Non sono l'anima della festa, ma non rimangono nemmeno in disparte; alle conversazioni di gruppo preferiscono i tête-à-tête; agli sport di squadra, preferiscono quelli individuali. Sono gli otroversi, una categoria di persone a metà tra introversi ed estroversi teorizzata dallo psichiatra Rami Kaminski nel suo nuovo libro "The gift of not belonging: how outsiders thrive in a world of joiners".. L'origine del nome. "Otrovert", otroverso in italiano, è un neologismo coniato da Kaminski per indicare chi non guarda né dentro a se stesso (come l'introverso), né fuori da se stesso (come l'estroverso), ma piuttosto in un'altra direzione (otro in spagnolo significa altro) rispetto al resto del mondo.
Kaminski, che afferma di far parte di questa categoria, descrive gli otroversi come persone che preferiscono cenare con un solo amico piuttosto che con un gruppo di amici, che nel lavoro preferiscono svolgere incarichi singolarmente piuttosto che in team, che odiano i "rituali di vita comunitaria" come cerimonie di laurea o feste in ufficio. «Sono solisti incapaci di suonare in un'orchestra», spiega al Guardian.. Diversi dagli introversi. Nonostante abbiano diversi punti in comune, gli otroversi si distinguono dagli introversi per alcuni aspetti chiave: questi ultimi tendono infatti a essere tranquilli e riservati, tutto il contrario dei primi, spesso disinvolti e socievoli;
gli otroversi poi, al contrario degli introversi, non hanno alcun problema a parlare davanti a tutti sostenendo il proprio punto di vista; infine le persone che appartengono a questa terza neocategoria amano immergersi in fitte conversazioni profonde con un amico, al contrario degli introversi, che preferiscono la solitudine.. Obbligo di stare in gruppo. Secondo Kaminski gli otroversi sono percepiti come tipi strani o sbagliati perché non amano stare in gruppo:
«La nostra cultura dà grande valore al ritrovarsi con gli altri: pensiamo che essere parte di un gruppo sia un prerequisito per vivere una vita ricca e appagante», spiega, sottolineando però che questa stigmatizzazione della solitudine come situazione da evitare a tutti i costi è profondamente sbagliata.
Insomma, se non si raggiungono estremi patologici come quegli degli hikikomori, non c'è nulla di male a stare da soli, a preferire la compagnia di un amico solo piuttosto che un'uscita di gruppo, a godersi una festa stando in disparte piuttosto che lanciandosi in pista..