Il dossier sui Fratelli Musulmani che agita la Francia e preoccupa l’Europa

  • Postato il 11 giugno 2025
  • Di Panorama
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E’ risuonato come un campanello d’allarme per tutta l’Europa il rapporto sulle infiltrazioni islamiste dei Fratelli musulmani in Francia, recentemente consegnato al presidente Emmanuel Macron. Un documento di una settantina di pagine, nel quale si lancia un serio avvertimento su quella che viene definita una «minaccia per la coesione nazionale», incarnata da un «progetto sovversivo» contro la République.

 Al centro dell’inchiesta, condotta da un diplomatico e un prefetto rimasti anonimi nel testo, ci sono le attività dell’organizzazione islamista nata nel 1928 in Egitto, caratterizzata da un approccio fondamentalista dell’Islam che gli ha provocato la messa al bando in diversi Paesi, oltre a quello natale, tra cui la Russia, l’Austria, la Giordania o l’Arabia Saudita. Ma non dall’altro lato delle Alpi, dove il movimento guadagna terreno, ramificandosi a livello locale come dimostrano le cifre citate nel rapporto: 139 luoghi di culto affiliati, ai quali se ne aggiungono altri 68 considerati vicini alla Fratellanza, sparsi in 55 dipartimenti per un totale del 7 per cento dei 2.800 posti recensiti. Numeri all’apparenza nemmeno troppo rilevanti, che preoccupano però alla luce delle attività della Federazione dei musulmani di Francia, considerati come la «principale emanazione» dell’organizzazione nel Paese, che nel tempo ha costruito «una importante rete di insediamento locale».

Un lavoro portato avanti in silenzio, sempre mantenendo un basso profilo, senza azioni violente o uscite polemiche. Grazie anche al sostegno di Paesi come la Turchia e il Qatar, l’obiettivo è quello di «istituzionalizzare» il gruppo, ponendosi come «interlocutore dei poteri pubblici» a nome dell’«insieme della popolazione musulmana francese». Insomma, «una ricerca di legittimazione e di rispettabilità» che passa per una serie di attività riguardanti soprattutto l’educazione, considerata una «priorità» visti i 21 istituti privati legati al movimento, ma anche il mondo associativo e, più in generale gli «ecosistemi sul piano locale». Realtà costruite partendo dalle moschee, attorno alle quali ruota la vita della comunità musulmana del posto. Sebbene il rapporto escluda l’intenzione di instaurare la sharia (legge islamica, in italiano) in Francia, dalle indagini emerge la volontà di «ottenere progressivamente delle modifiche delle regole locali o nazionali», come quelle riguardanti la laicità o la parità di diritti tra uomo e donna.

«Quello della sharia è un obiettivo a lungo termine per i Fratelli musulmani, che vogliono prima di tutto applicare la legge islamica nella comunità di fedeli in Francia», spiega Bernard Rougier, professore di sociologia del mondo arabo alla Sorbona e coordinatore di uno studio sulla presenza islamista nelle banlieue pubblicato nel 2020 con il titolo I territori conquistati dell’islamismo.  Secondo l’esperto, il rapporto «dà un’immagine abbastanza esaustiva» della situazione e «prende in esame molti aspetti riguardanti la penetrazione islamista in Francia, ma non rivela tutta la verità, perché ci sono molti aspetti di questo fenomeno che restano sconosciuti». Rougier pone ad esempio l’accento sul ruolo dei social network, dove sono attivi membri e predicatori dell’organizzazione.

Anche perché «l’entrismo» islamista riguarderebbe tutto il Vecchio continente. Italia inclusa stando allo studio, che cita l’Istituto italiano degli studi islamici e umanisti Bayan, in provincia di Verona, che avrebbe beneficiato di finanziamenti dal Kuwait nella prospettiva di «diventare il principale centro di formazione degli imam in Europa». Segnali almeno all’apparenza inquietanti, ma non per tutti. Il leader della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon ha denunciato una volontà di «stigmatizzazione» dei francesi di confessione islamica, mentre molti imam ed esponenti della comunità hanno espresso timori per i rischi di strumentalizzazione. La Federazione dei musulmani di Francia ha reagito parlando di «accuse infondate». 

Contro i contenuti del report si è schierata anche una buona parte del mondo accademico, con diversi esperti che ne hanno criticato i toni allarmisti, soprattutto alla luce del declino dei Fratelli musulmani. «La loro strategia consiste nel farsi difendere da altri, in questo caso dall’estrema sinistra e dai suoi intellettuali, senza mandare i leader a parlare nei media», spiega Rougier, sottolineando che questo dimostra le «relazioni strette con diversi settori come quello universitario o politico». Il dibattito si è fatto subito infuocato, con l’Eliseo intento a spegnere i bollori garantendo il massimo dell’attenzione nel preservare la popolazione islamica da attacchi o pregiudizi. Le presidenziali del 2027, però, sono vicine. Lo sa bene il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, recentemente eletto leader dei Repubblicani e in odore di candidatura. Il suo zelo mostrato in questi ultimi tempi, soprattutto su questo dossier, non è piaciuto a Macron, che secondo indiscrezioni dell’Afp lo ha richiamato all’ordine proprio durante il Consiglio di Difesa interministeriale indetto per discutere del rapporto, inizialmente concepito come un documento riservato. Macron si è lamentato con tutto l’esecutivo delle proposte avanzate, considerandole inadatte vista «la gravità dei fatti», ma anche delle anticipazioni dell’inchiesta trapelati sui media.   Ufficialmente il presidente vuole evitare il rischio di manipolazioni ai danni dei musulmani di Francia.  Ma l’impressione è quella di un capo dello Stato irritato nel vedersi superare da uno dei suoi ministri su un problema come quello dell’Islam radicale, rimasto irrisolto nonostante la legge contro il separatismo adottata nel 2021. 

Forse è per questo che il 71 per cento dei francesi dichiara di non avere fiducia nel proprio presidente su questo tema, come emerge da un sondaggio di Csa per CNews. Ma Macron deve fare i conti anche con le ambizioni interne al suo campo. Come quelle dell’ex premier Gabriel Attal, l’enfant prodige del macronismo che difende un progetto di legge volto a vietare il velo alle ragazzine con meno di 15 anni. Meglio evitare di creare «confusione», secondo l’inquilino dell’Eliseo, che ha invitato a non «confondere tutto nei dibattiti». Intanto, Retailleau va avanti per la sua strada e lancia un «arsenale» volto a contrastare l’islamismo politico, concepito sul modello della lotta al terrorismo e al narcotraffico: un maggior coordinamento tra l’intelligence territoriale e quella centrale, più controllo sui finanziamenti provenienti dall’estero e uno snellimento delle procedure utili a dissolvere le associazioni sospette. Una guerra interna, sulla quale la politica sta mettendo il cappello con il rischio di inutili abusi mediatici.

Autore
Panorama

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