Il mental coach dei campioni: «Tra Napoli e Inter lo scudetto lo vincerà chi userà queste parole»
- Postato il 13 maggio 2025
- Di Panorama
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“Nell’ultima partita del Napoli io non ho colto i segnali di una squadra bloccata dalla tensione, però…” Però? “Però è chiaro che domenica prossima a Parma il confronto sapendo che non esiste prova d’appello potrà portare insidie. Sempre dando per scontato, e non lo è, che l’Inter faccia bottino pieno”. A parlare è Stefano Tirelli, docente presso l’Università Cattolica di Milano e mental coach con esperienza ormai ventennale al seguito di atleti e squadre di tutto il mondo.
Panorama.it lo ha incontrato per provare ad analizzare la volata scudetto dal punto di vista della tenuta psicologica. Di fronte una squadra che si sta giocando tutto (Inter) e una che, per racconto del suo stesso allenatore, è dove non immaginava di poter arrivare solo pochi mesi fa. E che ha visto scivolare via un mezzo match point per il titolo facendosi bloccare davanti al pubblico di casa da un avversario apparentemente senza più nulla da chiedere al campionato.
Stefano Tirelli, Il cosiddetto “braccino corto” esiste nello sport o è solo un modo di dire?
“Esiste. Questa frase, questa modalità di azione, è stata mutuata dal tennis e fotografa il momento in cui l’ansia da prestazione supera la fiducia acquisita negli anni di pratica. Esiste anche se non è estremamente diffusa, ma fa parte del contesto sportivo e a volte anche della vita”.
Di solito è associata a uno sport individuale, dove c’è uno contro l’altro e ognuno è alle prese con la sua mente, con il suo fisico, la sua tecnica, la sua preparazione. Può diventare un problema per un intero gruppo squadra?
“Può coinvolgere una parte del gruppo. Ognuno di noi ha una propria capacità di sostenere le pressioni, immaginando che il nostro sistema nervoso sia un sistema elettrico: c’è chi ha come predisposizione quella di sopportare un certo voltaggio, chi un altro e chi un altro ancora. Nel momento in cui la tensione si fa alta, chi non è predisposto a mantenere alti voltaggi può incorrere in una sorta di cortocircuito”.

Come si combatte?
“Nel gruppo dipende molto da quella che è la capacità acquisita e soprattutto della leadership di trasmettere un certo tipo di input, non solo nel momento della volata scudetto ma durante tutto l’anno”.
Dipende banalmente dall’età e dall’esperienza o anche un squadra giovane può essere già pronta a sopportare alti carichi di tensione e pressione?
“E’ una predisposizione endogena, ossia così come nella vita. Anche nello sport alcune persone riescono a sopportare molto bene quella tensione a pochi centimetri o a pochi giorni dal traguardo e altri invece hanno più difficoltà. Nel caso dello sport bisogna aggiungere che i professionisti sanno molto bene quali periodi della stagione portano carichi massimali da un punto di vista emotivo e quindi è giusto evitare sovraccarichi motivazionali”.
Quindi, nei momenti che decidono una stagione è giusto trovare la comunicazione corretta nei confronti del gruppo per tenerlo al riparo dalla pressione
“Questo perché il professionista sa già quanto sia importante la situazione che deve affrontare, quindi bisogna trovare le parole giuste evitando il rischio che siano eccessivamente motivazionali. Faccio ancora l’esempio del quadro elettrico: se erroneamente sollecitato, chi ha poca capacità di sopportare un alto voltaggio può andare in cortocircuito”.
Spesso gli osservatori esterni si sorprendono per un risultato improvviso e negativo di una squadra o di un atleta. Esistono segnali che un occhio esperto percepisce, che preannunciano il down legato alla pressione motivazionale?
“Ci sono segnali e hanno a che vedere sia con la parte mentale che con la parte fisica, estremamente correlate tra di loro. Alcuni atleti presentano una maggiore irritabilità o al contempo dei cali di attenzione durante la prestazione. Cosa che magari di solito non segnalano, non manifestano. Poi a volte c’è anche una incapacità di comunicare con i compagni di un team, proprio perché ognuno ha una propria tensione che talvolta non riesce a veicolare in modo corretto. A livello fisico si vedono atleti che hanno una maggiore rigidità nei movimenti, una contrazione muscolare più accentuata rispetto alla normalità. Questo è dato dal fatto che ovviamente il sistema nervoso continua a creare vari impulsi oltre illecito e quindi l’organismo tende ad essere molto più contratto”.
Quando succede, quanto ci vuole per intervenire, per provare a cancellare questo effetto?
“A livello di mental coaching si interviene parlando ai giocatori con quella che definirei una media intensità. Significa calibrare le parole, non parlare ad esempio di “partita della vita” – loro per primi lo sanno quando manca davvero poco a un traguardo storico – ma concentrarsi sulla prestazione chiedendo di “esternare il massimo delle capacità”. E’ un’altra cosa perché che sia la partita della vita, lo sanno anche loro, anzi lo sanno fin troppo bene. Quindi sovraccaricando certi segnali si può incorrere nel risultato opposto. Concentriamoci sulla prestazione. Realizziamo una nostra soggettiva, individuale, collettiva prestazione facendo sì che le nostre qualità possono emergere”.
Quanto tempo ci vuole per intervenire su un gruppo?
“Se si vuol fare un lavoro di prevenzione nella stagione, si deve lavorare fin dall’inizio. Generalmente il tempo di espressione dell’allenamento indotto, la cosiddetta nuova programmazione mentale, si evidenzia dopo tre mesi. Quindi c’è poco spazio per un intervento emergenziale che è riferito unicamente dall’esclusione di parole eccessivamente estreme ed eccessivamente motivazionali, perché il livello di tensione è già alto. La gestione e delle vittorie, così come alla gestione delle sconfitte, sono percorsi che necessitano di tempo”.