I luoghi comuni sull'economia smontati dalla "Breve storia" di Arfaras

  • Postato il 10 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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I luoghi comuni sull'economia smontati dalla "Breve storia" di Arfaras

"Sarà mia cura provare a rendere chiari i meccanismi fondamentali senza fare ricorso a concetti troppo complessi, anzi vorrei riuscire ad avvicinare questa materia ai lettori, evidenziando i punti di contatto, anche in questo caso, con la vita quotidiana”. Un anno dopo Filosofi e tiranni, Giorgio Arfaras – originalissimo economista con una passione speciale per il pensiero politico – propone al pubblico non specializzato una "Breve storia dell’economia" (Salani), brillante e riuscito tentativo di illustrare in poco più di 200 pagine “quante cose della vita spiega l’economia e come entra nella vita quotidiana di tutti noi”.


La parola “diseguaglianza” si presta a qualche fraintendimento, spiega l’autore. La crescita della diseguaglianza, infatti, può essere il frutto del maggior tenore di vita assoluto dei meno abbienti, che però cresce meno di quello dei più abbienti. In altre parole, i meno abbienti sono diventati più ricchi, i più abbienti ancora più ricchi. Negli ultimi secoli, è precisamente questa la modalità di crescita della diseguaglianza che si è avuta in tutti i paesi industrializzati.


Con la rivoluzione industriale, prosegue Arfaras, si afferma il “capitalismo”, cioè un sistema economico dove le innovazioni sono sviluppate dagli imprenditori. La crisi del ’29 è la “pietra d’inciampo” del primo capitalismo dell’8-900, il boom del secondo dopoguerra invece inciampa nella stagflazione degli anni Settanta. A partire dai primi anni Ottanta e fino al 2008 prevale il pensiero neo-liberista, i cui risultati però l’autore definisce “sfuggenti”: i tassi di crescita nell’era della globalizzazione sono circa la metà di quelli registrati nei decenni del dopoguerra. Al contempo, sorge il populismo.


Negli ultimi decenni, la sofisticazione dell’economia ha creato una maggiore uguaglianza fra gli uomini e le donne, quando sono entrambi molto istruiti, e una maggiore diseguaglianza fra i molto istruiti e quelli che non lo sono. E’ l’economia della conoscenza: “Il capitalismo si sta diffondendo in modo molecolare nella vita di tutti i giorni”. Le persone ambiziose lasciano le città e le zone meno dinamiche, in cui non nascono nuove imprese, e si trasferiscono in città più dinamiche: “Il fenomeno è internazionale”. Con l’avvento del populismo, la parte meno colta e più povera dell’elettorato si ribella: non ai ricchi, ma alle regole della democrazia. Il disagio all’origine del populismo è economico o culturale? Se fosse solo di natura economica, risponde Arfaras, dovrebbe sgonfiarsi con la crescita dell’economia. In realtà il rifiuto riguarda anche i cambiamenti nella morale, la libertà sessuale e altri fattori di frustrazione.


Anche sull’immigrazione, Arfaras sfata alcuni luoghi comuni: “E’ difficile immaginare che con lo sviluppo economico dei paesi d’origine, l’immigrazione possa fermarsi”. I paesi in via di sviluppo sono quelli che mostrano maggiore concentrazione della ricchezza, che raggiunge in media il 50 per cento della ricchezza complessiva. Viceversa nei paesi sviluppati la media è del 15 per cento circa. Il paese con la minore concentrazione della ricchezza è la Germania, quello con la più alta la Russia.


Lo sviluppo cinese ha avuto caratteristiche simili a quelle dell’Urss degli anni Trenta: urbanizzazione accelerata dei contadini e scolarizzazione di massa. Il risultato è che l’élite cinese oggi è composta per un terzo da ingegneri. Le famiglie cinesi risparmiano molto per l’assenza dello stato sociale: “La domanda cruciale, economica ma alla fine politica, diventa: lo stato sociale e un settore finanziario sofisticato, sono compatibili con un sistema a partito unico come quello cinese?”.


Se la Cina consuma poco, l’America consuma troppo, dunque è costretta a importare. Come reagire? Non occorre molto a capire che i dazi non funzioneranno, prevede Arfaras. “Un recupero del debito statunitense e quindi un recupero del credito degli altri, soprattutto dei cinesi, richiede un cambiamento epocale del sistema economico e politico cinese e statunitense. Da qui lo scetticismo a riguardo di una soluzione indolore e a breve termine”.

 

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Autore
Il Foglio

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