I giornalisti di Gaza: “Lavoriamo con giubbotti antiproiettile fatti di spugna, niente ci protegge”

  • Postato il 17 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Per più di 20 anni Abed Nasser Abu Oun ha raccontato quello che accadeva nella Striscia di Gaza con servizi televisivi e radiofonici. L’anno scorso, a quattro mesi dall’inizio dei bombardamenti israeliani, è stato costretto a fare la scelta più difficile per chi ha la passione per questo mestiere. “E’ arrivato un momento in cui dovevo decidere se rimanere e raccontare il massacro del mio popolo oppure provare a uscire e salvare la mia vita e quella della mia famiglia”. Oggi il giornalista si trova al Cairo, ma, racconta, “solo il mio corpo è in Egitto, la mente e il cuore sono rimasti nella Striscia. Lì c’è tutto il nostro mondo”.

Il reporter palestinese ha raccontato la sua storia davanti alla delegazione italiana arrivata in Egitto per la carovana solidale ‘Gaza oltre confine‘ promossa da AOI, ARCI e Assopace Palestina. “Quando un giornalista palestinese esce di casa per dare notizia di un bombardamento – ha raccontato Abed Nasser Abu Oun – sa bene che potrebbe trovarsi a parlare del bombardamento della casa di un suo familiare, amico e di un collega. Dell’attacco a persone a lui care”. Il dramma dei cronisti palestinesi, gli unici a fare informazione dentro la Striscia spesso a costo della propria vita, passa anche da esigenze molto pratiche. Come quella di avere un giubbotto antiproiettile come la maggior parte dei reporter di guerra. “Nella Striscia non c’è niente, tutta la loro attrezzatura è distrutta. E quindi i giornalisti si autoproducono ciò che serve per lavorare. I giubbotti blu con la scritta Press che indossano, per esempio, sono imbottiti di spugna. Non servono a proteggerli”.

Il direttore di Al Ayam, Ahmed Jad, ha voluto porre l’attenzione sui numeri della strage. “A Gaza sono stati uccisi 217 giornalisti”. A questi bisogna aggiungere almeno 400 feriti e altri 48 colleghi e colleghe imprigionati nelle carceri israeliane. “È ormai evidente che Israele sta colpendo deliberatamente i giornalisti. Vuole uccidere la verità”. Anche lui è fuggito in Egitto quando ancora il confine di Rafah non era sigillato. Ma a Gaza è rimasta sua moglie, che cerca di sentire appena riesce. “Questa è la mia vita oggi”. Sua sorella e i suoi nipoti sono morti nella Striscia. “Quando l’ho saputo tutti i miei sentimenti si sono fermati. Non riesco a piangere, non riesco a parlare, i miei sentimenti sono fermi. Non riesco a esprimerli normalmente come facevo prima”.

Nelle prossime ore la delegazione italiana, composta da 11 parlamentari, 3 eurodeputati, 13 giornaliste e giornalisti, accademici, esperte ed esperti di diritto internazionale e cooperazione, raggiungerà il valico di Rafah per “sfidare l’assedio e l’indifferenza, rompere l’isolamento imposto alla popolazione palestinese, e chiedere il cessate il fuoco permanente e l’applicazione piena del diritto internazionale”.

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Il Fatto Quotidiano

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