Il calcio giusto fatto con il piede sbagliato
- Postato il 28 aprile 2025
- Di Panorama
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Da ragazzino amavo il calcio e avevo un idolo: Paolo Pulici, detto «Puliciclone», attaccante del mio adorato Torino. Pochi di voi lo conosceranno perché quando ha smesso di giocare non è diventato allenatore di grandi club né commentatore tv. Si è messo a insegnare calcio e vita ai ragazzini su un campetto di Trezzo d’Adda. Lì l’ho incontrato, qualche tempo fa. E lì mi ha raccontato la storia del suo piede sinistro, quello con cui ha realizzato la maggior parte dei suoi gol. Quello per cui si è guadagnato il nome di Puliciclone. Quello per cui è diventato il mio idolo.
«Da ragazzino non usavo il piede sinistro» mi ha detto. «Usavo solo il destro. Ma poi incontrai un bravo allenatore. “Qual è il tuo piede forte?”, mi chiese. “Il destro”, risposi io. “Sbagliato”, mi disse lui. E mi spiegò: “Tu pensi che sia più forte il destro, ma con il destro calci la palla, mentre il sinistro ti regge. Pensaci: la palla pesa 400 grammi, tu 70 chili. Quindi il sinistro, quello che ti regge, è il tuo piede più forte. Devi solo allenarlo”. Da quel momento ho capito che il sinistro poteva diventare il mio piede più forte. E lo diventò. Con il destro tiravo a 130 chilometri all’ora, con il sinistro arrivai ai 160 all’ora. Con il destro toccavo la palla ferma, con il sinistro quella in movimento. Con il destro il portiere toccava e parava, con il sinistro non ci arrivava mai.
Questo», mi ha detto Puliciclone, «è ciò che racconto ogni giorno ai bambini, qui sul campetto di Trezzo d’Adda. Cerco di trasmettere loro quello che capii allora, e che vale anche al di fuori dal calcio: non bisogna cedere alla propria debolezza, non bisogna arrendersi di fronte a ciò che ci spaventa. Se ci credi puoi sovvertire tutto. Se ci credi puoi superare tutti. La forza non è fuori di te. È dentro di te. Persino nel tuo piede sbagliato».
Mi è venuto in mente questo racconto di Paolo Pulici, detto Puliciclone mentre leggevo le cronache del nuovo scandalo del calcio, scommesse clandestine, altri dodici giocatori indagati. Mi è venuta in mente quella sua lezione di vita perché mi pare l’esatto contraltare alle vite vuote dei calciatori di oggi, che per riempire il nulla delle loro esistenze arrivavano a scommettere oltre 250 mila euro in poche ore. Nessuno ha detto loro che non bisogna cedere alla propria debolezza. Che la forza non è fuori, ma dentro di te. Uno di loro, Nicolò Fagioli, secondo quanto ricostruito dai magistrati, un giorno ha cominciato a giocare alle 14.05, alle 16 aveva già puntato 100 mila euro. Poi ha smesso per andare a allenarsi. Ma già alle 18.13, dopo l’allenamento, ha ripreso a giocare per un’altra ora, piazzando altre dodici puntate per 176 mila euro. Alle 19 ha chiamato l’allibratore: «Devo 250k, dove li mando?». Dal che si deduce che: a) quel giocatore si poteva permettere di trattare 250k, cioè 250 mila euro come se fossero noccioline; b) quel giocatore non aveva altro impegno che le scommesse e l’allenamento; c) l’allenamento dura (in tutto: fra andare, spogliarsi, riscaldarsi, farsi la doccia e tornare) non più di due ore e un quarto. Troppo poco. Non c’è nemmeno il tempo per spiegare qual è il piede sbagliato.
Alla fine, poi, torniamo sempre lì: potremmo scrivere volumi su giovani vuoti, sulle dipendenze, sulla mancanza di valori, sullo sport che si è perso dietro il denaro, potremmo fare sociologia fino alla nausea, ma poi il punto è sempre quello: mancano i maestri di un tempo.
Quelli che ti spiegavano il piede e le altre cose sbagliate. Quelli che ti iniettavano dentro dosi massicce di disciplina, rispetto, senso del dovere. Quelli che ti spiegavano che le regole sono fatte per essere rispettate e non calpestate. Quelli che ti lasciano dentro la loro voce che continui a sentire per tutta la vita, quando stai per fare una cosa che non devi.
Abbiamo tutti nostalgia dello sport che fu. Abbiamo nostalgia dei Bartali e dei Puliclcloni, dei Bearzot e dei Gimondi, gente che erano ancor prima esempi morali che campioni sportivi. Sia chiaro: non che un tempo non esistessero scandali. Non che non esistessero scommesse, vizi, doping e poker notturni. Ma c’erano ancora gli educatori, bene prezioso che è andato in obsolescenza come l’idrolitina. Non del tutto però.
Il nume, che è uomo di speranza, mi segnala la notizia che arriva da Verona. Su un campetto delle giovanili un arbitro assegna un rigore che non c’è. Il calciatore, 14 anni, va sul dischetto lo tira fuori. Volutamente. A suggerirgli il nobile gesto un’allenatrice. Evidentemente non tutto è finito: c’è ancora chi ha voglia di insegnare qual è il piede sbagliato.