Il Dod’Adamo
- Postato il 18 giugno 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“Allora Jhwh fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Jhwh plasmò una donna con la costola che aveva tolta all’uomo”; come non riconoscere la descrizione biblica della nascita di Eva da Adamo? Ebbene, senza alcuna pretesa esegetica ci limiteremo a riconoscere il momento della comparsa del due dall’uno che lo ha preceduto, ci basti ricordare che un approccio filologico potrebbe chiarire che il termine Adamo sia da intendersi come Umanità, nella totalità delle sue forme sia di genere che di etnia, ma non intendo inoltrarmi lungo questa analisi, in questa sede mi interessa riflettere sul fatto che ciò che verrà nomato come Eva è di fatto già presente in Adamo che, una volta addormentato, se ne trova privato per poi ritrovarla come altro da sé. Questa scissione troverà una sorta di tentativo di ricomposizione nell’atto di condividere un cibo, la mitologica mela colta dall’albero della conoscenza del bene e del male. Molto ci sarebbe da aggiungere circa il nesso tra l’infrazione del divieto e l’insorgere del pudore circa la propria nudità ma, ancora una volta, lasciamo a margine la questione per circoscrivere il contenuto di queste righe al tema del paradiso perduto successiva alla consapevolezza di essere comunque un soggetto scisso, alla ricerca della propria unità originaria. Non può certo considerarsi un caso che il mito edenico sia presente già prima che nella versione ebraica anche in testi come L’Epopea di Gilgamesh e che sia possibile riconoscerne la radice etimologica dal sumero edenu, che se ne riscontrino tratti comuni nelle religioni orientali e in numerosissime mitologie africane, a questo punto è lecito considerare che l’origine di tale mito sia da individuare non tanto nelle culture che lo hanno espresso, quanto nella radice comune a qualsiasi civiltà: l’umanità. Che poi la versione ebraico cristiana ci presenti un Dio che, vistosi privato dell’esclusiva circa le categorie etiche di bene e male, affermi “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre”. Insomma, ci manca solo l’immortalità e saremmo come Dio, ma in quel caso nessuno adorerebbe un dio che coincide con i propri fans, un vero e proprio tracollo di consensi. Lasciamo a margine anche la politicità di un simile divino e torniamo al tema.
Mi torna alla mente un’antica lettura, che cito a memoria, nella quale si raccontava che in un’isola, che molto ricorda la bellezza e la beatitudine del Giardino delle delizie, che aveva nome Mauritius, viveva un uccello che non volava, il Dodo. In quell’isola nulla minacciava la serena esistenza del Dodo che, pacifico e fiducioso, non conosceva l’idea di pericolo o di dolore. A un certo punto avvenne l’inatteso, sulle coste dell’isola approdò una nave con la relativa ciurma, si trattava di esseri umani, fino a quel momento sconosciuti in quell’angolo di paradiso. L’arrivo degli europei, che ovviamente di abitanti del Vecchio Continente si trattava, coincise con il loro bagaglio più o meno deliberato: armi e relativa caccia, specie animali sconosciute e concorrenti, malattie e conseguenti sofferenze. L’ingenuo Dodo si avvicinò ai nuovi ospiti senza timore, non conosceva l’idea di pericolo, la conseguenza fu che, prima del sopraggiungere del nuovo secolo, l’isola divenne sede della cosiddetta civiltà, mentre il Dodo si estinse. Secondo la logica dominante la scomparsa del Dodo è conseguente alla sua inadeguatezza, troppo ingenuo, troppo fiducioso, mentre i vincitori (?), la civiltà che ha devastato l’ambiente sereno e si è nutrita della carne del Dodo fino a estinguerlo, hanno celebrato la propria superiorità con la creazione di un qualche villaggio turistico su quelle spiagge. Il peccato del Dodo mi sembra difficile da individuare, molto più semplice riconoscere l’arrogante supponenza di chi si è pensato in diritto di dettare le regole del gioco nella convinzione di poter e dover avere successo in una battaglia che l’antagonista non sapeva nemmeno di combattere.
