Il cervello cinese del fentanyl e la fuga che ha sfidato tre Paesi
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Panorama
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L’arresto di Zhi Dong Zhang, il principale produttore di fentanyl ricercato a livello mondiale, segna una delle operazioni antidroga più complesse degli ultimi anni, al crocevia tra Cina, Messico, Cuba e Stati Uniti. Il suo nome era già noto agli apparati di intelligence di mezzo mondo: mente logistica, intermediario tra i cartelli messicani e i laboratori chimici cinesi, e protagonista di una fuga spettacolare che ha messo in imbarazzo governi e magistrature. A luglio, Zhang è evaso dagli arresti domiciliari in Messico, dove attendeva l’estradizione negli Stati Uniti per traffico di stupefacenti e riciclaggio di denaro. Il Dipartimento di Giustizia americano lo accusa di essere il principale canale di collegamento tra i fornitori di precursori chimici in Cina e i cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco, che producono e distribuiscono il fentanyl, l’oppioide sintetico responsabile di centinaia di migliaia di morti per overdose negli Stati Uniti.

Secondo le ricostruzioni, Zhang è salito su un jet privato diretto a Cuba, dove si è imbarcato per la Russia. Le autorità di Mosca, ignare della sua identità, gli hanno però negato l’ingresso, ordinando il rimpatrio immediato all’Avana. Da lì, Cuba lo ha estradato in Messico, che lo ha infine consegnato a Washington. «Assicurare Zhang alla giustizia rappresenta un duro colpo per la rete criminale globale che collega la Cina ai cartelli messicani», hanno dichiarato i funzionari americani. La cattura del boss, avvenuta dopo una fuga che sembrava impossibile da contenere, è stata salutata come un successo anche dal governo di Città del Messico, desideroso di mostrare a Washington la propria cooperazione nella guerra al fentanyl. Ma l’evasione di luglio aveva già provocato un terremoto politico. La presidente Claudia Sheinbaum aveva denunciato pubblicamente la magistratura: «Gli sono stati concessi gli arresti domiciliari senza alcun motivo. È evidente che c’è corruzione nella giustizia». Dietro Zhang si muove un sistema industriale del crimine. Gli investigatori lo descrivono come un «genio della chimica criminale», capace di sviluppare nuove formule per eludere i controlli internazionali e addestrare tecnici dei cartelli alla produzione su larga scala. Fonti messicane sostengono che abbia guadagnato oltre 150 milioni di dollari all’anno attraverso una rete globale di riciclaggio che coinvolgeva anche banche statunitensi.
Il suo arresto rappresenta anche una partita geopolitica. La cooperazione tra Messico, Cuba e Stati Uniti per catturarlo ha svelato un inedito coordinamento diplomatico tra Paesi spesso in tensione. Il ministro della Sicurezza messicano Omar García Harfuch ha ringraziato L’Avana per la «preziosa collaborazione», sottolineando che Zhang manteneva «alleanze con gruppi criminali presenti nelle Americhe, in Europa e in Asia». Come racconta il Wall Street Journal secondo l’atto d’accusa presentato in Georgia, Zhang avrebbe trafficato oltre due tonnellate di cocaina, quasi quattro di fentanyl e più di una di metanfetamine. Negli Stati Uniti, le sue sostanze avrebbero alimentato il mercato nero responsabile della crisi sanitaria più grave dai tempi dell’eroina. Per questo Washington lo ha inserito nella lista delle “Consolidated Priority Organization”, la stessa che include i capi dei cartelli più pericolosi del mondo, come Nemesio “El Mencho” Oseguera del cartello di Jalisco. La sua rete era capillare: da laboratori clandestini in Asia partivano i precursori chimici che raggiungevano via mare i porti del Pacifico messicano, dove i cartelli li trasformavano in fentanyl e li spedivano negli Stati Uniti nascosti nei container o nei semisommergibili. «Zhang era il ponte tra due mondi criminali che fino a pochi anni fa operavano separatamente», spiegano fonti investigative.
Il narcotrafficante era arrivato in Messico prima della pandemia, sposando una cittadina locale e ottenendo la doppia cittadinanza. Parlava spagnolo fluentemente e usava diversi alias: El Chino, Fratello Wang, Hehe, Haha e persino Nelson Mandela, secondo gli atti giudiziari. La sua fuga, invece, somiglia a un copione da film. Dopo un’udienza notturna a Città del Messico, un giudice gli aveva concesso gli arresti domiciliari in una villa adiacente a una casa controllata da un’organizzazione criminale. Quando le autorità sono intervenute, hanno trovato un buco nel muro che collegava le due abitazioni e il braccialetto elettronico abbandonato. Da lì Zhang è sparito nel nulla.
Per ore si è creduto che fosse stato ricatturato nello Stato di Guerrero, ma era già a bordo di un jet diretto a Cuba. L’Interpol ha emesso un allarme rosso globale, ma l’allerta, provenendo dal Messico e non dagli Stati Uniti, non è stata riconosciuta da Mosca, che lo ha rimandato indietro. Fonti vicine al dossier sostengono che «i funzionari russi non si sono resi conto di avere tra le mani uno dei fuggitivi più ricercati al mondo». Secondo alcune fonti cubane, Zhang sarebbe stato trattenuto all’Avana per diversi giorni prima dell’estradizione, mentre gli apparati di intelligence locali cercavano di raccogliere informazioni sulla sua rete di contatti in Asia e in America Latina.
Oggi Zhang si trova negli Stati Uniti, in un carcere federale di massima sicurezza. Per il Dipartimento di Giustizia è un trofeo strategico, ma anche la chiave per comprendere i legami industriali tra la produzione chimica cinese e i cartelli messicani. La sua cattura, affermano gli inquirenti, «potrebbe rivelare quanto profonda sia la connessione finanziaria tra Pechino e le rotte globali del narcotraffico». La vicenda, tuttavia, lascia in sospeso una domanda cruciale: come è stato possibile che uno dei criminali più sorvegliati al mondo riuscisse a evadere grazie a una decisione giudiziaria controversa e a documenti falsi? Nel caos della giustizia messicana, la risposta potrebbe restare sepolta tra corruzione, complicità e interessi internazionali. Ma una cosa è certa: con l’arresto di Zhi Dong Zhang, la guerra al fentanyl si è appena alzata di livello.