Il jihadista in doppio petto Sharaa, intervistato dall’ex capo della Cia Petraeus, rivela i crucci principali della sua Siria: i curdi e Israele

  • Postato il 23 settembre 2025
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La prima foto ritrae il neo presidente siriano Ahmad Sharaa, ex affiliato di Al Qaeda, che stringe la mano sorridente ad un altrettanto compiaciuto Marco Rubio, segretario di Stato Usa; la seconda vede lo stesso Sharaa alle Nazioni Unite, attorniato da capi di Stato, tra cui un riconoscibile presidente francese Macron. Ma è una terza foto che segna definitivamente i capitomboli che ogni tanto la Storia regala all’umanità: Ahmad Sharaa che stringe la mano ad un soddisfatto David Petraeus, ex capo della Cia.

Riavvolgiamo il nastro: Sharaa, con il nome di battaglia di al-Jawlani, nel 2003 era accorso in Iraq per combattere gli americani in nome della Jihad, e da loro fu arrestato e incarcerato. Il generale Usa che guidava l’operazione era proprio Petraeus. Dopo essere entrato in contrasto con Al Qaeda, Sharaa in Siria ha guidato il gruppo islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) nell’offensiva che ha rovesciato il presidente siriano Bashar al-Assad, lo scorso anno. Gli Stati Uniti prima avevano messo una taglia di 10 milioni di dollari sul miliziano, e poi, a luglio, hanno rimosso il suo gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

Insomma, sino a qualche anno fa Petraeus e Sharaa si sarebbero volentieri uccisi a vicenda: oggi le cose sono cambiate e il generale americano intervista il jihadista in doppio petto. Il 22 settembre i due sono apparsi sul palco dell’hotel Sheraton di Times Square, durante il Concordia Annual Summit 2025. La visita a New York di Sharaa e la stessa intervista concessa a Petraeus sono stati utili per capire quali sono i crucci principali del presidente siriano: i curdi e Israele. Per quel che riguarda il primo argomento, l’ex qaedista ritiene che sia necessario un “assorbimento” della SDF nel nuovo esercito siriano.

A Petraeus che chiede più informazioni, il presidente dice apertamente: “Le Forze democratiche siriane pongono un pericolo alla Turchia e all’Iraq, ed espongono la Siria a pericoli interni”. In altri termini, Sharaa pone la questione che sta a cuore al suo principale sponsor, il presidente turco Erdogan, che a solo sentire nominare i curdi autonomi nella parte nord orientale della Siria, gli prudono le mani. Ai margini dell’assemblea Onu il leader siriano ha ribadito: “Con la leadership delle Forze democratiche siriane abbiamo firmato un memorandum il 10 marzo scorso, che rappresenta il punto di riferimento per qualsiasi accordo”, menzionando i colloqui avuti con Mazlum Abdi; ma nei curdi siriani non è morta l’idea di avere una loro regione “a statuto speciale” e questo per Sharaa potrebbe essere un problema, perchè lo è per la Turchia. “Dalla firma di quel documento ha continuato Sharaa – pareri discordanti, alcuni parlano di decentramento, un termine che in realtà indica una divisione territoriale. E questa divisione esporrà la Siria a tanti pericoli e, forse, a una guerra aperta”.

Il secondo problema è Israele, che ha già fatto capire in maniera plateale la scorsa estate, bombardando le colonne corazzate siriane, di non gradire la persecuzione dei drusi. Il governo di Sharaa è in trattative dirette con Tel Aviv, grazie alla mediazione degli Stati Uniti. Il governo di Netanyahu chiede una no-fly zone sulla Siria meridionale, fino alla capitale Damasco, e una vasta zona di sicurezza dove ai soldati siriani non sarà consentito mettere piede. Tuttavia, Sharaa prende tempo: a Petraeus dice che sarà difficile per Damasco siglare gli Accordi di Abramo (a cui hanno aderito Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco): “La Siria è diversa, perché i paesi che hanno aderito agli Accordi di Abramo non sono vicini di Israele. La Siria è stata oggetto di oltre 1.000 raid, attacchi e incursioni israeliani dalle alture del Golan in poi”. E poi aggiunge: “C’è anche una rabbia enorme per quello che sta succedendo a Gaza, non solo in Siria ma nel mondo intero, e ovviamente questo ha un impatto sulla nostra posizione nei confronti di Israele”. Alla fine dell’intervista, strette di mano e sorrisi, come era iniziata la serata. Il presidente jihadista ha portato a termine al sua missione a New York: ma a casa, i guai non sono finiti.

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Il Fatto Quotidiano

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