Il Dod’Adamo può essere paragonato al bimbo nell’utero materno, un luogo dal clima perfetto nel quale il nutrimento è garantito né richiede lavoro, ma allo scadere del tempo eccolo cacciato, morto come abitante dell’Eden per nascere fra le lacrime nel mondo degli uomini. Forse è proprio la memoria comune a ogni “nato da donna” a essere riconoscibile nei miti simili in ogni cultura circa un tempo edenico perso per una ragione sconosciuta. Ci penserà la civiltà dell’uomo a comunicarti che per certo è tua responsabilità aver perduto l’Eden, e quale sarà mai la tua colpa? A seconda di dove e quando nasci il contesto ti offrirà un peccato che, ovviamente commesso da te, andrà ricercato nell’infrazione che hai consumato circa regole che non hai deciso. Sarebbe interessante comprendere la natura delle diverse culture attraverso il tipo particolare di peccato che si ritiene essere stato consumato dai progenitori, quello che le accomuna, mi sembra, sia sempre il fatto che un potere originario abbia imposto un divieto e che quello non sia stato rispettato; sappiamo bene che il potere è tale solo nel momento in cui può imporre divieti, se non ne esistessero non potrebbe essere detentore di nessuna minima porzione di potere e non avrebbe modo di autocelebrarsi attraverso la punizione, il Dio cristiano, terrorizzato dall’idea che l’uomo potesse sapersi e, quindi, divenire immortale, lo cacciò dall’Eden.
Ricordo un passo di Jorge Luis Borges nel quale il maestro Paracelso spiega all’allievo che il Paradiso è dove viviamo e l’inferno il non comprenderlo; il Dod’Adamo lo sapeva e ne godeva, chi non lo comprendeva e diffondeva l’inferno era l’arroganza e la stupida aggressività della ciurma. Resta la questione: com’è possibile che Dio abbia estratto Eva da Adamo dando inizio all’assurdo gioco del “di chi è la colpa”? Se ciò non fosse accaduto il tranquillo esistere del Dod’Adamo sarebbe mai potuto sfociare nella storia dell’umanità?E ora è tempo di chiudere il cerchio di questa breve riflessione riprendendo il tema della scissione che è origine del peccato e della conseguente punizione: che cosa abita da sempre ogni uomo pur essendo reputata altro dal soggetto ospitante? Credo sia corretto utilizzare il termine di Psiche. Non so se sia imputabile a una deliberazione divina, ma la presa di coscienza di essere ben altro che il corpo senziente e accondiscendente del Dod’Adamo, quell’essere che soggiace alle regole comuni all’intero ingranaggio della natura, quell’inconsapevole pacifico animale che mai si sarebbe azzardato a cogliere il frutto proibito, ebbene, tale momento aurorale segna la nascita dell’essere umano che pecca, che crea e scopre il senso di colpa e che, e questo mi sembra il nodo fondamentale, si autopunisce escludendosi dall’Eden. Nessun Dio può cacciare l’uomo nuovo, ma è lo stesso protagonista della vera creazione di se stesso che non sa amarsi nella propria complessità, che ancora oggi invidia l’inconsapevolezza animale capace di regalare serenità. Noi siamo certo più complessi, conflittuali, lacerati, abitati da abissi, ma davvero vogliamo rinunciare a tutto questo in cambio dell’incoscienza o di una limitata libertà capace di consegnarci a una serena e noiosissima sopravvivenza? Non sarebbe il tutto a sopravvivere grazie alla scomparsa dell’io? Quell’uno nel quale l’urlo taurino dionisiaco della coscienza si strozza nella gola della vigliaccheria? Il senso di colpa che noi stessi abbiamo generato, figlio illegittimo della volontà di vivere, la stessa volontà adolescenziale che non abbiamo avuto la forza e il coraggio di far crescere fino a divenire la volontà di potenza dell’uomo che si libera della placenta della paura, quello che tanta esegetica ha frainteso nell’abissale visione di Nietzsche, uccidiamo infine la paura e reinventiamo gerarchie valoriali che partano dall’uomo e si aprano nell’amore.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.