Il caso della scuola di Trento dove si è riusciti a votare senza sospendere le lezioni

  • Postato il 10 giugno 2025
  • Scuola
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La burocrazia sconfitta da una dirigente scolastica che nei giorni del referendum è riuscita a non sospendere l’attività didattica come accade nelle scuole della maggior parte del Paese. La protagonista di questa battaglia civile è la dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo “Trento 5”, Paola Pasqualin che si è opposta alla chiusura. La preside ha resistito alle disposizioni che escludono la presenza di estranei all’interno dell’edificio scolastico sede di seggio per ragioni di sicurezza e di tutela della regolarità del voto dimostrando che gli ingressi e lo svolgimento delle lezioni possono avvenire senza interferire in alcun modo con tutte le operazioni elettorali. Anzi.

Pasqualin è convinta che si tratti di un’azione educativa: “Pensate i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze”, ha scritto in una lettera diffusa nelle scorse ore, “che vedranno che nella loro scuola gli adulti vanno a votare, faranno domande e le insegnanti spiegheranno loro che cosa sta accadendo e che cos’è il voto (non cosa si vota), il valore di esprimerlo e la potenza che esso ha per la democrazia. Sia mai che si riesca ad attivare in loro, e anche in noi adulti, l’importanza di “agire” sempre, coniugandoli, diritti fondamentali quali il voto e l’istruzione”. La sfida con la burocrazia è stata vinta grazie alla collaborazione del Comune e della Questura. Da anni a Trento insieme ad altri istituti comprensivi coinvolti, Pasqualin, prova a contrattare con il Comune qualche ora in più di apertura, se non addirittura il regolare svolgimento delle lezioni dove le scuole sono occupate in parte dai seggi. Da anni chiedono, ogni volta che si vota, perché mai vengano individuate le scuole e viene risposto che è la questura (il ministero degli interni) che valuta l’idoneità dei locali e le scuole sembrano essere “quelle più adatte”.

Quest’anno il questore si è convinto e ha dato l’ok alla convivenza dei seggi con le lezioni alle primarie “Crispi” e “Sanzio”. Una rarità. Secondo dati forniti dal Ministero dell’Interno, infatti, nel 2021, l’88% dei 61.562 seggi elettorali si trovava all’interno di edifici scolastici. In particolare, sono edifici destinati alla didattica il 75% dei fabbricati che ospitano uno o più seggi. “In altre parole – spiega la rivista “Tuttoscuola” – sono molti milioni di studenti perdono giorni di lezioni in occasione di ogni turno elettorale. Altre interruzioni si aggiungono, come è noto, per svariati motivi (dagli scioperi al maltempo). Con buona pace del diritto allo studio”.

Nel 2021 il ministero dell’Interno aveva costituito un gruppo di lavoro per studiare il problema e individuare soluzioni. Ne facevano parte rappresentanti del ministero dell’istruzione, dell’Anci e dell’Upi. Qualche risultato fu raggiunto, ma alla fine tutto sembra essersi risolto in una circolare ai prefetti “ai fini di una sensibilizzazione dei sindaci sull’esigenza di individuare il maggior numero di immobili come sedi alternative di seggi”. Nel frattempo milioni di ore di lezione continuano a saltare per questo motivo. Una battaglia portata avanti anche da “Cittadinanzattiva” da anni: “Chiudere le scuole perché sede di seggio elettorale è una stortura, tipicamente italiana, che abbiamo denunciato varie volte e che ci ha indotto ad attivare una campagna “Stop ai seggi elettorali nelle scuole” per censire i casi di enti locali o singoli istituti che hanno trovato soluzioni alternative. Si tratta di buone prassi, che però si sono spesso arenate anche a causa del mancato stanziamento di fondi – ulteriori rispetto ai due milioni di euro messi a disposizione nel 2021 – per agevolare le amministrazioni nell’individuazione e sistemazione di locali alternativi agli edifici scolastici. La scuola è un servizio pubblico che non va interrotto e, piuttosto che restare “chiusi per elezioni”, gli spazi scolastici dovrebbero essere sempre aperti e a disposizione degli studenti, perché luogo nel quale costruire anche modelli nuovi di partecipazione e di cittadinanza attiva”, spiega Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola dell’associazione.

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Il Fatto Quotidiano

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