“Ho un tumore al sangue e mi resta un anno di vita. Ho creato un mio avatar così mio figlio potrà parlare con me quando sarò morto”: la storia di Peter Listro e della “resurrezione artificiale”

Anche la resurrezione artificiale (digitale) è servita. La storia di Peter Listro, raccontata dal New York Times, sta facendo il giro del pianeta web. L’uomo è affetto da un tumore al sangue e i medici gli hanno detto che avrà al massimo un anno di vita. Listro ha così passato ore seduto in poltrona a rispondere a domande sulla sua vita dall’infanzia alla sua famiglia. Davanti a lui era seduta un’operatrice di StoryFile, società specializzata nel raccogliere informazioni sui moribondi (o chi vuole prestarsi al servizio) per poi costruire un avatar che apparirà magicamente una volta che l’umano non è più in vita. Si parla di resurrezione artificiale, settore che nel mondo anglosassone si chiama “grief tech”, cioè il rifarsi all’uso della tecnologia, in particolare dell’intelligenza artificiale, per aiutare le persone ad affrontare il lutto, spesso creando chatbot o avatar che imitano i defunti.

Insomma, i classici cloni che molti film di fantascienza avevano esplorato fin dagli anni cinquanta tra cinema e letteratura. Tornando a caso Listro, i suoi familiari hanno optato per una versione intermedia del servizio resurrezione artificiale, quella di un avatar del defunto in grado di dialogare attraverso uno schermo. Servizio che ha un antesignano recente, ovvero la chatbot creata nel 2021 da Joshua Barbeau per ricreare la voce dell’amata fidanzata morta. Come scrive Fanpage, in Cina è uso abbastanza comune che durante i funerali di una persona, venga mostrato un video in cui il defunto, grazie all’utilizzo di sue precedenti foto, video e registrazioni vocali, grazie ad un improvvisato avatar reciti frasi di commiato.

Storyfile tiene però a precisare che le risposte dell’avatar di Listro sono “autentiche”e non “ricostruzioni possibili” di ciò che pensa, proprio perché la registrazioni avvenute con l’uomo in vita hanno comportato sedute con domande precise e risposte veritiere. Certo è che la questione resurrezione artificiale apre un nuovo scenario giuridico etico tutti da scrivere. Chi possederà e cosa se ne farà di questo e di altri avatar chi l’ha creato? Ma soprattutto, sembra paradossale, questo tipo di chatbot ribattezzata già deadbot creerebbe una dipendenza esacerbata al servizio/prodotto tale per cui andrebbe riscritta quella che è l’esperienza umana del lutto e della sua finita elaborazione.

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Il Fatto Quotidiano

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