I casi di Real, Arsenal e Juve e il mito dello stadio di proprietà: perché in Italia non basta per colmare il gap europeo
- Postato il 24 giugno 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il concetto è stato ripetuto allo sfinimento. Fino a perdere buona parte del suo vero significato, fino a diventare uno spot buono per tutte le stagioni. Dopo ogni disfatta della Nazionale, dopo ogni capitombolo delle italiane in Europa, si grida in coro sempre la stessa cosa: per tornare ai fasti del passato i club della Serie A devono poter contare su uno stadio di proprietà. E fra i requisiti fondamentali per i nuovi impianti ci sono la somiglianza a un’astronave, la sostenibilità ambientale e la possibilità di essere sfruttati sette giorni su sette. Lo stadio non deve più essere il tempio del tifo. O almeno non soltanto. Deve trasformarsi in un nuovo luogo di intrattenimento, una calamita per i fan, ma soprattutto per i consumatori. L’equazione è lineare. Più ingressi portano più introiti. E più introiti portano a una maggiore forza sul mercato, a un monte ingaggi più elevato. Un ragionamento perfetto. Anche se solo in parte. Perché l’idea di poter scalare le gerarchie del calcio continentale grazie a uno stadio nuovo non è un sogno, ma un’illusione. I parametri da tenere in considerazione sono tanti. E anche molto diversi fra loro.
Il caso che più di tutti è entrato nell’immaginario collettivo è quello del Real Madrid. Nel 2019 i Blancos hanno dato vita ai lavori di restauro del Santiago Bernabeu. “Il nostro futuro passa necessariamente per lo stadio”, disse Florentino Perez durante la presentazione del progetto. Quella che a molti era sembrata un’esagerazione si è invece rivelata un manifesto programmatico. Grazie al nuovo Bernabeu, infatti, il Real Madrid è stato il primo club al mondo a superare il miliardo di euro di fatturato. In particolare, nel 2023/2024 i ricavi da matchday hanno portato nelle casse dei Blancos 248 milioni di euro, con un aumento del 103% rispetto all’anno precedente. Ma c’è un altro dato che spiega ancora meglio il peso specifico del nuovo impianto. Secondo Diario As, infatti, fra luglio e dicembre (ossia in un periodo che comprende un mese e mezzo di “inattività” estiva) del 2024 il Real Madrid ha incassato qualcosa come 44 milioni di euro solo dalle attività “collaterali” dello stadio: 6,6 milioni dalle birrerie e i ristoranti, 12,6 milioni dai concerti e addirittura 24,3 milioni dai tour guidati. Un’enormità. La scelta del club, però, è stata chiara. La ristrutturazione del Bernabeu ha riguardato da vicino soprattutto le aree vip, lounge e le zone dedicate all’ospitalità dei tifosi più opulenti. In pratica solo da questi settori i blancos riescono a ricavare qualcosa come 1 milione di euro a partita. Il botteghino è una specie di gallina dalle uova d’oro. Per ogni partita di campionato il club incassa tra i 5 e i 7 milioni di euro. Che diventano anche 11 durante il Clasico o le sfide di Champions League. Un generatore di ricchezza che ha richiesto un investimento di circa 1.7 miliardi di euro. Per raggiungere quella cifra le merengues hanno aperto tre mutui. Uno da 575 milioni, un altro da 225 e infine uno da 370. In pratica il club si è indebitato per un miliardo e 170 milioni di euro (più gli interessi). Significa che ogni anno la casa blanca deve staccare un assegno da 70 milioni di euro per rimborsare gli istituti di credito. Ed è proprio questo il punto. Perché nonostante questo fardello, il Real ha la possibilità di tenere a bilancio circa i 2/3 degli introiti. Un esempio virtuoso che pare però destinato a restare un caso unico. Perché non tutti i club hanno 15 Champions League da ostendere al pubblico pagante. La questione, dunque, sembra essere un’altra. Quanto può impattare uno stadio di proprietà per club di prima fascia, ma comunque distanti dalla superpotenza dei Blancos? E quanto può spingere in alto le società di metà classifica?
Una prima risposta ha provato a darla, indirettamente, Calcio e Finanza. A novembre scorso, infatti, Inter e Arsenal si sono affrontate nella fase a girone unico della nuova Champions League. E per il sito di approfondimento economico è stata un’occasione per dimostrare come in 20 anni i Gunners siano riusciti non solo a superare il fatturato dei milanesi, ma addirittura a doppiarlo. Merito, ovviamente, dello stadio. Nel 1997/1998 l’Inter poteva contare sull’equivalente in lire di 92 milioni di euro di ricavi (di cui 30 derivanti da San Siro). L’Arsenal non superava i 45. La svolta è arrivata nel 2006, con l’inaugurazione di Emirates, l’impianto che sarebbe diventato la casa dei Gunners. Il club londinese non solo ha incassato circa 100 milioni di sterline grazie alla cessione dei naming rights dello stadio, ma ha addirittura raddoppiato gli incassi rispetto al caro vecchio Highbury, che si attestavano sui 50 milioni l’anno. Da quel momento gli introiti del matchday sono cresciuti senza sosta. Nel 2024 l’Arsenal è stato il terzo club europeo per ricavi dal botteghino con 153 milioni di euro. Meglio hanno fatto solo Real Madrid (185) e PSG (168). In tutto sono ben 8 i club a incassare oltre cento milioni l’anno dagli ingressi al proprio impianto (Bayern, Manchester United, Tottenham, Barcellona e Liverpool). Mentre il Milan, undicesimo in questa classifica, guadagna circa 85 milioni di euro, quattro in meno del Manchester City. Nella top 15 del vecchio continente c’è spazio solo per altre due italiane: l’Inter, quattordicesima con 66 milioni, e la Roma, quindicesima con 65. Anche il Marsiglia (68 milioni) riesce a guadagnare più delle due società dello Stivale. È un dato che va letto anche sotto un’altra luce. Perché gli impianti hanno capienze molto diverse fra di loro e il costo dei biglietti è legato ad alcune scelte precise dei club. Nella stagione che si è appena conclusa, Borussia Dortmund e Bayern Monaco hanno fatto registrare un tasso di riempimento dello stadio del 100%. Ma mentre i bavaresi guadagnano in media 72 euro per spettatore, i gialloneri della Vestfalia, che possono contare su seimila posti in più, non vanno oltre i 47 euro per tifoso, poco più della metà. Si tratta di una decisione ponderata. Ossia si sceglie di non escludere dal calcio le classi popolari. In Italia, complici anche gli impianti obsoleti e fatiscenti, i prezzi sono ancora tutto sommato accettabili. I 137 euro in media per spettatore del Bernabeu sono fantascienza. La Juve incassa circa 66 euro a biglietto (un euro in più del City). L’Inter è ferma a 40, il Milan a 36 e il Napoli con il tricolore sul petto addirittura a 25.
