I rischi che corre un occidente che odia se stesso, secondo Ratzinger
- Postato il 23 dicembre 2025
- Di Il Foglio
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I rischi che corre un occidente che odia se stesso, secondo Ratzinger
Al direttore - Gentile direttore, “L’occidente vincerà”? Un prezioso libretto cartaceo in formato cellulare “per proteggere la società aperta dai nuovi e vecchi nemici della libertà”, in nome della Verità. L’interrogativo è mio, come anche l’aggiunta della Verità alla citazione che accompagna il titolo. Lettura importante e trascinante. Mi sento soltanto di notare la scelta del verbo: “vincere”. Per ogni vittoria c’è sempre una sconfitta. Se possiamo sperare di essere “vincitori”, chi saranno gli “sconfitti”? Dove sono “i vecchi e i nuovi nemici della libertà”? A oriente, in occidente, oppure dentro di noi, in nome della ineffabile Verità? Auguri a lei, a Giuliano Ferrara e a tutta la redazione. Cordialmente.
Antonio Gallo
I vecchi e nuovi nemici della libertà – e dell’occidente – come suggerito da Joseph Ratzinger, sono ovunque. Ma quelli più pericolosi, che più che essere sconfitti andrebbero convinti, sono tra coloro che vivono proprio in occidente, che in modo irresponsabile hanno scelto di colpire dall’interno la società aperta, per renderla più vulnerabile e per renderla più esposta a chi sogna di saccheggiarla per imporre idee, regimi e metodi autoritari. “C’è qui un odio di sé dell’occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico”. Joseph Ratzinger, lectio magistralis “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani”, Biblioteca del Senato, 13 maggio 2004. Più chiaro di così.
Al direttore - Al neo ragazzo – maschio solo all’anagrafe però: non c’è una sola cellula del suo corpo nato femmina che non sia rimasta una cellula femmina – le cose potrebbero anche andare bene. Potrebbe trovarsi bene con la nuova identità maschile conferita dal giudice. Oppure no, potrebbe voler tornare indietro – ma tornare indietro non si può – com’è successo a Keira Bell o a Chloe Cole, la detransitioner californiana che ha accusato la Kaiser Foundation Hospitals e i suoi medici di “malpractice” per trattamenti di transizione praticati quando era minorenne, sostenendo di aver ricevuto informazioni inadeguate su rischi, alternative e reversibilità. Anche lei aveva 13 anni. Anche lei ha preso bloccanti e poi ormoni cross-sex e poi è finita sotto i ferri per una doppia mastectomia. Chloe dice che ai suoi genitori non è stata lasciata altra scelta: “Preferite una figlia morta o un figlio trans?”. Non è raro che il consenso delle famiglie venga estorto in questo modo. E il tema del consenso, quando si parla di minori, è decisivo. Tutte le ricerche più recenti, dall’inglese “Cass Review” all’americano “Treatment for Pediatric Gender Dysphoria”, battono sullo stesso punto: a 9-10 anni non si può esprimere alcun consenso, è necessario prendere tempo con un approccio olistico, prima dei 18 anni non si dovrebbe avviare nessuna transizione. Perfino Wpath, la più grande associazione per la salute transgender, non ha potuto negare il problema. Nella sua chat interna, resa pubblica da un whistleblower, i membri hanno ammesso che né i bambini e gli adolescenti né le loro famiglie sono in grado di esprimere un vero consenso ai trattamenti. Intanto il 17 dicembre la Camera americana ha approvato una legge per vietare le “terapie affermative” ai minori. E quasi in contemporanea il ministro della Salute, Robert F. Kennedy Jr., ha annunciato una serie di misure per proibire le terapie sui minori, data “l’enorme mole di prove che dimostrano che tali procedure danneggiano i bambini invece di aiutarli”.
Maria Tarini
Non sono sicuro che l’esempio di Kennedy Jr. possa essere considerato come un modello da seguire, considerando il numero di sciocchezze suggerite in questi mesi dal ministro della Salute degli Stati Uniti. Quel che si può dire, con molto rispetto, è che avviare trattamenti di questo genere in età così precoce, poco più che pediatrica, equivale a prendere decisioni molto incisive sulla vita di una persona. E quando si compiono scelte irreversibili a quell’età, bisognerebbe contare fino a dieci prima di trasformare quelle storie in simboli assoluti di libertà.
Al direttore - Clemente Mastella annuncia che al referendum sulla giustizia voterà “No” perché “il gigantismo del pm con la separazione delle carriere è un rischio vero, che va evitato”. Così come va impedita, dice, “una involuzione poliziesca e inquisitoria del pubblico ministero”. Qualcuno avvisi Mastella, che pure di malagiustizia dovrebbe saperne più di qualcosa, che quel Rubicone da mo’ che è stato attraversato.
Luca Rocca
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