Il codice del bosco, dal Trento Film Festival un’opera eco-filosofica affascinante, misteriosa e visionaria

  • Postato il 29 aprile 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Le piante ci ascoltano (pensano) e ci parlano. Passi alla 73esima edizione del Trento Film Festival e rimani cinematograficamente a bocca aperta. Il codice del bosco, documentario prezioso, infinito, gloriosamente herzoghiano, diretto da Alessandro Bernard e Paolo Ceretto, è l’opera eco-filosofica più affascinante, misteriosa e visionaria che il panorama italiano ultra indie poteva offrire nella stagione orribile 2024-25.

Il giovane fisico astigiano Alessandro Chiolerio si piazza per un anno e mezzo in un piccolo prefabbricato al confine di un bosco di Paneveggio, in Val di Fiemme (Trento) per provare a “sentire” cosa dicono alberi, funghi e licheni travolti prima nel 2018 dall’uragano Vaia, poi falcidiati dal bostrico, un insetto xilografo devastante. Lo raggiunge l’ecologa e docente sui generis Monica Gagliano, fata e folletto nella, e della, foresta parlante (è autrice, peraltro, del saggio Così parlò la pianta – Nottetempo). Chiolerio, muso cognettiano, software, fili, pc e bicchiere di vino sul tavolo, ha inventato un’ “infrastruttura” (Cybertree) che si applica ai tronchi degli alberi per rilevarne suoni, rumori, parole, grugniti, fruscii.

“Hanno un’identità propria. Tra loro hanno una rete relazionale di scambi elettrici, fisici, chimici”, spiega Chiolerio ricordando che l’evoluzione tra piante è stata contraddistinta in termini “collaborazionistici” e “non di competitività”. Il punto, insomma, è solo come tradurre in linguaggio comprensibile ed umano quelle vibrazioni, quelle linee oscillanti che si discostano platealmente dal silenzio e che i programmi del computer rilevano come onde sismiche sussultorie. Gagliano si spinge oltre. “L’altro non esiste”, spiega, perché l’uomo e le piante sono già un insieme unico. “Eri già lì? Sei già l’albero, sei già la foresta, sei già tutto”.

L’attesa per la decifrazione delle parole arboree, “modello Stele di Rosetta”, è silente ma spasmodica. Il big bang sarà nel “playback” del verso registrato del temibile bostrico mentre divora corteccia e legno: verrà mandato in onda, fatto ascoltare agli alberi, per vedere se prenderanno contromisure comunicando tra loro il pericolo imminente. In questo Herzog ha fatto lezione, da Grizzly Man a La soufriere, l’inseguimento al dettaglio che si vorrebbe vedere e che sembra non vedersi mai, l’aura misterica che plana lassù dall’oggettiva in linea verticale perpendicolare nello squarcio del bosco ferito.

Spirito visivo contemplativo, immersione tattile e sonora, cigolio legnoso, sotterraneo fruscio d’insetto, l’opera di Bernard e Ceretto avanza come sottile ossessiva esplorazione di un confine percettivo che vive nel suo farsi, nel suo essere continuo interrogativo e possibile risposta. Suddiviso nella presenza-assenza-compenetrazione di tre protagonisti (Chiolerio, Gagliano e infine il tagliatore di tronchi), Il codice del bosco usufruisce dello stupore come ingrediente magico e garbato, del paragone uomo pianta (“gli alberi sono individui che rispetto ad una condizione specifica diventano uno poi tornano individui”) come effetto culturalmente deflagrante. “Oggi si parla molto di Intelligenza Artificiale, ma forse abbiamo bisogno prima di tutto di riconnetterci con un’altra intelligenza: quella della natura”, spiegano gli autori. Guardando s’impara: basta piantare monoculture per rifondare foreste e boschi. Meglio alberini misti. Ci penseranno loro a passarsi patrimoni genetici, informazioni utili e forme difensive per resistere altre decine, centinaia, migliaia di anni. Per vedere il film, dal 5 maggio in poi, cercate qui la data più vicina a voi. (Qui il link)

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Il Fatto Quotidiano

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