]”.
Il maniero passò poi agli Asburgo Este e alla casa d’Austria. Qui soggiornò l’erede al trono Francesco Ferdinando poco prima dell’attentato di Sarajevo che scatenò la Grande Guerra. Qui, sulla Grande Terrazza, si esibì Franz Liszt nel 1838 per gli imperatori d’Austria. E qui si consumò anche il più famoso caso di cronaca nera del ‘600: l’assassinio di Lucrezia Obizzi, la cui pietra insanguinata è ancora visibile.
Oggi, grazie a Cervellin, il castello vive una nuova vita, registrando 50.000 mila visitatori l’anno. Un lavoro immenso e “senza fine”, come ammette lui stesso (“ogni volta che cambi una trave rischi di dover cambiare il tetto”), portato avanti con un perfezionismo quasi maniacale: “Mi piacciono le cose fatte giuste; se vedo un quadro storto al ristorante non riesco a mangiare, lo vado a raddrizzare”.
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