Il Cremlino cerca legittimità nel linguaggio della minaccia. Scrive Ansalone

  • Postato il 30 ottobre 2025
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  • Di Formiche
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Un missile ipersonico in grado di colpire le coste americane. Una nuova testata nucleare a medio raggio invisibile ai radar. Un drone nucleare sottomarino. La Russia di Putin ha alzato notevolmente il tono della minaccia al mondo nelle ultime settimane, testando e presentando armamenti sofisticati e riaccendendo lo spettro della minaccia nucleare. Lo fa dopo aver testato la reazione europea e occidentale con provocazioni crescenti: droni sugli aeroporti civili e violazioni sistematiche dello spazio aereo di Paesi dell’Unione europea e della Nato. E lo fa nel momento in cui la guerra in Ucraina entra nell’ennesimo momento cruciale, anche alla luce delle reazioni dell’Amministrazione Usa a queste provocazioni.

La domanda lecita è quanto dobbiamo temere e preoccuparci di questa continua escalation. Quanto cioè il Cremlino ha intenzione di continuare la sua campagna di aggressione ben oltre i territori occupati in Ucraina.

La presentazione al mondo delle capacità militari serve innanzitutto a Mosca a raggiungere due obiettivi, di cui uno solo è strettamente politico e strategico. Il messaggio chiaro è che la Russia è tornata sullo scacchiere globale e vuole essere considerata una potenza alla pari di quelle affermate (gli Stati Uniti) e di quelle emergenti (Cina e India), in un mondo che va organizzandosi sempre più in sfere di influenza.

Il secondo obiettivo è prettamente interno. L’economia russa è ormai da tre anni un’economia di guerra a tutti gli effetti. Con la stretta crescente sulla vera ricchezza del Paese, petrolio e gas, Mosca sta rapidamente convertendo vecchie produzioni all’industria bellica, nel più imponente sforzo di investimento militare dell’età contemporanea. Come tutte le grandi conversioni, c’è bisogno di mostrare l’efficienza e il risultato degli investimenti. Cosa che ovviamente nel settore militare si accompagna ad un fondato timore di utilizzo.

D’altronde si avvicina un nuovo inverno rigido, con la conseguente difficoltà a gestire le operazioni militari sul terreno in Ucraina. Ecco perché Putin si è fissato un obiettivo politico e diplomatico chiaro: congelare le posizioni sul terreno ed asseverare quindi la perdita per Kyiv dell’area che va dalla Crimea al Donbass.

Ma la riconversione industriale russa non è né superficiale né occasionale. E qui sta il punto più preoccupante in prospettiva futura. Un’economia di guerra è storicamente difficile da smantellare e, soprattutto, crea la classica spirale di riarmo che già riscontriamo in altri Paesi, anche dell’Unione europea. Il Cancelliere tedesco Merz, ad esempio, dopo aver ottenuto il via libera ad uno stanziamento da mille miliardi per convertire la vecchia manifattura, anche automobilistica, a produzioni militari, ha anche bloccato l’alienazione ai privati di strutture militari in disuso. Un diritto di prelazione che Berlino esercita per tornare a riempire caserme e capannoni, preparando il più drammatico degli scenari di corsa agli armamenti.

Mosca guarda a questi sviluppi più soddisfatta che preoccupata. Quando si parla di difesa e sicurezza non basta investire risorse, pur necessarie. Serve uno sforzo comune per standardizzare sistemi d’arma e catene di comando. Riarmarsi in maniera sparsa, portando sul mercato tecnologie domestiche, può essere una vetrina che però non rafforza affatto le capacità complessive di un’Europa che, come ha ricordato di recente Mario Draghi, vede sotto attacco tutti i suoi valori e interessi fondamentali.

Non dobbiamo essere necessariamente preoccupati della minaccia militare russa ma piuttosto delle sue conseguenze politiche sull’Europa. Che sono già pesanti e che rischiano di diventare ancora più gravi già nei prossimi mesi.

Autore
Formiche

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