Il fumetto “interreligioso” di Benedetta D’Incau che puoi trovare su Artribune Magazine
- Postato il 10 luglio 2025
- Fumetti
- Di Artribune
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La convivenza tra religioni opposte è possibile, almeno nei fumetti di Benedetta D’Incau. L’autrice (nome d’arte BeneDì) è ospite del nuovo magazine di Artribune. L’abbiamo incontrata e ci siamo fatti lasciare una storia inedita: un fumetto che parla di dialogo e convivenza tra popoli di religioni diverse.

Intervista a Benedetta D’Incau
Cosa significa per te essere fumettista?
Bella domanda! Per me significa innanzitutto aver realizzato un sogno che coltivo da quando avevo sette anni. È più che una passione e un lavoro; direi che forse si tratta di una forma di realizzazione personale, di espressione e di sfogo, a volte una specie di meditazione su carta per il tramite della matita.
Non hai ancora 30 anni, eppure hai già pubblicato un libro con la casa editrice di fumetti più importante d’Italia (mi riferisco a Il racconto della roccia). Ci racconti qualcosa di te?
In effetti, ho avuto l’immenso onore e privilegio di pubblicare con Coconino il mio primo libro, e questo a seguito della call per progetti di autori esordienti che hanno lanciato nel 2021. È stata ed è un’esperienza fantastica collaborare con loro. Io ho un percorso un po’ desueto: ho frequentato il liceo artistico, ma mi sono poi iscritta a Lettere, studiando prima a Venezia e poi a Bologna. Mi sono specializzata in Studio Letterario del Fumetto, e al momento sto terminando la tesi di dottorato proprio in quest’ambito, a Tours (in Francia) dove abito da alcuni anni. Ma ho sempre continuato a disegnare e la mia ambizione nella vita era fare fumetti: ho quindi sviluppato dei progetti personali pubblicati sui miei profili social, e nel 2019 mi sono messa a lavorare alla bozza del progetto che è poi stato pubblicato nel 2023 da Coconino.

Il fumetto d’esordio di Benedetta D’Incau
Restiamo su Il racconto della roccia, il tuo graphic novel d’esordio pubblicato nel 2023 da Coconino. Di cosa parla?
La storia è ambientata in Yemen, nel 1915, e vede protagonisti Benjamin e Hakim, due bambini coetanei: uno ebreo, l’altro musulmano. Questo perché, all’epoca, lo Yemen ospitava una nutrita comunità ebraica, nonostante la maggioranza della popolazione fosse di fede islamica. Il padre di Benjamin si convince che si devono trasferire dallo Yemen a Istanbul, e il bambino, preso dal panico all’idea di lasciare la sua casa, si ricorda che nel villaggio è custodito un incantesimo, che permette di fare appello a un’entità non ben precisata, ma che aiuta a far fronte a una situazione di difficoltà. Nulla dovrebbe accadere, ma qualcosa accade: l’indomani, un jinn (uno spirito) impone la sua legge nel villaggio, e ingiunge a tutti i maschi adulti di non uscire di casa, di non avere alcuna attività lavorativa o liturgica. Il che crea scompiglio nel villaggio, ridistribuisce e ruoli e genera nuovi gruppi di potere, aprendo la strada agli estremisti, che approfittano dell’occasione per raccogliere consenso. Solo Benjamin e Hakim, a cui il primo confida il segreto, sanno a che cosa sia dovuta l’apparizione, e dovranno ingegnarsi per riparare al danno fatto prima che l’irrimediabile accada. La storia è raccontata dagli stessi che, ormai adulti, si ritrovano il 9 novembre 1938 a Vienna. E decidono di sgarbugliare insieme i fili di questa complicata vicenda.
Il tema del dialogo interreligioso è attuale, anche se sviluppato in chiave fantastica. Che valore attribuisci al fumetto, in rapporto a tematiche di questa portata?
Il fumetto è una forma di narrazione estremamente interessante, che può assumere declinazioni anche molto diverse fra loro. Per esempio, per quel che attiene alle tematiche di ordine sociale, politico, storico o economico, il cosiddetto graphic journalism si è imposto come uno strumento privilegiato di racconto dell’attualità, della storia e anche della memoria. Io ho voluto lavorare diversamente: per me, la priorità assoluta era dare spazio a una realtà culturale – quella dello Yemen, e particolarmente, dei gruppi umani che lo hanno abitato e che ne hanno fatto la ricchezza e la bellezza nei secoli scorsi – quasi del tutto ignota al grande pubblico. Mi premeva illustrare in che modo, in quel contesto molto specifico, si fosse declinata una forma di convivenza pacifica, e che cosa ne abbia minacciato e poi, purtroppo, realizzato la scomparsa.
Dunque, l’aspetto politico in questo caso è secondario…
Sì. Incidentalmente, la storia fa emergere dei temi che si sono nuovamente imposti nell’attualità degli ultimi due anni. Ma, appunto, i temi sono una conseguenza della storia, non il suo perno. I personaggi, i loro luoghi, il loro linguaggio, il loro orizzonte umano sono per me il focus del racconto. Il fumetto permette l’immersione in realtà aliene, e lo fa producendo un profondo senso di intimità, che è quello che io cerco di portare al lettore. Per me è un valore assoluto e centrale di questo mezzo.

Attualità e politica nel fumetto di Benedetta D’Incau
Sfogliando l’opera vengono in mente i disegni di Marjane Satrapi e Craig Thompson, sia per il tratto che per il tema che affronti. Chi sono i tuoi paladini del fumetto?
Sono una grandissima fan di Craig Thompson, e Habibi è una delle mie graphic novel preferite. Ma esteticamente, io sono molto meno morbida nel tratto, che è meno corposo del pennellato di Thompson. Inconsciamente, credo di essermi molto rifatta alla tradizione stilistica franco-belga, mentre per l’espressività dei volti e per la teatralità dei gesti, devo moltissimo alle mie letture manga. In questo senso, crescendo, Akira Toriyama e Dragon Ball sono stati centralissimi nelle mie letture. Ho poi scoperto Rumiko Takayashi, Osamu Tezuka, Naoki Urasawa e Shigeru Mizuki. Ci sono un nutrito stuolo di autori e autrici di graphic novel autobiografiche, come la citata Marjane Satrapi, ma soprattutto David B., Chester Brown, Manu Larcenet. E poi, fra i miei paladini ho l’onore di contare autori e autrici di Coconino, a fianco dei quali ho potuto dedicare nei festival, come Alice Milani, Manuele Fior, Zuzu.
E il fumetto per Artribune, di cosa parla?
Io sono piuttosto prolissa, quindi lavorare a quattro pagine è stato per me un ottimo esercizio di sintesi. E sono andata a sintetizzare la testimonianza di un viaggio in un territorio che, ancora una volta, va a toccare l’attualità, ma senza fare del vissuto un carnet de voyage pretestuoso (i francesi direbbero “nombriliste”, ovvero “ombelicale”, e trovo l’espressione molto azzeccata). È soprattutto un insieme di pensieri sorti in seno a quell’esperienza, accorpati e cuciti per tentare di dare loro un senso. Ne ho anche approfittato per destreggiarmi, goffamente, nella forma del single-page comics, che apprezzo moltissimo nelle raccolte di The Realist dell’israeliano Asaf Hanuka – che a sua volta annovero nella lista degli autori ammirati di cui sopra!
Alex Urso
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