Il caso Almasri? Un altro autogol che rafforzerà il governo. Il commento di Polillo

  • Postato il 8 agosto 2025
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Pronti a scommettere: sarà un altro autogol. Ad ottobre, quando le Camere si riuniranno per decidere le sorti dei due ministri (Matteo Piantedosi e Carlo Nordio) nonché del sottosegretario alla presidenza del Consiglio (Alfredo Mantovano) sarà pollice in su. Vale a dire completa assoluzione dei membri del governo dalle accuse rivolte loro dal Tribunale dei ministri a proposito del caso Almasri: il direttore libico del carcere di Mitiga, per il quale la Corte penale internazionale aveva chiesto l’estradizione e che invece era stato ricondotto in patria.

A suffragio di una simile ipotesi sono diversi elementi e il riflesso di un caso recente, come l’assoluzione di Matteo Salvini da parte della stessa magistratura a proposito del caso Open Arms. Vale a dire il blocco dello sbarco di 147 immigrati, per un periodo limitato, nel tentativo di dirottarli verso altri lidi. Possibilmente la Spagna, dal momento che la nave batteva la bandiera di quel Paese. Il caso, dopo le denunce nei confronti del segretario della Lega, era stato deferito al Tribunale dei ministri. Era seguito il voto favorevole del Senato e quindi lo svolgimento del processo, con relativa assoluzione. Contro la quale la procura di Palermo ha presentato ricorso in Cassazione. Mentre la Lega, grazie ai maggiori consensi, dovuti anche a quell’accanimento, recuperava nei sondaggi.

Se tanto mi dà tanto, considerato che questa volta gli imputati sono tre, ma che soprattutto il Tribunale dei ministri si è rifiutato di prendere in considerazione il ruolo effettivamente svolto da Giorgia Meloni, escludendo ogni sua responsabilità, è facile giungere alla conclusione che quel processo monstre si risolverà in un niente di fatto. Sarà infatti il Parlamento a ristabilire un più giusto equilibrio tra la “ragion di Stato” ed il vincolo derivante dalla richiesta di una Corte, che non ha esitato a emanare mandati d’arresto contro le personalità più varie. Tra cui Vladimir Putin o Benjamin Netanyahu.

Ci mancherebbe solo che prendesse sul serio le recenti denunce di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni nei confronti del governo, accusato di essere complice dei genocidi commessi a Gaza, per decretarne il definitivo fallimento. Dopo che lo stesso Donald Trump aveva annunciato sanzioni, accusandola di portare avanti “azioni illegittime e senza fondamento”. E che a nulla era valsa la difesa d’ufficio della Commissione europea, nonostante il dissenting opinions al suo interno. Il minimo che le si può rimproverare, infatti, è la mancanza di misura. Il ritenere cioè che la legge possa essere al di sopra degli stessi Stati, dalle cui azioni dipendono i destini del Mondo.

Gli episodi ricordati rendono evidente quanta acqua sia passata sotto i ponti di un garantismo che non riesce a stare al passo con i tempi e con i mutamenti intervenuti nei grandi scenari mondiali. In passato, quando la geopolitica aveva il passo lento degli equilibri bipolari tra Occidente e Oriente, la Corte aveva uno spazio in cui poteva agire. Era il braccio armato al quale ricorrere per combattere quelle devianze, che risultavano incompatibili con la stabilità degli assetti di potere a livello internazionale. Ma oggi di fronte ad una rottura che impedisce allo stesso Consiglio di sicurezza dell’Onu di poter operare, che spazio può avere un gruppo di magistrati deciso a operare solo nel nome di un’astratta giustizia?

In Italia, comunque, la legge costituzionale n.1 del 1989 consente, ancora oggi, di dirimere le possibili questioni, legate ai cosiddetti reati ministeriali. Vale a dire il sindacato sulle eventuali azioni compiute dal potere esecutivo in dispregio delle leggi esistenti e degli obblighi sanciti nei Trattati. In base a queste norme, il Tribunale dei ministri ha potuto accusare gli esponenti governativi, indicati in precedenza, di abuso d’ufficio, con le aggravanti “della violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione” per non aver ottemperato alla richiesta della Corte di giustizia. Piantedosi e Mantovano, inoltre, sono stati accusati di aver impropriamente utilizzato l’aereo della CAI per il trasporto in Libia di Almasri e dell’appropriazione del carburante necessario per il volo.

Al termine dell’istruttoria il Tribunale aveva due possibilità: disporre “l’archiviazione con decreto non impugnabile” (art.8, co 2) oppure trasmette gli atti al presidente della Camera, per i successivi adempimenti. Nel caso specifico il Tribunale ha scelto una via di mezzo: luogo a procedere per i ministri e archiviazione per la presidente del Consiglio, nella presunzione di una sua estraneità di fronte ad una decisione così importante. Tesi difficilmente sostenibile, considerata l’attenzione con cui Giorgia Meloni guarda ai problemi del Mediterraneo: dal Piano Mattei, alla lotta contro i trafficanti che dominano i flussi migratori.

Per archiviare il caso era necessario fin dall’inizio individuare l’esistenza di “un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero […] il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo” (art.9, co 3). Operazione non certo semplice, considerato il ruolo di Almasri, la complessa situazione della Libia, il rischio di commettere ulteriori errori, come quelli che contribuirono alla defenestrazione di Gheddafi, di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. Difficile anche pensare che queste valutazioni potessero far parte del comune sentire dei Giudici e del retroterra giuridico-formale che caratterizza la loro formazione. Comprensibile quindi la trasmissione degli atti affinché fosse, alla fine, il Parlamento a decidere.

Lo farà prima la Giunta per le autorizzazioni a procedere, quindi all’Assemblea di Montecitorio che “a maggioranza assoluta dei suoi componenti, potrà “negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito” nell’interesse del Paese, secondo la formula indicata in precedenza. Sarà quindi un colpo di mano dell’attuale maggioranza parlamentare a rimettere le cose a posto? Come si diceva all’inizio, questa è una quasi certezza, destinata a far crescere, contestualmente, il vittimismo dell’opposizione. Che continuerà a non capire. Si trattava di scegliere tra la richiesta di una struttura, caratterizzata da una credibilità sempre più compromessa, e i pericoli reali di possibili ritorsioni sia in Patria che nei confronti di cittadini italiani residenti in Libia.

Il governo, nel suo complesso, non ha voluto rischiare. Lo stesso farà l’Assemblea di Montecitorio alla ripresa autunnale, dando manforte all’azione del governo. L’opposizione, con sempre minore credibilità, continuerà a stracciarsi le vesti. Ma non sarà difficile vedere con chi starà la gente normale: non quella che urla e sbraita nelle più violente manifestazioni di piazza. Ma quella normale che lavora e tira la carretta tutti i santi giorni. E non vuole correre ulteriori rischi, avendo già fatto il pieno di preoccupazioni.

Autore
Formiche

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