Il giudice Sabella ricorda Borsellino e denuncia la continuità della palude mafiosa

  • Postato il 19 luglio 2025
  • Politica
  • Di Formiche
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Speranze e verità inconfessabili, memoria tradita e oblio, attraversano come due parallele la Palermo camaleontica degli anniversari delle stragi di mafia. Le speranze riaffiorano nella domanda rivolta al Procuratore Generale di Palermo, Lia Sava, da un alunno delle elementari di Brancaccio, il quartiere del sacerdote martire e santo Don Pino Puglisi, fatto assassinare dai fratelli Graviano, i boss stragisti pluri ergastolani. “Ma io posso fare il giudice anche se mio padre é in carcere? Perché io lo voglio redimere, voglio fare il giudice”, chiede l’alunno. Parole che dissolvono il cupo pessimismo della città irredimibile e illuminano l’orizzonte.

“Ecco, proprio questa domanda – risponde il Procuratore Sava in una recente intervista all’Espresso – restituisce il senso al nostro lavoro. E a ben vedere il senso del nostro futuro”. Retrospettivamente é tuttavia un futuro con un presente che ancora non riesce a far luce fino in fondo sul passato e ad uscire dalla palude dei misteri e delle apparenze, delle infamie e delle mistificazioni. “L’errore che si fa più spesso é quello di considerare cosa nostra un monolite immobile, mentre la mafia ha dimostrato di avere una straordinaria capacità di adattamento pur restando sempre uguale a se stessa” afferma il magistrato Alfonso Sabella, che da sostituto procuratore del pool antimafia era stato soprannominato il cacciatore di latitanti, per le numerose catture di boss ricercati, fra i quali i killer più spietati di cosa nostra: Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca.

Antimafia al veleno, inchieste sulle inchieste, l’ex Procuratore di Trapani Alfredo Morvillo, fratello di Francesca e cognato di Falcone, che chiede alle istituzioni e alla società civile “siamo tutti dalla stessa parte. O no?“, il vertice del parlamento siciliano e esponenti del governo regionale indagati per presunte corruzioni, enigmatici industriali siculo americani che acquistano storici quotidiani: che sta succedendo in Sicilia?

“Manco da troppi anni dalla Sicilia e non ho più il polso della situazione come mi accadeva negli anni ’90 quando sul mio tavolo finivano la maggior parte delle indagini sulla mafia militare e la Storia d’Italia passava ancora da Palermo. Temo, però, ci sia una sorta di ritorno al passato, come ai tempi di Lima, Ciancimino e di altri politici e amministratori che non disdegnavano le lusinghe di cosa nostra e di quell’imprenditoria mafiosa che controllava gli appalti e le pubbliche commesse. E anche allora c’erano i veleni sulla magistratura e su chi provava a far luce su quelle vicende: le polemiche sui protagonisti dell’antimafia, la storia del Corvo, le presunte carte che stavano nei cassetti di Falcone, l’arresto di giornalisti responsabili di aver pubblicato notizie non gradite all’establishment politico di allora. Credo che Alfredo Morvillo abbia proprio colto nel segno chiedendo chiarezza, almeno, a chi è chiamato a svolgere, con disciplina e onore, funzioni pubbliche. E, a me, umanamente, dispiace vedere che alcuni bravissimi colleghi che ho conosciuto e con cui ho lavorato nei miei anni a Palermo e che ho avuto modo di apprezzare per le loro capacità professionali siano finiti in queste storie.”

La frase di Goethe “é in Sicilia che si trova la chiave di tutto” la trova più funzionale agli intrecci fra mafia e livelli istituzionali ancora occulti, oppure alla mutazione genetica di cosa nostra?

“La Sicilia é sempre stata un laboratorio e, normalmente, quello che é accaduto nell’Isola si é poi riprodotto, mutatis mutandis, a livello nazionale. Come dicevo, l’errore che si fa più spesso é quello di considerare Cosa Nostra un monolite immobile, mentre la mafia ha dimostrato di avere una straordinaria capacità di adattamento pur restando sempre uguale a se stessa. Ho studiato nelle carte di Falcone e Borsellino una mafia che conviveva con lo Stato, ho visto con i miei occhi una mafia che, poi, sfidava lo Stato e, quindi, dopo la fortissima reazione della parte sana del Paese nel dopo stragi, provava a sommergersi e a trattare con lo Stato.”

