Hulkamania per sempre. Quella volta in cui Hulk Hogan sollevò André The Giant a Wrestlemania III e divenne leggenda
- Postato il 25 luglio 2025
- Sport News
- Di Il Fatto Quotidiano
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Mi strappo (la maglietta) ma non mi piego. In almeno dieci anni di wrestling su Italia 1 in compagnia di Dan Peterson una cosa non abbiamo mai visto: Hulk Hogan perdere. Sanguinare sì, tremare e barcollare pure, finire supino e incosciente sul ring anche, ma sconfitto da qualche sfidante mai. Terrence Gene Bolley, per la WWE “The Incredible” Hulk Hogan, è stata la più travolgente, autentica, sacrosanta icona pop del wrestling mondiale.
L’equivalente di Cassius Clay nella boxe, di Maradona nel calcio, di Senna nella Formula 1. “Oooh, amici sportivi, ecco un regalo per voi”. La mano a frullo verso le ali di folla, poi aperta sull’orecchio come a dire “non vi sento”, Hulk ha sempre avuto, dopo pochi secondi di apparizione, il pubblico dalla sua. Almeno negli anni d’oro, tra il 1984 e il 1988, prima che l’incredibile tonalità di giallo dei suoi capelli e mustacchi, che lo rendevano più un camionista scandinavo che un boscaiolo della Georgia (il nonno paterno era originario di un paesino vicino Vercelli), lasciassero spazio alla posticcia versione dark e bad dell’ultimo decennio di carriera (si è ritirato nel 2012), il rito della vittoria che risorge all’improvviso dopo un match difficile faceva andare chiunque in visibilio.
Anche quando Hogan stava perdendo conoscenza, c’era sempre un briciolo di resistenza, un accumulo di forze che sapevi stesse riemergendo. I segnali erano due: o c’era quello dei match più facili dove l’eroe vestito di giallo (tanto) e rosso (così pochino da non essere ricordato) dopo aver subito anche troppo cominciava a scuotere la testa fulminando l’avversario con uno sguardo da pazzo; oppure il braccio che si fermava in aria prima di toccare le corde al conto del tre, tremante mentre si alzava al cielo. Significava che Hulk stava tornando. Che non era finita. Che avrebbe seccato l’avversario. “Oh, oh”, proclamava Peterson. A quel punto Hulk puntava il dito verso lo sfortunato sfidante, annuendo alle sue stesse parole. Ti vengo a prendere, amico. Ora tocca a te. Poi via, un “big boot” e un “body slam” letali.
Il body slam definitivo: lo scontro con André The Giant a WrestleMania III
“Allenarsi, pregare, prendere vitamine”, diceva sempre Hulk. Real american per forza di cose e di fisico. Il wrestling con Hulk divenne spettacolo popolare e trasversale, anche per donne e bambini. In Rocky III, nel 1982, Hogan interpreta tal Thunderlips, sfidando Balboa (Stallone) in un incontro a corpo libero. Da consumato attore del ring, ringhia come un orso, sbraita come un ubriaco, ribalta ironicamente la sua figura pubblica amata in un cialtronesco furfante. E mentre il rito si ripete instancabile – Real American a palla, mano all’orecchio, tocca a te, gamba sul collo, uno, due, tre – ecco la trovata del secolo.
Per WrestleMania III (1987) gli organizzatori inventano la rivalità tra l’imbattuto André The Giant e l’intramontabile Hulk. E se il match pare interminabile, vagamente favorito l’omone in costume nero, con Hogan che le prende e subisce come non mai, all’improvviso accade l’impensabile. I due si scontrano e cadono per terra. Sembra non ci sia più benzina per nessuno. Invece Terrence alza il busto da terra, comincia a scuotere la testa, le pupille roteano come trottole, i capelli schizzano ovunque come lapilli. Poi arriva l’urlo della belva, i pugni stretti, il corpo teso che vibra: due metri e 25 di altezza, quasi tre quintali di peso, vengono sollevati in un istante. È una di quelle epifanie visive che elevano Hogan a divinità sacra. È il body slam definitivo. La rovesciata di Parola immortalata sulle figurine Panini. Hulk può. Lo fa davvero. L’ha fatto. Oltre solo un caterpillar o una gru. Hulkamania per sempre.
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