“I film Marvel? Non trasmettono emozioni. Io voglio che il pubblico pianga, ma quei supereroi ti fanno piangere?”: siamo stati a una masterclass con James Cameron
- Postato il 12 giugno 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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“I film Marvel? Li vado a vedere tutti, ma rimangono in superficie, non trasmettono emozioni”. James Cameron pare toccarla piano. E a dire il vero lo fa pure con distinguo e grazia. Ma dopo una lunga e articolata masterclass organizzata dal Museo del Cinema di Torino, dove l’atto creativo primigenio dei suoi bozzetti, disegni, schizzi per il suo cinema viene analizzato nei più corpuscolari dettagli, la distanza critica dall’MCU diventa una specie di naturale catarsi. “Io sono un fan dei fumetti Marvel e DC, di Batman, Superman e Hulk. Anch’io quando ero giovane negli anni settanta ero un outsider, un antiestablishment, ma oggi la Marvel è un’industria enorme, e i loro supereroi sono diventati una specie di pantheon”, spiega Cameron in collegamento da Wellington, Nuova Zelanda.
“Il punto però è che faticano ad umanizzare questi personaggi, a farli sentire nel profondo. Tutta l’operazione MCU sta andando nella direzione dei film “carini”. Per carità sono bei film non voglio sminuirli, il mio preferito peraltro è Spiderman, ma rimangono in superficie, non trasmettono emozioni. Non sto dicendo che le mie opere sono migliori delle loro, ma tutto quello humor crea distanza tra il personaggio e lo spettatore”. Cameron ricorda un dialogo avuto con Guillermo del Toro. Il regista di Hellboy gli avrebbe detto: “Ehi little Jim, ma non hai nessuna ironia (nei film che fai ndr)!”; e lui: “Sì, lo so e lo faccio apposta. Io voglio che il pubblico pianga, ma i supereroi Marvel ti fanno piangere?”. Insomma il blitzkrieg di Cameron verso l’universo Marvel è uno di quei celebrity match che fa deflagrare ogni possibile bon ton ai piani altissimi del box office di tutti i tempi. Lassù, infatti, al primo posto degli incassi mondiali c’è Avatar poi al secondo Avengers: Endgame della Marvel, poi terzo e quarto – Avatar 2 e Titanic – sono ancora appannaggio del 70enne ragazzone canadese.
A Torino da tre mesi (e fino al 31 agosto), nella scala a spirale che sale verso la cima della Mole va in scena The art of James Cameron: una carrellata di frammenti disegnati, costruiti, maneggiati da Cameron in persona prima che diventassero il suo cinema, i suoi film. “Al principio abbozzavo tutto a matita. Erano voli di fantasia su carta. Niente corsi speciali, qualcosa all’università sì, ma soprattutto cercavo di stare dietro alla mia immaginazione”, racconta rinchiuso in un rettangolo di collegamento verso l’Oceania, l’autore di Terminator e The Abyss. Il piccolo Jim che si è fatto le ossa con Roger Corman, poi a creare fondali per John Carpenter in 1997: Fuga da New York, le idee chiare le aveva fin da ragazzo: “Non giravano soldi, si andava a strette di mano. Lavoravamo giorno e notte, non ci fermavamo mai. Ammiravo 2001 di Kubrick e i lavori di Spielberg”. Cameron però ha quell’ambizione curiosa e pervicace che sa più di visionarietà industriale alla Steve Jobs che di faraonico creativo alla Francis Ford Coppola. Tanto che l’anelito, la spinta è per quella Digital Domaine, società di effetti speciali che dal 1993 con True Lies trasforma la creazione su carta finalmente in digitale.
“Io voglio creare intimità, correlarmi con i miei personaggi. Per capire cosa sono io, cosa è il mio cinema, va compresa questa intimità mentale ed emotiva. Nel percorso produttivo di un film, soprattutto nell’ambito degli effetti visivi lavoreranno mille persone, ma con me fin dall’inizio, a seguire l’idea ce ne sono quattro o cinque: il production design, il direttore della fotografia, gli attori. Con loro costruiscono questa intimità”. In un’oretta abbondante di masterclass scorrono aneddoti e segreti da quel sogno in cui Cameron “vede” l’automa scheletro cromato di Terminator spezzato in due ma che si rialza e continua a camminare senza fermarsi (il disegno originario dopo la nottata onirica è in mostra al Museo), alla meticolosa creazione in motion picture del viso di Neytiri in Avatar (disegno originale presente anche qui in mostra). Ma è nel ricordo di Jake/Leonardo DiCaprio pittore in Titanic della formosità di Rose/Kate Winslet che torna la “manina” di “little Jim”: “Leo non è capace di disegnare, ma quella che vedete nel film usata per disegnare è la mia mano sinistra al posto della destra sua”. Infine un consiglio e una massima dal re del cinema: per chi si vuole cimentare nel mondo della creazione artistica, “meglio non cercare like sui social, ma create per voi stessi”; e soprattutto i grandi geni mai premiati dalle sale facciano attenzione, “perché non esiste arte senza pubblico”.
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