E la mafia odierna?

“Oggi c’é una mafia che ha capito che è più semplice provare a comprarselo lo Stato: una mazzetta costa molto meno di un omicidio e non provoca reazioni. Ma non possiamo trascurare il fatto che violenza e stragismo fanno parte del patrimonio genetico, del DNA di questi cosiddetti uomini d’onore, anche quando si presentano in giacca e cravatta e non con la coppola e la lupara. Lo Stato, grazie proprio a quello che hanno dato al Paese Falcone e Borsellino, ha oggi tutti gli strumenti per contrastare mafie e criminalità di ogni genere, ma occorre che voglia farlo realmente. Quando parlo agli studenti dico sempre che la mia più grande soddisfazione personale é stata quella di smentire uno dei miei eroi, quel Nino Caponnetto, inventore del pool antimafia, che proprio ai suoi microfoni disse, sul luogo della strage di via D’Amelio: “è finito tutto, é finito tutto”, dimostrando che invece non era così. Li abbiamo presi tutti i responsabili di quella stagione e abbiamo cancellato dalla faccia della terra lo stragismo corleonese e ci siamo riusciti rispettando sempre le regole che, in un Paese civile, presiedono all’azione di magistratura e forze di polizia, ma grazie alle norme, alle risorse, agli uomini che lo Stato ci aveva, finalmente, messo a disposizione. Stavolta voglio farle io una domanda: se noi, che eravamo poco più che apprendisti stregoni, siamo riusciti a consegnare alla memoria del Paese quella stagione stragista, cosa sarebbe successo se quegli stessi strumenti, quelle stesse leggi, quelle stesse risorse che noi abbiamo potuto impiegare fossero stati messi a disposizione di magistrati di livello assoluto come Falcone e Borsellino? Forse oggi racconteremmo una Storia d’Italia diversa e certamente migliore”.

Ancor più del 23 maggio, il 19 luglio la 33esima commemorazione della strage di via D’Amelio si preannuncia quest’anno come un vulcano di polemiche e veleni. C’é un suo ricordo di Paolo Borsellino che prescinde dai j’accuse in corso e dalla indagini in corso si staglia al disopra di tutto?

“Ho conosciuto Paolo Borsellino quando ero giovanissimo magistrato in tirocinio e ci tenne una lectio magistralis sull’etica della nostra professione. A differenza di altri colleghi che si davano un sacco di arie, Paolo mi colpì per la sua modestia, la sua schiettezza e la sua straordinaria carica umana. Ci disse che un magistrato non combatte nemici ma applica le leggi e le regole di uno Stato di diritto. Per me fu amore a prima vista e decisi che avrei lavorato con lui. Era appena uscita una bozza informale delle sedi disponibili per noi giovani magistrati e c’era un posto alla Procura di Marsala ma oltre a me era interessato anche un latro collega, Bruno Fasciana. Andammo a trovare Borsellino e fu letteralmente delizioso con noi ma si arrabbiò molto perché dal CSM gli avevano promesso che avrebbero coperti due posti nella sua Procura e non solo uno. In nostra presenza chiamo il Consiglio e qualcuno gli diede assicurazione che i posti sarebbero stati effettivamente due. Poi, invece, quando uscirono le sedi definitive era persino sparito quell’unico posto disponibile a Marsala, evidentemente Paolo non godeva di buoni uffici a Palazzo dei Marescialli. Così, ironia della sorte, Bruno e io fummo costretti a scegliere la Procura di Termini Imerese retta da colui che, forse più di ogni altro, avversato Paolo Borsellino, quel Giuseppe Prinzivalli, che gli aveva conteso il posto a Marsala e che aveva espresso, nella sentenza con cui aveva assolto i responsabili della strage di piazza Scaffa, giudizi durissimi su Borsellino che, da giudice istruttore, aveva mandato a processo quei boss. Incontrai qualche altra volta Paolo casualmente al Palazzo di Giustizia di Palermo ma non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. Mi sono fatto perdonare, spero, un anno dopo la sua morte quando mi presentai al CSM, ancora giovanissimo, a denunciare Prinzivalli per le sue relazioni con personaggi in odor, anzi puzza, di mafia.”

Autore
Formiche

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