Il Novecento con i suoi fantasmi e un presente incapace di nostalgie
- Postato il 28 giugno 2025
- Di Il Foglio
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Il Novecento con i suoi fantasmi e un presente incapace di nostalgie
Tra anniversari e libri usciti, ho avuto in queste ultime settimane l’impressione che il Novecento, oltre che essere del tutto passato, sembra ancora famigliarmente attuale, proprio perché ineffettuale. In particolare con quattro autori di cui si è parlato e forse si parlerà: cioè Benedetto Croce, Thomas Mann, Eugenio Montale, Herbert Marcuse.
Il primo di loro, più che aprire il Novecento, sembrò fin dall’inizio un uomo postumo dell’Ottocento. Nato nel 1866, Croce arrivò nel nuovo secolo con la sua estetica della poesia come intuizione lirica, relegando gli altri generi letterari nella categoria molto meno nobile e pura dell’oratoria, le cui finalità sono pratiche. La sua filosofia dell’arte distingueva, anche all’interno di una stessa opera, poesia e non poesia. C’erano poi le altre manifestazioni dello spirito come la logica, l’economia e l’etica. Croce esercitò un’autorità eccezionale, che però ne limitò in parte la capacità di affascinare e orientare in profondità le generazioni più giovani, quelle di Michelstaedter, Renato Serra, Emilio Cecchi, Antonio Gramsci, Mario Praz, Piero Gobetti, Giacomo Debenedetti… Se partivano tutti anche da Croce, era però per correggerlo e superarlo. Croce, dunque, come padre da confutare e a cui disubbidire. La sua filosofia sistematica gli impediva di parlare di esistenza individuale.
A Croce la rivista Nuova corrente dedica ora il numero monografico 173-174, con il titolo “Croce scrittore”, quasi a correggere e limitare l’importanza ingombrante del suo pensiero filosofico. A Croce mancò infatti una sensibilità novecentesca, perché in lui lo Spirito hegelianamente inteso sembrava avere la specifica missione di sottovalutare l’esistenza dei singoli e i problemi che apriva in una cultura individualistica come quella del XX secolo. Croce stesso, in un certo senso, non volle essere un individuo con una sua personale identità, per tenersi invece intellettualmente all’altezza della propria filosofia dello spirito. Eppure il filosofo della storia che era (correzione contro correzione) in quanto storico si appassionò al genere biografico, considerandolo sia essenziale alla comprensione concreta e ravvicinata dei fatti e dei loro protagonisti, sia utile alla propria capacità narrativa. Questa predilezione crociana per i romanzi storici e le biografie andrebbe rivalutata, per esempio nell’insegnamento scolastico della storia, così difficile da trasmettere ai giovani. Una storiografia dominata da forze impersonali finisce per abusare di idee, dati e date, come se gli esseri umani con le loro psicologie e le loro appassionate convinzioni ne fossero esclusi. Di circa dieci anni più giovane di Croce, che nacque da Hegel ma più tardi anche da De Sanctis, un grande narratore come Thomas Mann nacque da Schopenhauer, Wagner e Nietzsche per arrivare a Goethe e perfino alla Democrazia, pur restando fedele alla Nobiltà (etica) dello Spirito, della Kultur dell’anima come opposto della cultura come civilizzazione progressiva e umanistica della vita pubblica.
E’ con il tramonto della cultura in quanto spirito, ancora presente in poeti intellettuali come Valéry e Eliot, che l’Europa cambia, travolta sia da Marx che da Freud, trionfanti nei decenni fra le due guerre. Per loro, per la loro scienza dell’umano, la parola spirito non ha più senso perché manca di contenuto.
Con la generazione di Montale (che pubblicò nel 1925 il suo primo libro, Ossi di seppia) e di Marcuse (su cui è appena uscito da Castelvecchi La critica radicale di tutto ciò che esiste di Andrew Feenberg) la vita perde la sua autotrascendenza. In Montale è assoluta e occasionale contingenza; e con la sintesi di Marx e Freud, Marcuse pensa la storia umana solo come storia della società. E’ così che il Novecento finisce. Ironica chiacchierata pseudo-metafisica negli ultimi libri poetici di Montale. Estremistico neoumanesimo in Marcuse, che porta la Kritische Theorie francofortese in California, e da qui cerca di rilanciarla nell’Europa anni Sessanta-Settanta.
Anniversari, bilanci retrospettivi. Mi sembra di sfogliare e contemplare un album di vecchie foto. Defunta è l’arte, la letteratura che trascende la vita. Sparita è la cultura che trascende “il presente stato di cose” socialmente dato. Di che cosa avere nostalgia? Non so più se sarei capace di rileggere un racconto di Mann o una poesia di Montale, che in fondo non mi è mai piaciuto. Quanto al Marcuse rivoluzionario, deplorato dai suoi vecchi amici Horkheimer e Adorno, lo rivedo in una bella foto mentre parla a una folla di studenti berlinesi nel 1967. E questa è nostalgia.