C’è una nota piuttosto curiosa. Milan e Inter, pur non avendo un impianto di proprietà, si trovano rispettivamente al dodicesimo (con 87 milioni annui) e al tredicesimo posto (con 81) nella classifica dei club con i maggiori introiti derivanti dallo stadio. I loro proventi sono addirittura superiori rispetto a quelli della Juventus, diciassettesima con 55 milioni di euro. Piccolo dettaglio: San Siro ha quasi 76mila posti. L’impianto bianconero circa 40mila. Per comprendere a pieno l’incidenza di uno stadio di proprietà si deve dunque utilizzare un altro indicatore. Ossia l’aumento di introiti fra l’ultimo anno nel vecchio impianto e la prima stagione disputata nel nuovo. Così la Juventus è passata dai dieci milioni del Delle Alpi ai 27.4 del primo campionato allo Stadium. Ricavi che nel corso degli anni si sono esattamente raddoppiati. L’Atalanta è passata dai 4.2 milioni dell’Atleti Azzurri d’Italia ai 7.4 del Gewiss Stadium. Mentre l’Udinese ha incrementato i suoi ricavi del 60%, passando da 4 a 6.4 milioni. Variazioni importanti, ma che da sole non bastano a stravolgere le prospettive di una società. L’affermazione più corretta riguardo agli impianti di proprietà sembra essere racchiusa nel rapporto della Fifa sulle finanze e gli investimenti delle squadre europee. “Stadi migliori – si legge – aiutano i club con un livello di introiti medio in Inghilterra e Germania a guadagnare tra le 2.8 e le 3.5 volte in più rispetto ai club italiani e spagnoli dello stesso livello”.
Lo stadio di proprietà non è dunque la panacea di tutti i mali calcistici. E da solo non basta certo a ridisegnare gli equilibri fra i club del Vecchio Continente. Eppure possedere impianti nuovi e moderni può aumentare, con percentuali diverse, la capacità di spesa (e di conseguenza la competitività) delle squadre. “Si tende un po’ a sovrastimare il peso di uno stadio di proprietà – ci dice il dottor Alberto Rigotto, responsabile Amministrazione Finanza e Controllo dell’Udinese, una delle poche società italiane ad avere un impianto tutto suo – Questo consente di fare degli investimenti che, con uno stadio del Comune, nessuno avrebbe fatto. Hai più risorse per creare un ambiente più confortevole, per riportare la gente a tifare, per aumentare gli incassi. Ma detto questo l’Udinese resta sempre una provinciale. È chiaro che nonostante lo stadio non possiamo lottare per lo scudetto. Quasi nessuno ci pensa, ma uno stadio di proprietà richiede una manutenzione continua, soprattutto per quanto riguarda principalmente il campo, che possiamo stimare in mezzo milione l’anno”. I risultati sono stati tangibili. Tanto che trovare un biglietto per il Bluenergy Stadium non è sempre facile. “La risposta del pubblico è stata eccezionale – ha continuato Rigotto – il tasso di riempimento dello stadio si aggira intorno all’80%, ma durante i big match alcuni restano senza biglietto. Abbiamo applicato una politica di prezzi in linea con quello che dice il mercato, senza alzarli troppo o abbassarli eccessivamente”. Anche l’idea di costruire un impianto fruibile sette giorni su sette è diventato un cliché. Colpa della difficoltà nell’elaborare progetti coerenti. Ma anche della burocrazia. “Nel 2017 avevamo ideato il progetto Stadio 2.0 – spiega il dirigente bianconero – volevamo rivalutare un’area interna allo stadio di circa 20mila metri quadri con attività extrasportive, centri di intrattenimento, una mega birreria italiana, una clinica riabilitativa. L’idea era animare il nostro impianto per più giorni possibile. L’autorizzazione è arrivata adesso, dopo 8 anni. È chiaro che dovremo adeguare il progetto all’attualità”.
Nonostante l’incremento degli introiti legati a un nuovo impianto, i ricavi maggiori dei club sono ancora ovviamente legati ai diritti televisivi. In Italia la situazione è complessa. La Serie A incassa un terzo della Premier League. Ma anche duecento milioni meno della Liga. Solo il torneo tedesco ha un valore simile a quello del Bel Paese (1,094 miliardi). La proliferazione degli stadi di proprietà potrebbe però contribuire a colmare il gap con le rivali. “Se tutte le società italiane avessero stadi nuovi e pieni – conclude Rigotto – si potrebbe creare un prodotto più televisivo. E questo porterebbe a vendere i diritti televisivi a una cifra sempre maggiore“. La strada in questo senso appare però ancora lunga.
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